Ciclo Zia Tibia 2023: Dead Heat

Regia – Mark Goldblatt (1988)

Per questa settimana la vostra Zia Tibia aveva in programma una cosa davvero fetida uscita da qualche fondo di magazzino dei primi anni 2000, ma poi è arrivata la notizia della morte di Treat Williams e tutti i piani sono giustamente saltati, anche perché non esiste un film più da Zia Tibia di Sbirri Oltre la Vita. Sì, forse adesso che vi ho rivelato il titolo italiano, sapete bene a cosa mi sto riferendo, perché questa follia per l’esistenza della quale possiamo ringraziare soltanto la cocaina che ai tempi girava copiosa in quel di Hollywood, è passata in televisione da noi centinaia di volte. O almeno, io mi ricordo di averla vista in tv in qualche notte d’estate nel corso della mia tarda infanzia mal spesa, e quindi intorno al 1990 o giù di lì. Non credo passassero il film in prima serata o, semmai lo hanno fatto, devono averne mandata in onda una copia tagliata, perché Dead Heat è può anche essere schedato come una horror comedy, contaminata con il buddy cop movie, ma ha lo stesso ammontare di gore e violenza di un film come Robocop, tanto per fare un esempio molto eclatante. 

Ora, a parte la violenza e i litri di sangue finto che esplodono dai corpi quando sono raggiunti dalle pallottole, Dead Heat non ha niente, ma proprio niente di Robocop. E infatti il film di Veroheven è, secondo le parole di Ken Russel, “Il più grande film di fantascienza dai tempi di Metropolis”, mentre di Dead Heat ne parliamo durante il Ciclo Zia Tibia, il posto che di diritto gli spetta. Ma questo non significa che non sia uno spasso dal primo all’ultimo secondo. 
Racconta di due poliziotti, Roger, interpretato dal nostro compianto Treat, e Doug (Joe Piscopo), impegnati nella caccia a una banda di rapinatori di gioiellerie. Quando riescono a beccarne uno, che nel linguaggio di Treat e Doug significa ridurlo a una groviera grondante sangue, il medico legale non sa bene come comportarsi, perché il cadavere che arriva sul tavolo di marmo risulta non solo essere già morto da parecchi giorni, ma presenta anche delle cicatrici che possono derivare soltanto da una precedente autopsia. 

I nostri allora vanno a indagare nei laboratori di una casa farmaceutica e scoprono uno strano macchinario. E uno zombie putrefatto che passava di lì. Ovviamente scoppia una sparatoria con lo staff della sicurezza del laboratorio e Roger finisce in una camera di decompressione usata per sopprimere gli animali. Qualcuno la aziona e Roger muore; Doug usa il macchinario su lui e, nella migliore delle tradizioni da Frankenstein in giù, il poliziotto torna in vita. C’è però una grossa fregatura: il suo corpo si decompone alla velocità della luce e il povero Roger ha soltanto una manciata di ore davanti a sé, prima di diventare una pappetta sciolta sul pavimento. E allora lui decide di trascorrere il tempo che gli rimane per scoprire chi è stato l’artefice di tutto e vendicarsi. 

Prima di tutto, ci terrei a sottolineare che nel cast di Dead Heat si aggirano, in piccoli ruoli, Darren McGavin e sua maestà Vincent Price, quindi non può essere un brutto film. Inoltre, il regista non è un signor nessuno come il nome poco noto potrebbe far presagire: Goldblatt, cresciuto alla corte di Corman, è stato un montatore eccezionale e tra i titoli da lui firmati si conta robetta come Terminator, L’Ultimo Boy Scout, True Lies e Starhip Troopers. Come regista non ha fatto granché, questo è vero, perché oltre a Dead Heat, ha all’attivo soltanto il Punisher con Lundgren dell’anno successivo e un episodio di una serie tv nel 1992. Tuttavia, nonostante la sua carriera dietro la macchina da presa non sia stata fortunatissima, di una cosa possiamo avere la certezza: Goldblatt ha senso del ritmo, e infatti Dead Heat ha un tiro micidiale. Dura meno di 90 minuti e ti fa bere senza battere ciglio uno dei soggetti più improbabili mai partoriti da mente umana. Ancora meglio, ti ci fa credere, in questa storia, ti fa volere bene ai due protagonisti, anche se sono guardie il cui unico tratto caratteriale è, appunto, quello di essere guardie, talmente guardie da preferire spendere le ultime ore della propria vita sparando addosso ai criminali piuttosto che andare, che so io, a ubriacarsi o al mare. 

Però sta proprio qui la deliziosa assurdità di un film come questo: la morte è uno scherzo, è una burla, non è mai un qualcosa da prendere troppo sul serio. Dead Heat è una commedia su una persona che ha davanti meno di 12 ore di vita e continua, in compagnia del suo amico e collega, a sparare battute a raffica sulla propria condizione. È un tipo di prodotto che poteva essere concepito solo in un determinato momento storico e che, al netto di tutti gli elementi invecchiati malissimo di cui è pieno (personaggi femminili da esposizione in primis), forse riesce, di quell’epoca, a cogliere l’essenza più di tanti altri film con fama e credito maggiore. Forse perché ne abbraccia tutta l’odiosa superficialità e la rigira in parodia, forse perché, con la rappresentazione quasi grottesca di due “buoni poliziotti” diventa una caricatura della propaganda a favore delle guardie che è un po’ il contrassegno (e in alcuni casi, il prezzo da pagare per un buon film) di tantissimi buddy cop movie. 

Io non so se lo avete visto (magari se siete giovani no) o se ve lo ricordate, ma è difficile stilare l’elenco delle mattate presenti nell’ora e mezza scarsa di Dead Heat: c’è una lunghissima sequenza, ambientata in un ristorante cinese, in cui assisteremo letteralmente alla resurrezione di un quarto di bue, insieme a maiali, anatre e pezzi di pollo sparsi per il locale. Una roba che di sicuro deve tantissimo al caro Sam Raimi, ma è inserita in un contesto che non è quello del classico horror, bensì del poliziesco quasi “per famiglie”, sempre tenendo conto del significato di queste parole nell’ecosistema del cinema commerciale degli anni ’80, quando anche un’orgia di sangue e violenza come The Running Man te la passavano in prima serata per traumatizzare orde di ragazzini urlanti e contenti, almeno fino a quando non andavano a dormire e non arrivavano gli incubi. 

Oltre all’epica scena nelle cucine del ristorante, che da sola basterebbe a far entrare Dead Heat dritto nella storia del cinema di serie B, abbiamo la decomposizione rapidissima e in diretta di una giovane donna, il nostro protagonista che se ne va in giro per gli ultimi quindici minuti con mezza faccia carbonizzata crivellando di colpi tutto ciò che si muove con gran dispendio di capsule di sangue finto sotto i vestiti delle vittime, un body count altissimo, perché in Dead Heat muoiono praticamente tutti i personaggi, oppure sono già morti anche se camminano a, a loro volta, ammazzano, e almeno un paio di sequenze d’azione che non sfigurerebbero in un capitolo a caso di Fast & Furious. 
Per tornare a bomba a Robocop, è come se Verhoeven e Corman avessero fatto un figlio, e lo avessero fatto svezzare da Sam Raimi. Il divertimento è assicurato. 
Per ricordare Treat Williams, è caldamente consigliata la visione in doppio spettacolo di Dead Heat e Deep Rising. Mi ringraziate dopo. Prego. 

5 commenti

  1. Non l’ho mai visto,vedo di recuperarlo appena mi capita l’occasione,ma di certo conosco “Deep Rising” che e tipo solamente uno dei film ha qui voglio piu’ bene nell’universo,che meraviglia!.Un caloroso ultimo saluto a Treat Williams! P.S.-A proposito,ma che fine ha fatto il mio amatissimo Stephen Sommers?

    1. Eh, poveraccio, non gira un film da 10 anni, però pare stia curando l’adattamento di When Worlds Collide

      1. Ah però,non lo sapevo! Incrocio le dita per il buon Stephen,certo 10 anni di assenza nell’industria cinematografica di oggi possono essere devastanti,potrei tranquillamente far parte dell’ultima generazione di spettatori che si ricorda ancora di questo sottovalutatissimo regista,ovviamente spero vivamente di sbagliarmi!.

  2. Giuseppe · ·

    Appoggio pienamente il tuo consiglio riguardo al doppio spettacolo: considerato come i vari media la scomparsa di Treat Williams non se ls sono praticamente filata di pezza, almeno ci pensiamo noi a ricordarlo come si deve 👍
    Riguardo a Dead Heat (decisamente parodistico dal punto di vista “pro-guardie”, direi) ricordo, tra le altre cose da te elencate, una scena che ha ogni volta il potere di farmi saltare sulla sedia: il povero Roger redivivo davanti allo specchio, ben consapevole della propria condizione di non morto con data di scadenza (a ore), colto dall’improvvisa visione di sé stesso totalmente putrefatto…
    P.S. Con la salute come va? 😘

  3. Che chicca! Film fantastico: trucido, divertente e che si può leggere con diverse sfumature, come già nel post. A me fanno bene film così. 🙂
    Besos!