La Valle dei Sorrisi

Regia – Paolo Strippoli (2025)

È notizia di pochi giorni fa (per me che scrivo, di ieri sera) che La Valle dei Sorrisi si è aggiudicato due premi di un certo peso al Fantastic Fest appena concluso: Strippoli ha vinto come miglior regista nella sezione “New Wave”, mentre il film ha ricevuto il premio speciale del pubblico. Il Fantastic Fest è uno dei festival di settore più importanti e prestigiosi al mondo. Se date un’occhiata veloce alle programmazioni degli anni passati, vi troverete gran parte dei film che hanno definito il panorama horror del XXI secolo.
So che i premi lasciano il tempo che trovano, ma mi sembra un riconoscimento di un certo peso per un’opera proveniente da un paese, il nostro, quasi del tutto privo di cinematografia di genere. Serve anche a mettere in testa a molti nostalgici che può tornare utile svincolarsi da quel momento specifico e ormai trapassato, e provare ad adeguarsi all’horror contemporaneo. Visto mai che finalmente ci leviamo il Giallo dalle scatole e lo lasciamo riposare in pace.
Ciò premesso, La Valle dei Sorrisi è splendido. Sono uscita dalla sala tutta scoppiettante di entusiasmo: è un passo avanti enorme sia rispetto a A Classic Horror Story, che Strippoli a co-diretto con De Feo, sia a Piove, il suo esordio in un lungometraggio in solitaria.

La Valle dei Sorrisi è un folk horror ambientato nella piccola località montana di Remis, un luogo ameno dove tutti sono felici, nonostante il paesino sia stato segnato da una tragedia che ne ha falcidiato la popolazione qualche anno prima. Lì arriva Sergio (Michele Riondino), un ex campione di judo, per fare una supplenza di qualche mese come insegnante di educazione fisica nel liceo locale.
Sergio, a differenza degli abitanti di Remis, non è felice neanche per sbaglio: è un rottame umano, ridotto a brandelli da un lutto così straziante che risulta inconcepibile soltanto immaginarlo. Remis, tuttavia, pare avere a portata di mano la soluzione per la sua sofferenza: c’è un ragazzo, Matteo (l’esordiente Giulio Feltri), dotato di una capacità molto particolare. Lui ti abbraccia e tutto il tuo dolore evapora. In paese lo trattano come se fosse un santo, e infatti è la chiesa, insieme al padre di Matteo, ad avere il monopolio sul suo “superpotere”, è nella chiesa che il ragazzo si presenta ogni sera davanti a una folla di fedeli che accorrono lì per ricevere il suo abbraccio, ed è il prete ad avere stabilito un vero e proprio culto in suo onore.
Matteo, poveretto, non ha molta voce in capitolo. A parte qualche vago tentativo di ribellione, si adegua con docilità a quello che gli adulti desiderano da lui. L’incontro con Sergio cambierà le cose.

Come si evince dal veloce riassunto della trama del film, La Valle dei Sorrisi ha la struttura tipica di un folk horror: un protagonista che viene “da fuori” si confronta con le usanze di una piccola comunità fortemente identitaria e unita da dei valori che, a un occhio esterno, possono risultare assurdi e incomprensibili. Il protagonista viene all’inizio parzialmente sedotto dalla comunità e dalle sue “old ways”, per poi esserne risucchiato, rendersi conto del lato malvagio e perverso che nascondono, e porsi quindi in aperto conflitto con esse. Di solito non va mai a finire bene, perché il credo, il culto, le antiche maniere sono molto più forti di un singolo individuo con pretese di civilizzazione, e al nostro povero estraneo resta solo scegliere se soccombere o farsi assimilare. 
Strippoli rispetta questo schema vecchio di oltre mezzo secolo, ma apporta alcuni elementi di novità, agganciando il film al nostro presente, non in maniera urlata o didascalica, ma optando per un discorso estremamente attuale, quello della non accettazione, del rifiuto, della chiusura nei confronti di una delle componenti imprescindibili della vita umana: il dolore. 

Le usanze di Remis non sono affatto antiche o acquisite nel corso dei secoli grazie a un legame ancestrale con la terra e con le divinità delle montagne del Friuli. Sono, anzi, giovani quanto la vita di Matteo, un ragazzino di quindici anni che, per molti versi, è un adolescente come tanti altri, con le sue pulsioni, i suoi desideri, le prime scoperte e i primi sentori di scontro generazionale con il padre-padrone Paolo. Però Matteo non è soltanto un quindicenne di provincia, è un prodigio, un miracolo, per tutti gli abitanti di Remis è un angelo, oggetto di un culto che, nonostante abbia delle chiare connotazioni pagane e blasfeme, esiste solo sotto l’egida della chiesa cattolica, nella persona del prete del paese, e diventa anche un discreto giro di affari, ché per ricevere l’abbraccio di Matteo, è necessaria un’offerta alla parrocchia e alla famiglia.
C’è tutta una liturgia legata a Matteo, studiatissima e perfezionata in anni e anni di lavoro, tanto che il corpo di Matteo neanche più gli appartiene, è un bene comune, una cosa da sfruttare. Matteo non dispone del proprio tempo, non può uscire, non può avere amici, la sua intera esistenza è votata al rito serale in cui Remis si inginocchia al suo cospetto e viene depurata dal dolore. 

È orribile, ma funziona, non si tratta di suggestione collettiva: La Valle dei Sorrisi è un horror soprannaturale puro e semplice. C’è una forma di magia in questo ragazzo taciturno e timido, ma la magia ha sempre un prezzo da pagare, soprattutto se nessuno si chiede mai dove vada a finire tutto il dolore che Matteo estrae dai corpi e dalle menti altrui con un abbraccio. 
In una riedizione folk del filone sui poteri mentali tanto in voga negli anni ’70, è la combinazione tra fattori interni, naturali e anche prevedibili, come l’adolescenza di Matteo, e fattori esterni, in questo caso l’arrivo di Sergio, a portare al disastro. 
Perché, quando si nega l’esistenza del dolore, quando si cerca di anestetizzarlo in ogni modo possibile, quando si finge di non vederlo in virtù di una felicità posticcia, indotta, il disastro arriva sempre. 
È soprattutto in questo che La Valle dei Sorrisi si sgancia dalla sua matrice folk e si tuffa nell’attualità più spicciola, fatta di gente che rifiuta pervicacemente ciò che la fa stare male e si illude che chiudendo la sofferenza (propria e altrui) fuori dalla porta, questa non torni a mordere per altre vie. 
Cosa che, per ovvi motivi, è destinata ad accadere. 

Ma cosa è, esattamente, Matteo? È un santo o un mostro? O è soltanto un ragazzo a cui nessuno ha mai insegnato come gestire l’enorme potere che gli è toccato in sorte? Un ragazzo vampirizzato dagli adulti della sua città, sfruttato fino all’eccesso, portato al punto di rottura, fatto recipiente di ogni evento sgradevole, luttuoso o tragico fosse mai capitato a Remis, divenuto suo malgrado un simbolo da adorare e, allo stesso tempo, da spolpare, fino a che di Matteo non resta più niente, se non un involucro sfigurato.
L’orrore, il vero orrore, si annida proprio nel suo rifiuto, nel voltarsi dall’altro lato e non essere in grado di viverlo insieme, come un collettivo. 
La Valle dei Sorrisi è un film implacabile e violento, che nella mezz’ora finale mette davvero a disagio e non risparmia neanche in eccessi gore e dettagli raccapriccianti. 
Alla prima persona che osa dire che non è un horror, ma un’altra cosa non meglio specificata, va bene tutto, basta che non sia horror, rispondete con una pernacchia. Fatemi la cortesia. 
È bellissimo, andate tutti in sala a vederlo. 

7 commenti

  1. Avatar di Marco INAUDI
    Marco INAUDI · · Rispondi

    Ciao Lucia, visto anche questo e piaciuto molto anche a me. Ci ho trovato molto Stephen King dentro: la cittadina di Remis come variazione delle varie comunità di King (“Le notti di Salem”, “Cose Preziose”, “Le Creature del Buio”), l’ adolescente con poteri soprannaturali (“Carrie”), ma con l’anima profondamente italiana, tra Pupi Avati (poco) e Lorenzo Bianchini (molto). Se Michele Riondino è molto bravo, Giulio Feltri è veramente una rivelazione. A proposito di Bianchini, sarebbe bello che finalmente ora qualcuno gli desse qualche soldo in più per i suoi film e magari tra non molto potremmo davvero dire che l’ horror è tornato in Italia. Ciao.

    1. Avatar di Lucia

      Bianchini dovrebbe avere finalmente un po’ di visibilità in più e dei budget all’altezza della sua ambizione. Se però riusciamo a creare un minimo di movimento, ma proprio minimo, non è detto che non accada.

  2. Avatar di Paolo

    Aspettavo con ansia! Il film è piaciuto moltissimo anche a me e ci ho visto, fra le altre cose (ci sono molti riferimenti più ovvi) qualcosa di ‘Bring her back’, se non altro mi ha lasciato lo stesso tipo di inquietudine.

    Mi chiedo però se forse gli stiamo perdonando qualcosa perchè italiano e mi spiego: ho trovato che il film non gestisca alla perfezione i tempi. Così com’è credo gli sarebbero giovati 10/15 minuti in meno oppure quei 10/15 minuti sarebbero potuti essere usati ad esempio per rendere il carattere del protagonista pre-abbraccio un po’ meno esagerato o per rendere meglio la parte di ‘indagine’ su cosa stia succedendo davvero (che essenzialmente è appena accennata). Ho avuto l’impressione che ci siano tante idee bellissime (e ottimamente realizzate) ma forse troppe: anche la parte finale (SPOILER)

    da ‘zombie movie’ l’ho trovata stupenda ma l’avrei voluta valorizzata meglio. Non so, è un bellissimo film ma secondo me con qualche difetto importante. È possibile che siamo abituati talmente male ultimamente con l’horror italiano che abbiamo abbassato l’asticella? Se questo fosse stato il nuovo film dei Philippou o di Ari Aster cosa avremmo detto?

    1. Avatar di Lucia

      Non lo so, io tendo a fare il ragionamento contrario: all’horror straniero, di qualunque paese sia, guardiamo con maggiore indulgenza, mentre quello italiano lo trattiamo con una grossa mole di pregiudizi. Non sono mal riposti a prescindere, eh, perché l’horror italiano sono secoli che non propone qualcosa di davvero convincente, però temo che abbiamo un atteggiamento un po’ troppo severo.

      1. Avatar di Giuseppe

        Atteggiamento che, purtroppo, va a discapito anche di francamente non lo meriterebbe: per dire, da quanto tempo ormai non si sente più nulla riguardo a Lorenzo Bianchini? O, ancora, quanti si ricordano di un’opera interessante come “Il Demone di Laplace”, del 2017? E nemmeno “The Complex Forms” pare essere male, anzi, se solo fossi riuscito a vederlo prima che diventasse praticamente introvabile (piattaforme incluse) 😟 Tornando a noi, il povero Matteo mi fa venire in mente -con le debite proporzioni, trattandosi peraltro di un capitolo della saga migliore nelle intenzioni che non nei risultati – il vulcaniano Sybok, un passionale fratellastro di Spock NON votato alla logica e quindi rinnegato dai suoi stessi simili, dotato a sua volta del potere di liberarti dal dolore (ma James T. Kirk rifiutava il suo “dono” essendo il dolore parte dell’umana esistenza, necessario a definirci per ciò che siamo), anche se con conseguenze certo meno estreme rispetto al film di Strippoli… Ecco, alla fine sono riuscito a infilare qualche aggancio a Star Trek anche in un (buon) horror di casa nostra 😉

  3. Avatar di Andrea Lipparini
    Andrea Lipparini · · Rispondi

    Mi è piaciuto tantissimo e sono felice di premi che sta vincendo, è la conferma di un grande talento.

    1. Avatar di Lucia

      Speriamo non ce lo mortifichino troppo qui in Italia

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