
Regia – Danny e Michael Philippou (2025)
Considerando che a me essere traumatizzata dai film piace, mi vedo costretta ad avvisarvi che il seguente articolo è profondamente viziato da questa mia strana attitudine; Bring Her Back rientra infatti nel novero di film traumatici, ma per davvero, non perché ve lo dice qualche strillo di locandina: “I film più spaventoso dell’anno”, “Dormirete con la luce accesa”, “Ve la farete nelle mutande”, e via così. Niente di tutto questo; più che pauroso nel senso canonico del termine, Bring Her Back è un horror doloroso e sfiancante da un punto di vista emotivo. Quando si sono riaccese le luci in sala, mi sono sentita come se avessi pedalato per un centinaio di chilometri sotto il sole, oltre ad aver singhiozzato per un buon quarto d’ora sotto lo sguardo basito dei miei amici.
Tutto questo per consigliarvi di fare attenzione e, se volete vederlo, di andarci di preparati, anche rischiando di inciampare in qualche spoiler.
Io, che comunque sono una personcina a modo, vi metto intanto una lista di temi e immagini che potrebbero procurarvi qualche problema di sopportazione: violenza sui minori, cannibalismo, manipolazione psicologica a livelli soffocanti, aggressioni ripetute a bocca e denti, autolesionismo. C’è anche un gatto che non se la passa benissimo in un paio di sequenze e poi sparisce dalla circolazione. Sta a voi decidere se abbia fatto una brutta fine o se abbia visto la mal parata e se ne sia andato a cercare rifugio altrove, in quanto creatura dall’intelligenza superiore.
Il film racconta di due fratellatri rimasti orfani dopo la morte improvvisa del padre e dati in affido a Laura (Sally Hawkins), una psicologa che collabora con i servizi sociali per prendersi cura dei ragazzi dalla vita disastrata. Arrivati lì, Piper (che è ipovedente) e Andy (che ha quasi diciotto anni e vorrebbe prendere la custodia della sorella più piccola) scoprono che Laura ha già per casa un altro bambino, Oliver, un bizzarro e inquietante esserino affetto da mutismo selettivo.
La stessa Laura non se la passa benissimo: ha da poco perso sua figlia, annegata nella piscina in giardino, e si nota subito che in lei c’è qualcosa che non torna. All’apparenza è affettuosa, calda, comprensiva, ma c’è come una vena di crudeltà in tutti i suoi gesti, anche in quelli che sembrano più innocui e amorevoli. I due fratelli però sono bloccati lì per almeno tre mesi, ovvero fino a quando Andy non sarà maggiorenne, e pensano di dover sopportare le sue stranezze per un tasso di tempo relativamente breve per poi essere liberi.
Solo che Laura ha altri piani per entrambi, come si evince dai sinistri tutorial in VHS che guarda chiusa in camera sua.
Questo, per sommi capi, è il contesto in cui si svolge Bring Her Back, e come vedete, ci sono parecchie caratteristiche in comune con l’esordio dei due gemelli australiani, prima tra tutte una difficile, anzi, mancata elaborazione del lutto, che conduce al tentativo di stabilire una qualche forma di contatto con la persona defunta, con conseguenze poco igieniche.
La differenza tra i due film è però sostanziale: Talk to Me aveva un lato leggero e divertente, dovuto soprattutto al fatto che i protagonisti fossero degli adolescenti e che l’elemento soprannaturale venisse da loro gestito come una sorta di burla: la seduta spiritica e la momentanea possessione come un gioco da fare in gruppo. Non che Talk to Me non fosse un horror tragico e con il dolore a fungere da perno, ma la cappa plumbea e funesta veniva stemperata da tanti momenti quasi da teen comedy, e lo stesso stile dei Philippou era più sbarazzino, con quei movimenti di macchina da vertigini, le panoramiche a schiaffo, lo sguardo funambolico su questi party a base di evocazioni dritte dall’inferno.
Con Bring Her Back cambia tutto, tanto che si stenta a credere che alla regia e alla sceneggiatura ci siano due giovanotti poco più che trentenni, data l’enorme maturità e la gravitas con cui si affronta lo strazio per la perdita di una persona amata e il concetto stesso di mortalità; c’è una comprensione, intima e profonda, della sofferenza e di come questa può non solo spezzarti, ma anche trasformarti in una persona feroce e priva di umana pietà. Laura non è un mostro, e anche la scelta di farla interpretare a un’attrice come Sally Hawkins dice tanto delle intenzioni dei Philippou, che hanno evidentemente letto House of Psychotic Women e lo hanno imparato a memoria: la personalità del personaggio resta tutto sommato invariata, siamo in grado di vedere e riconoscere questa donna brillante, capace, preparata nel suo campo, ci rendiamo conto del motivo per cui le vengano dati in affido bambini e adolescenti; non è una facciata messa su per ingannare il prossimo, è la sua natura, ma questa natura è stata corrotta ed erosa da una forza molto più potente, un dolore così grande da spazzare via tutto il resto. Anche la determinazione di Laura nel portare a termine il suo piano è agghiacciante, perché assolutamente inflessibile. È spaventosa, è detestabile, però non va mai un solo istante sopra le righe ed è sempre comprensibile.
Per questo Bring Her Back non è mai divertente e non possiede alcun lato giocoso; persino nelle poche sequenze che parrebbero fungere da alleggerimento comico, i Philippou inseriscono tutta una serie di dettagli sbagliati, una nota stonata che ci tiene all’erta e ci rende impossibile rilassarci. Vedasi, per esempio, la scena dopo il funerale del padre di Piper e Andy, che arriva abbastanza presto nel minutaggio, quando ancora le intenzioni di Laura e il vero scopo della presenza di Oliver non ci sono chiari, e possiamo cullarci nell’illusione che Laura voglia davvero rendere la giornata dei due fratelli meno complicata facendo passare loro una bella serata. Non vi dico, per ovvi motivi, ciò che accade, ma è il momento in cui la scrittura dei personaggi viene fuori al meglio e in cui si ha l’esatta percezione di dove si stanno dirigendo i registi.
Il loro approccio è infatti quello di non dare spiegazioni, né dell’impianto soprannaturale della vicenda né della psicologia dei personaggi e del loro agire all’interno del film. Anche se ciò a cui assistiamo ha le radici piantate in un passato recente, non è interesse dei Philippou raccontarcelo; ci viene fornito il minimo indispensabile giusto per non sentirci troppo smarriti e poi ci tocca passare un centinaio di minuti in una bolla, anzi, in un cerchio, dove viene dato tutto per scontato e sono soltanto le immagini a parlare, dove è nostro compito decifrare una lingua per la quale non esiste un dizionario.
Come soltanto i grandi registi sanno fare, i Philippou fanno parlare poco gli attori e tantissimo i personaggi, e qui risiede la vera forza del loro secondo film.
I due scelgono uno stile quasi opposto rispetto a quello di Talk to Me: Bring Her Back è un film molto più statico, con la macchina da presa che si muove poco e preferisce stare fissa sui personaggi, creando una serie di quadri fissi atti a darci un’idea molto precisa dell’ambiente (passiamo in quella casa quasi la totalità del film) e della disposizione degli oggetti e delle persone in campo. Dà molto respiro alla recitazione, fa comunicare i volti perché vi si sofferma a lungo e non distoglie lo sguardo, ti tira dentro a questa storia con tanti piccoli trucchi di prospettiva, di fuoco, di false soggettive e punti di vista impossibili. A volte guardiamo lo svolgersi degli eventi con gli occhi di Laura, a volte con la visione offuscata di Piper, spesso con la mente provata e incandescente di Andy. Ma ci sono dei momenti in cui è chiara la presenza di un osservatore esterno, malevolo, che si affaccia su questa casa dall’alto e si mette in attesa che la tragedia si consumi.
Capisco chi preferisce Talk to Me a Bring Her Back, perché sono la prima a dare importanza al lato ludico del cinema dell’orrore, ma un film così intenso ti esce una volta nella vita, se sei fortunato e, per quanto mi riguarda, non ho dubbi: è un passo avanti gigantesco.
Da prendere con tutte le cautele del caso, mi raccomando.











Sono molto indeciso se andarlo a vedere. Sono uno dei pochi che hanno trovato TTM estremamente deludente, per una sceneggiatura che non supportava il finale se non per l’obbligata stupidità della protagonista.
E ora nn so se vedere un altro film degli stessi registi. Spendendo i pochi soldi che ho
Buongiorno Lucia,ahimè io non sono un estimatore della “A24”,ciò non mi ha impedito di dare delle possibilità alle loro produzioni,nel caso di “Talk To Me”,non sono riuscito proprio a legare con i personaggi,potevano fare a gara su chi era più odioso,per lo meno in questo “Bring Her Back” è andata meglio su quel versante,ma non sono uscito molto soddisfatto dalla visione,in particolare il finale,a mio parere era esageratamente indulgente con il personaggio di Laura,alla fine tutti i personaggi del film affrontavano un lutto familiare,ma gli atti di qui si è coperta il personaggio di Sally Hawkins,erano davvero subdoli e meschini,a rischio di passare per insensibile,speravo in una sorte migliore per un certo personaggio,che di batoste nella vita ne aveva già subite fin troppe,è con qui ho empatizzato,al contrario di Laura,per questo non ho apprezzato il finale.
Sono tra quelli che ha preferito Talk to Me, ma anche Bring Her Back è un film straordinario! Il lavoro di trucco sul corpo di Oliver è pazzesco, e tutti e tre i ragazzi sono stati bravissimi. I Philippou hanno quella cattiveria che ci serve in questo momento, spero che continuino così!
Complessivamente mi è piaciuto. Dei pregi ne hai parlato abbondantemente tu. Quello che mi è piaciuto meno invece è stato il modo in cui viene trascurato tutto il background del rituale. Cosa (o chi) c’è dietro? Perchè il bambino, cosa gli stava succedendo? Cosa sono quelle VHS? Sono tra gli aspetti più interessanti e inquietanti del film, e mi è sembrato un peccato lasciarli così in sospeso.
Pensa che a me è piaciuto proprio che di quella roba non si sapesse niente, proprio perché il film è raccontato da un punto di vista molto limitato e chiuso, e quindi ne sappiamo più o meno quanto ne sanno i personaggi.
Grazie Lucia della tua recensione che condivido
al massimo. È veramente una recensione che coglie gli aspetti più potenti del film.
uhm… per quanto i lavori dei due registi mi piacciano, devo ammettere che a 50 anni, da zio di due adolescenti di 13 e 10 anni, vedere la violenza sui minori mi disturba tantissimo, non riuscivo a vederla prima, ora men che meno.
ti ringrazio per questa delucidazione, ma penso che nonostante le premesse interessanti, eviterò il film, tanto grazie ai tuoi suggerimenti sto scoprendo tante altre pellicole molto interessanti.
grazie come sempre 😀
Carlo
È perfettamente comprensibile, anche io sono zia di due nipoti, anche se loro sono ancora piccolini, e ho fatto fatica.
Per questo quando c’è un film che tratta temi sensibili cerco sempre di avvisare prima, perché potrebbe essere traumatico
Apprezzo molto il fatto che lo segnali, amo l’horror da quando avevo 5 anni, anche se per me l’horror è il soprannaturale, il mostro fantastico; con l’eccezione dello splatter dove viene ridicolizzata, la violenza gratuita mi disturba sempre di più, dove è seria mi prende allo stomaco e mi fa star male.
grazie il tuo blog è uno dei miei riferimenti 😀
Per me Laura è l’incarnazione del male, anche quello sovrannaturale, non ho empatizzato praticamente mai con lei. Anzi, avrei voluto che crepasse alla fine del film, per mano di uno dei due orfani. Non ho quindi apprezzato il tentativo di rendere il film più drammatico che horror e soprattutto salvifico.
lucia, ti volevo informare che c’è chi copia parola per parola le tue recensioni e le spaccia per sue…cerca questo film sul sito filmscoop e tra i commenti troverai tutta la tua recensione… è un certo Anthony, pure scemotto, perché manco se l’è letta tutta, dato che alla fine pur essendo lui maschio ha lasciato scritto “io per prima” ahahahah
Grazie per la segnalazione, davvero!
Comunque se è su FIlmscoop me ne preoccupo poco. Finché non si apre un sito tutto suo in cui mi copia, lasciamolo giocare 😀
eh ma è cmq un gioco in cui si appropria del lavoro e della passione altrui…te hai dedicato del tuo tempo a scrivere questa recensione e lui in due secondi se la spaccia per sua…non va bene…
Sì sì, tu hai perfettamente ragione, guarda, provo a commentare il “suo” articolo su Bring her Back e vedo che mi risponde, se risponde