Dangerous Animals

Regia – Sean Byrne (2025)

È successa una cosa inaudita, anzi due: mi hanno invitato a un’anteprima e sono riuscita a incastrare la mia vita in maniera tale da poterci andare sul serio. Ma, dopotutto, come potevo perdere l’occasione di vedere Dangerous Animals più di un mese prima della sua uscita ufficiale nelle sale, a opera della sempre meritoria Midnight Factory, il 20 agosto? Era uno dei film che aspettavo di più, in questo 2025 che, tra le altre cose, si sta delineando come l’anno in cui i film di squali (di merda e non) cambiano lo sguardo su questi animali e li presentano non più come mostri assetati di sangue umano, ma semplicemente come animali. Predatori sì, pericolosi pure, e tuttavia presentati con una connotazione il più possibile neutra.
Dangerous Animals è innanzitutto questo: un film dove gli squali si comportano da squali (a parte una vistosa, ma necessaria eccezione), ovvero se ne stanno a nuotare per fatti loro, si vedono poco, per farti divorare da loro ti devi impegnare, e quindi fare un sacco di casino nell’acqua ed essere circondato da frattaglie e pastura, e anche così, non è detto che ti mordano.
D’altronde, la frase di lancio del film lo esplicita con chiarezza adamantina: “You’re safer in the water”, tradotto in italiano con “Il vero predatore non è in acqua”, che non è proprio accurato, ma ci si accontenta. 

Di che parla Dangerous Animals? Di una surfista americana in giro per l’Australia che finisce tra le grinfie di un serial killer fissato con gli squali. Lei è Zephyr, interpretata da Hassie Harrison, lui è Bruce (non credo il nome sia stato scelto a caso), interpretato da un enorme, in tutti i sensi, Jai Courtney. Il metodo usato da Bruce è quello di dare in pasto le sue vittime agli squali e di riprendere il tutto con una telecamera, per poi godersi lo spettacolo ogni volta che desidera. Come copertura, ha una barca che porta in giro i turisti a fare immersioni nella gabbia. Comodissima come copertura, perché il suo obiettivo sono sempre i turisti, anzi, le turiste: dei maschi se ne libera con una certa rapidità.
Insomma, per farla il più breve possibile, Dangerous Animals è Wolf Creek con gli squali. Mano sul cuore e cantiamo tutti insieme l’inno australiano prima di proseguire.
il regista è infatti australianissimo (sempre che esista questa parola), ed è un grande amico del blog e di chiunque ami il cinema dell’orrore: Sean Byrne, che fa un film ogni dieci anni, ma fa sempre centro.
Di sicuro Dangerous Animals è la sua opera più accessibile, quella meno gore e anche con meno elementi atti a turbare la sensibilità del pubblico generalista. Niente assassini di bambini convinti che siano le caramelle del diavolo, niente balli scolastici casalinghi e vagamente incestuosi e aromatizzati alla tortura. 

Questo non significa che non sia un film rude e violento, come la terra e il mare dove è ambientato. Anzi, è il film più australiano di Byrne, perché il paesaggio qui gioca un ruolo fondamentale, e non solo perché è nell’acqua che nuotano gli squali, ma perché l’Australia è al centro della scena, e torna a essere, proprio come Wolf Creek, il luogo selvaggio in cui perdersi e sparire, senza che nessuno ti venga a cercare, un posto che non siamo ancora riusciti ad addomesticare e, quando cerchiamo di dominarlo, quando ci sentiamo al sicuro e pensiamo di essere predatori, ci si ritorce contro e ci azzanna. 
Da un diverso punto di vista, l’Australia è anche un territorio che ti assimila e, se impari a mimetizzarti, ti accoglie. 
Quindi non è importante chiedersi di cosa parli Dangerous Animals: la trama è scarna ed essenziale e conta fino a un certo punto. È importante invece chiedersi chi siano gli animali pericolosi, perché una cosa è certa: non sono gli squali. 
Bruce è convinto di essere un animale pericoloso, e su quello ha basato tutta la sua esistenza: è un cacciatore lui, elimina dall’equazione gli elementi deboli, ha tutta una sua “filosofia” basata sulla catena alimentare. 
E Zephyr? Zephyr, dal canto suo, sceglie lo squalo. Sì, per chi non avesse capito, il riferimento al recente meme sull’orso è non solo voluto, ma anche molto pertinente.

È una tematica costante in moltissimo cinema dell’orrore, quella dell’assassino che pensa di possedere qualità superiori rispetto alla vittima designata. È anzi, il punto di partenza dal quale si è generato il concetto stesso di final girl: la posizione di svantaggio soltanto apparente.
Bruce è di sicuro più forte di Zephyr, se non altro lo è da un punto di vista fisico, essendo lui un armadio e lei uno scricciolo; ha dalla sua la conoscenza del terreno su cui si svolge la battaglia, la sicurezza derivata dall’esperienza (non è affatto il suo primo omicidio a mezzo squali) e, soprattutto, è a casa sua, non solo in quanto australiano, ma in quanto proprietario dell’imbarcazione sulla quale si svolge gran parte della vicenda.
Ha già vinto ancora prima che la lotta cominci.
Ma se così fosse, non ci sarebbe il film. E, sempre l’horror in generale (e il survival in particolare, categoria in cui Dangerous Animals rientra), ci insegna che la sicurezza dei maschi mediocri è spesso la chiave per la loro sconfitta, e che sottovalutare chi hai di fronte non porta mai a nulla di buono. 
In altre parole, la convinzione, dettata da diritto di nascita, di essere un predatore, non fa di te un predatore, e se per caso ne incontri uno vero, di predatore, te ne accorgi. 
Per rispondere alla domanda, qui l’animale pericoloso è Zephyr, e Bruce è soltanto l’ennesimo, patetico ometto che ci fa sempre scegliere lo squalo. 

Parliamo un po’ di questi squali, già che ci siamo: come ho scritto in apertura, non si vedono tanto, spesso sono veri animali che interagiscono con il cast o se ne stanno a nuotare per fatti loro, come gli squali fanno per tutta la loro vita (se non sono così sfortunati da incontrarci); a renderli minacciosi non è la loro natura, ma la perversione che ne compie Bruce.
Credo sia un punto molto importante del film: c’è una bellissima sequenza, all’inizio, in cui una ragazza entra nella gabbia per fare un’immersione, è terrorizzata, ma dopo essere stata in acqua per un po’, la sua espressione si trasforma, e dalla paura passa alla fascinazione e, infine, all’entusiasmo nei confronti di questi magnifici animali. 
Gli squali qui sono vittime tanto quanto lo sono Zephyr e le altre sventurate giovani donne che hanno trovato Bruce lungo il loro cammino; il killer li sfrutta, li usa come dei mezzi per soddisfare i propri bisogni e il proprio piacere, nell’errata convinzione di avere qualcosa in comune con loro.  Si tratta, appunto, di una forma di controllo su un elemento che non è controllabile, non è addomesticabile, che esiste nel suo spazio, seguendo regole che ci sono ancora ignote. 
Tra i vari film che hanno cercato, nel corso degli anni, di raccontare la complessa relazione tra uomini e squali, Dangerous Animals è tra i migliori. 

È la prima volta che Byrne si trova a lavorare molto in esterni, gestendo un’ampia porzione di spazio e indulgendo in lunghe sequenze d’azione. Una novità graditissima all’interno del suo cinema, che rimane sempre claustrofobico e chiuso, ma che qui beneficia di un budget maggiore e si può permettere di divertirsi un po’ e di uscire da stanze e scantinati.
Le scene in pieno sole sono bellissime, con colori caldi luce violenta; quelle in notturna ti fanno sentire piccola e indifesa di fronte all’immensità dell’oceano e delle creature che lo abitano.
Un po’ meno gore rispetto agli eccessi cui Byrne ci ha abituato, Dangerous Animals può comunque vantare una morte che definire straziante è usare un eufemismo, parecchi momenti dolorosi e una discreta quantità di sangue e frattaglie, non solo quelle che Bruce getta in mare per attrarre gli squali.
Ci sono un paio di concessioni allo spettacolo puro, soprattutto nel finale, ma il film cerca costantemente di attenersi a uno stringente realismo per quanto riguarda il comportamento degli animali.
In realtà, non lo definirei tanto un film di squali, quanto un survival (anche un po’ slasher) cui è capitato di svolgersi sul pelo dell’acqua.
Andate a vederlo in sala appena esce. Io ci torno, perché a Byrne è giusto consegnare il proprio denaro senza fare storie. 

7 commenti

  1. Avatar di Fabio

    Giorno Lucia,insomma non e’ un film di squali nel senso classico del termine,ma nonostante cio’,rimane invariata la mia voglia di vederlo,per qui il prossimo 20 agosto ci saro’ in sala,eccome!.😋

    1. Avatar di Lucia

      Non canonicamente: gli squali non sono la minaccia principale, ma ci sono, per carità!

  2. Avatar di Fabio

    Rimanendo sul tema squali,sono strafelice che “Deep Water” di Renny Harlin,e’ ufficialmente nel listino di titoli prossimamente in sala da noi,grazie alla Notorious Pictures,vaiiiii😍!.

  3. Avatar di alessio

    Proprio nei giorni scorsi abbiamo avuto la Giornata mondiale degli Squali (certo che 365 giorni sono pochi per dedicare una giornata mondiale a ogni cosa). Cmq per quanto riguarda gli squali secondo quanto riportato dal WWF il 37% delle specie è a rischio estinzione (si sale al 50% per quelle che bazzicano il Mediterraneo); gran parte di quelle vulnerabili sono anche quelle che poi ci troviamo a tavola senza avere contezza o specificato correttamente in etichetta che sono squali (verdesca, palombo). La cosa buffa è che a non essere a rischio di estinzione sembra rimasta la sola specie talmente stupida da avvicinarsi alle orse con i loro cuccioli credendo pure di avere davanti un pupazzetto e non un essere vivente col quale dividiamo la sola casa a disposizione per noi tutti.

    1. Avatar di Lucia

      Ne ammazziamo migliaia ogni giorno, però, ehi, le bestie pericolose sono loro, mi raccomando.

  4. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    La “filosofia” di vita espressa da Bruce (nome nient’affatto casuale, anche secondo me) è, per certi versi almeno, assai simile a quella di Mick Taylor nel secondo Wolf Creek: laddove il “collega” si considera un predatore al vertice del proprio concetto di catena alimentare (dove i deboli sono solo cibo per squali), Mick si considera un vincente con il diritto di fare tutto ciò che vuole alle proprie prede/vittime (‘perdenti” e quindi meritevoli del loro destino). Nessun paragone possibile con quei poveri squali… dei quali non è affatto male restituire, di tanto in tanto, un’immagine realistica come in questo caso. OK, me lo segno! 👍🦈

  5. Avatar di loscalzo1979

    Conto e spero di vederlo al cinema.

    Appena ho visto la triade squali/australia/Byrne sono salito a bordo al secondo zero