Marshmallow

Regia Daniel DelPurgatorio (2025)

Non esiste filone più abusato del summer camp slasher: da quando quella santa donna di Pamela Voorhes ha fatto a pezzi lo staff di Crystal Lake, siamo stati tante di quelle volte in campeggio, a farci inseguire da vari energumeni, mascherati e non, da non riuscire neanche a contarle. Abbiamo avuto rivisitazioni, parodie e copie carbone del primo Venerdì 13; abbiamo avuto film migliori, anche senza troppe variazioni sul tema, come The Burning; abbiamo assistito ad arditi esperimenti come The Final Girls, a bizzarri twist come quello di Sleepaway Camp, a complessi e consapevoli ritorni in luoghi conosciuti, come il secondo capitolo di Fear Street, ma in tutti questi casi, e al di là di quanto di innovativo e personale venisse disseminato nel film dal regista di turno, la struttura narrativa è sempre stata la stessa, e va benissimo così. Non è necessario reinventare la ruota, perché la ruota funziona.
È tuttavia comprensibile che il giochino venga a noia, e c’è comunque un elemento che, anche nel corso di 45 anni affollatissimi di summer camp slasher, è stato affrontato molto di rado: i campi estivi sono riservati ai bambini. 

Il classico summer camp slasher si svolge prima che la struttura venga aperta al pubblico, e per motivi abbastanza ovvi: ammazzare bambini non è il massimo del divertimento, e anche se lo fosse, lavorare con attori minorenni è fonte di diverse rogne che, soprattutto quando si gira a basso budget e un po’ alla bersagliera, è saggio evitare.
Ci sono eccezioni: i già citati Fear Street e Sleepaway Camp, il sesto capitolo di Venerdì 13, e poca altra roba sparsa in giro, ma anche lì, è difficile che il maniaco assassino prenda di mira proprio gli ospiti del campeggio. Sono in pericolo, sì, eppure non sono il bersaglio principale.
Marshmallow ne fa, al contrario, i protagonisti e le vittime, e già questa è una bella ventata di freschezza; inoltre, aggira il problema relativo al buon gusto e alla liceità di smembrare dei ragazzini in età prepuberale, portando la vicenda in una direzione completamente inaspettata. Più che allo slasher, l’idea attorno alla quale ruota la sceneggiatura, appartiene al territorio della fantascienza, tanto che il film, accorciato di una ventina di minuti, non sfigurerebbe in una stagione di Black Mirror.

Protagonista di Marshmallow è Morgan, timido ragazzino con serie difficoltà a farsi degli amici e perseguitato da incubi notturni con l’acqua come protagonista principale. Nella speranza che Morgan riesca a sbloccarsi, i genitori lo mandano in un campeggio estivo e, sorprendentemente, una volta lì, Morgan lega con qualche coetaneo stramboide come lui, anche se viene lo stesso perseguitato dai bulli, come da tradizione secolare. 
Il campo ha, perché anche questa è tradizione secolare, una leggenda locale: si narra che nei boschi intorno ai bungalow, ci fosse un tempo la casa di un medico molto stimato, che veniva lì a passare le vacanze. Il dottore era, tuttavia, un assassino che sperimentava sulle proprie vittime come un barone ottocentesco qualsiasi. La polizia era riuscita a scoprirlo, ma lui era fuggito e pare che ancora si aggiri da quelle parti alla ricerca di nuovi corpi da smembrare. 
Gli animatori, variegato gruppetto di ventenni stereotipati, racconta questa vicenda ai bambini di notte, attorno al fuoco, arrostendo, appunto, marshmallow, e terrorizzando gli ospiti del campeggio, Morgan in particolare, che prende la cosa molto sul serio. 
Sempre parlando di tradizioni secolari, prima o poi il famigerato dottore farà la sua comparsa, rovinando le vacanza a tutti. O è soltanto Morgan, dalla fervida immaginazione e dallo spavento facile, che vede cosa inesistenti?

Marshmallow parte dal presupposto che voi conoscete la storia e siete in grado di prevederne ogni singolo sviluppo tra uno sbadiglio e l’altro, mentre date pure un’occhiata al telefono. Infatti rispetta tutte le tappe arcinote del filone cui finge di appartenere per i primi quarantacinque minuti. Eppure, se prestate attenzione, ci sono tanti dettagli che tornano poco e dovrebbero farvi scattare un campanello d’allarme diverso da quello riservato a un generico assassino con maschera.
Gli incubi di Morgan, per prima cosa: viene data loro un’importanza che pare eccessiva, e che può essere giustificata solo dal fatto che la paura del bambino per l’acqua ci torna utile perché il campo si trova su un lago e, prima o poi, a quel lago ci dovremmo arrivare. Ma non è comunque sufficiente.
Altro dettaglio bizzarro è il personaggio del nonno di Morgan: all’inizio è l’unico che pare dargli retta e sapere come prenderlo, però muore di botto e senza senso un paio di giorni prima che il nostro protagonista parta per le vacanze, e la cosa ha un effetto molto particolare sulla mente di Morgan, che non è soltanto assimilabile al dolore per aver perso una persona cara.

Anche le regole stesse del campeggio sono bislacche: dal divieto di tenere con sé telefoni e altri oggetti elettronici, alla disposizione degli ospiti nei bungalow, al trattamento che la direzione riserva ai bulli, alla reazione, tutto sommato abbastanza distaccata, davanti agli episodi di violenza (uno in particolare abbastanza estremo) tra i ragazzi. 
C’è poi questa insistenza, da parte dello staff, a far ingerire a tutti, ogni sera, la cioccolata calda, quasi una costrizione, e insomma, qualcosa che non convince, nel campeggio c’è, basta solo farci caso. Più che un centro estivo dove spedire i bambini per toglierseli dai piedi qualche settimana, sembra una realtà distopica.
Bravo il regista a mischiare la carte tanto da non farci intuire in anticipo il vero cuore della vicenda, a tenere sempre in piedi un’atmosfera che ricalca lo slasher anni ’80, così da creare un falso senso di sicurezza negli spettatori e, allo stesso tempo, alzare con molta gradualità il volume delle stonature su uno spartito che pensiamo di avere imparato a memoria. 
Poi arriva il colpo di scena, e sta a voi decidere se vi va di seguire la strada intrapresa dal regista o se pensate che l’abbia fatta fuori dal vaso. 

Per quanto mi riguarda, apprezzo sempre le scelte coraggiose e ambiziose, in particolare se vengono fatte all’interno di film minuscoli come questo. Marshmallow è un esordio a basso budget che si rifiuta di giocare sul sicuro; non fa quello che da lui ci si aspetta, cambia tono e genere in corsa, abbandona la commedia horror e abbraccia il dramma esistenziale, quello che spinge a porci domande sulla nostra identità. Non lo fa sempre bene e non lo fa sempre in maniera fluida ed efficace. Qua e là ci sono un paio di forzature abbastanza grosse e non ogni cosa si incastra alla perfezione alla fine.
Ma è comunque una gradevolissima sorpresa indie di mezza estate, e credo valga la pena una novantina scarsa di minuti del vostro tempo.

5 commenti

  1. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Riguardo alla leggenda locale per un attimo ho pensato ad una figura simile al fulciano Jacob Freudstein, anche se la mia forte impressione (supportata dalla tua rece) è che, in questo caso, sia proprio la fantascienza (appunto) ad avere la meglio su tutto il resto…

  2. Avatar di psichetechne

    Grazie Lucia, lo vedrò senz’altro ❤️

  3. Avatar di Edo

    Bello!! Ho ormai capito che ammemmipiace quando quello che capita devia da quello che sai succederà.

    Recenti sono questo, terror firma, e altri della compagnia, non 28 anni dopo o fd bloodline, ad essere my cup of tea. Gustibus )

  4. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Visto ieri. Confermo i problemi già da te rilevati, a tratti è faticoso e certe incongruenze (poi chiarite nel finale) soffocano la partecipazione emotiva. Proprio il finale, ovvero l’elemento in grado di dare un sussulto, mi è sembrato più sorprendente che efficace, un po’ nebuloso. Alla fine non mi è dispiaciuto, ma tutto considerato mi è sembrato non all’altezza delle sue possibilità

  5. Avatar di Frank La Strega

    L’ho visto davvero volentieri.