
Regia – George A. Romero (2005)
A partire dal 1985, anno di uscita de Il Giorno degli Zombi, il cinema dei morti viventi subisce una battuta d’arresto. Se si guarda alla filmografia della seconda parte degli anni ’80 si registra un calo di uscite interessanti, esclusa ovviamente la saga inaugurata da O’Bannon sempre nel 1985, e di cui parleremo a breve (segnatevelo). Ma O’Bannon porta gli zombi una direzione molto diversa rispetto a quella che aveva dato loro vita cinematografica a partire dal 1968. Resiste qualcosa dalle nostre parti e ci sono un paio di titoli importanti che parlano di gente tornata dalla tomba (Pet Sematary su tutti), ma lo zombie romeriano diventa sempre più raro, fino a sparire quasi dalla circolazione intorno agli anni ’90.
Dove il genere se la passa meglio è il settore dei videogiochi: è proprio da lì che comincia, infatti, la sua rinascita su grande schermo, dall’arrivo in sala di Resident Evil nel 2002, seguito poi a ruota da 28 Giorni dopo. Questi due film ci portano dritti al rinascimento zombie che ha caratterizzato gran parte degli anni ’10.
È il contesto in cui La Terra dei Morti Viventi va inserito, il motivo per cui, vent’anni dopo l’ultimo capitolo della trilogia originale, la Universal ha allungato a Romero quindici milioni di dollari (il budget più alto dell’intera serie) per realizzare questo sequel tardivo. E bellissimo.
Romero non faceva un film da un bel po’, da Bruiser, uscito nel 2000, e arrivato a sua volta a sette anni di distanza dal film precedente (La Metà Oscura). Non ha avuto una carriera fortunata, Romero: anche lui, come le sue creature in stato avanzato di decomposizione, è uscito malconcio dagli anni ’90, ma non ha mai rinunciato davvero a raccontare di straccioni usciti dalle tombe per fare la rivoluzione.
Come sappiamo bene, i primi anni del secolo sono anche gli anni dei remake, e infatti, quando alla Fox si rendono conto che i morti viventi sono tornati a far staccare i biglietti, si precipitano da Romero e gli dicono che sì, può continuare a giocare con gli zombi, ma il nuovo film si deve intitolare Night of the Living Dead. Al che Romero intuisce il vero obiettivo dello studio: prendersi i diritti della sua saga. Se ne va sbattendo la porta, passa alla Universal e dà il via alla sua produzione più complessa e ambiziosa, avendo finalmente a disposizione un budget tale da permettergli di mettere in scena cose che, nei film precedenti, si erano sempre rivelate impossibili.
Esiste una grossa differenza tra la maggior parte dei film e dei racconti post-apocalittici (anche quelli di Romero stesso) e Land of the Dead: la società non è collassata, si è soltanto adattata alla nuova situazione, ma ha mantenuto inalterate le sue strutture fondamentali, ovvero l’importanza del denaro e una nettissima divisione tra classi. Non c’è un governo vero e proprio, ma c’è un oligarca ricchissimo, Kaufman (Dennis Hopper) che si è comprato una torre al centro di Pittsburgh, l’ha riempita di appartamenti di lusso dotati di tutte le comodità e ci fa vivere chi può permettersi di pagare. Il resto della popolazione se ne sta nelle baracche sorte nelle vicinanze della torre, a raccogliere le briciole e a vivere di stenti, ma comunque protetta dalla minaccia principale: i morti viventi.
È in pratica un sistema feudale a trazione capitalista, con i poveracci che crepano come mosche perché non hanno neanche gli antibiotici, e i ricchi che si ingozzano di provviste fornite da milizie private con il compito di andare a fare razzie dall’altra parte del fiume, barriera naturale all’orda di morti che vaga per le strade.
Sembra uno scarto minimo rispetto ad altre narrazioni apocalittiche, ma la grande intuizione di Romero qui sta tutta nell’aver lasciato intatto il valore del denaro; in una delle prime scene di 28 Giorni dopo, il protagonista, aggirandosi per una Londra deserta, trova in terra una manciata di banconote, ed è il momento in cui capisce davvero che qualcosa si è rotto per sempre.
Nel film di Romero, tutto ruota intorno ai soldi.
I soldi ti danno potere, prestigio, comodità, privilegi, sono lo scudo dietro al quale ripararsi quando va tutto male, sono la principale aspirazione di Cholo (John Leguizamo), sono la sottile linea che separa la vita dalla morte, e dalla non morte.
È un film del 2005, e quindi riflette per forza di cose un certo tipo di mentalità americana post 11 settembre, ma Land of the Dead, visto nel 2025, colpisce ancora più forte, non tanto per la sua natura di precisa e impietosa fotografia di un momento storico, quanto per il suo concretizzarsi come una profezia perfettamente azzeccata della nostra esistenza quotidiana oggi. Questa capacità di anticipare con chiarezza la strada che il mondo avrebbe intrapreso è sconcertante, e non so voi da quanto tempo non rivedete il film, ma il mio consiglio è di farlo il prima possibile, perché c’è dentro tutto: è durissimo da accettare, è doloroso come uno schiaffone, ma è anche molto salutare.
Se si guarda a tutto l’horror dei primi 2000, si possono riscontrare delle caratteristiche comuni, e presenti anche in Land of the Dead: sfiducia nell’autorità, paura di aver perso il proprio ruolo dominante, certezza di essere dalla parte giusta che scricchiola sempre di più, il tutto unito a una diffidenza nei confronti dell’altro, di chi non condivide i nostri stessi “valori”, che porta naturalmente ad arroccarsi in loro difesa su posizioni sempre più reazionarie. L’unico modo per fugare il dubbio di essere ancora i “buoni”, è pensare che gli altri siano molto più cattivi, e più questo dubbio si fa pressante e genera angoscia, più l’odio per chi si percepisce come distante e incomprensibile aumenta.
Ma nell’horror di inizio millennio, tutto questo insieme di pulsioni confuse e contrastanti aveva quasi sempre uno sbocco conservatore: il padre giustiziere de Le Colline Hanno gli Occhi, l’utopia machista di Snyder, gli stranieri barbari e torturatori di Hostel. Romero ha uno sguardo più maturo e consapevole, ed è il motivo per cui riesce a squarciare il velo della contingenza e a camminare sempre qualche passo avanti agli eventi a lui contemporanei.
L’intuizione formidabile de La Terra dei Morti Viventi risiede nel trionfo del capitalismo sulle macerie della civiltà, e nella presa di coscienza degli ultimi, in questo caso gli zombie, come unica alternativa possibile per provare a ricostruire su queste macerie.
Se è vero che Big Daddy (Eugene Clark) è un’evoluzione di Bub, la ribellione dello zombie autocosciente di Day of the Dead è una faccenda individuale, riguarda lui e nessun altro: Bub finisce per uccidere la sua nemesi (anzi, per farlo uccidere), ma non c’è altro sbocco per lui se non restare a marcire nella base militare; la ribellione di Big Daddy è collettiva, è smettere di restare imbambolati di fronte ai fuochi d’artificio sparati in aria dalle milizie (i fiori nel cielo, shock and awe) e andare all’assalto della torre. Fuor di metafora, è coscienza di classe. Più chiaro di così, Romero non poteva essere: a un certo punto, i suoi zombi rivoltosi prendono in mano gli strumenti di lavoro e li usano come armi. Falce e martello, in pratica.
E infatti, a parte qualche critico lungimirante (tra cui il solito Ebert), nel 2005 il film venne preso a pernacchie da quasi tutti i fan della trilogia originale, venne accusato di essere sempliciotto, troppo diretto, pieno di riferimenti eccessivamente espliciti alla presidenza Bush (“Noi non trattiamo con i terroristi”, dice a un certo punto Kaufman).
Ma il punto, vedete, è che esiste una netta distinzione tra un cinema genericamente politico, e un cinema politicamente schierato. Il secondo non si può permettere di essere ambiguo facendo contenti tutti per un messaggio passibile di diverse interpretazioni; il secondo deve essere il più chiaro possibile. E non lo dico io, lo diceva, usando parole migliori delle mie, un signore di nome Rod Serling negli anni ’50.
Il cinema di Romero è politicamente schierato, lo è in maniera netta e incontrovertibile, e non è vero che Land of the Dead non è stato capito: non c’è niente da capire perché è tutto urlato, è solo che ci siamo tappati le orecchie e non lo abbiamo voluto ascoltare.
Mi chiedo spesso cosa direbbe oggi Romero se fosse ancora vivo e potesse vedere cosa sta succedendo. Forse direbbe soltanto che lui ci aveva avvertito: che quando gli ultimi si incazzano davvero non stanno a fare sottigliezze con i penultimi e si mangiano pure quelli, che mentre stiamo ad azzuffarci tra noi, c’è chi sta già scappando con un borsone pieno di soldi e che alla fine, la famosa lotta di classe l’abbiamo davvero voluta perdere.
Però Romero, come tutti gli anarchici, era pure un inguaribile ottimista, e alla fine una speranza ce la lascia. La lascia ai vivi e ai morti, perché, dopo tutto, vogliamo soltanto un posto dove andare.












Per me G.A. Romero ha sempre usato il genere per fare un cinema politico : come Carpenter ma più lucido e consapevole .
Credo che sia perché Carpenter non ha le idee chiare come Romero, che politicamente parlando era proprio schierato.
Infatti i due ebbero sempre rapporti problematici con Studios e produttori
Nel cinema di oggi, negli USA perlomeno, non lavorerebbero proprio
Per me questo film è uno dei migliori Zombi movie di sempre. Anzi, credo sia proprio quello che preferisco dopo “Zombi”. Lo riguardo una volta all’anno e mi sa che è tempo di revisione, vista l’afa che c’è in questa calura estiva.
Per me anche, nella mia classifica di Romero personale arriva al secondo posto dopo Day of the dead. E nel XXI secolo, fino a ora, è stato superato soltanto da Train to Busan
Film fighissimo! 🙂
Forse il mio preferito di Romero (se la gioca…).
Giorno lucia,essere politicamente schierato nei film non e’ facile,spesso si corre il rischio di sfiancare gli spettatori e di sacrificare la godibilita’,io stesso preferisco un approccio maggiormente neutrale,fortunatamente Romero riusciva nell’impresa di non risultare eccessivamente pedante.Detto cio’ “Land Of The Dead” e’ un gran bel film di zombi,e meno male che almeno per una volta nella sua vita ebbe un budget dignitoso,buon 20 anniversario!.🎂
Gli eroi / antieroi di Carpenter fondamentalmente sono anarchici. Gli eroi / antieroi di Romero hanno una coscienza di classe. Non sono necessariamente ‘rossi’. Carpenter fondamentalmente contrappone un individualismo ‘giusto’ a individualismo ‘malato’ che alla fine smerda gli stessi principi da cui parte . (Se TUTTI stanno male, non puoi stare bene pure tu). Romero ti dice ‘quando i morti camminano sulla terra , bisogna smette di uccidere. Se no si perde la guerra’. Carpenter ti dice ‘Se vincete voi , perde il terzo mondo. Se vincono loro, voi perdete. Tutto cambia per non cambiare’.
Quando si parla chiaro, le prime pernacchie arrivano da tutti quelli che hanno capito fin troppo bene per voler continuare ad ascoltare, in genere, e Romero parlava chiaro eccome, tanto da risultare ancora più che attuale dopo vent’anni suonati…
Il primo film di zombi romeriano veramente brutto ! Il tema politico è sempre stato presente in Romero, vedi la metafora del supermercato in “Zombi”(1978) ; ma i temi sociologici erano più subliminali e quindi più efficaci ; qui è tutto troppo esibito e finisce spesso per lambire il ridicolo involontario. Grandissima delusione…
Visto al cinema e apprezzato, rivisto in tempi più recenti e letteralmente adorato: zeppo di trovate geniali, poetico, in perfetto equilibrio tra satira e denuncia, coerentemente “fuori moda” nel considerare gli zombi individui e non carne da macello che è lecito ammazzare ludicamente quando più ci aggrada (come gli zombi veloci dei videogames e del revival zombistico di inizio millennio).
Bellissima recensione, Lucia
Che poi, se ci pensi, è esattamente la conclusione a cui è arrivato, vent’anni dopo, Boyle con il suo ultimo film. Piano piano, tornano tutti a Romero.
Grazie!