Fear Street: Prom Queen

Regia – Matt Palmer (2025)

La mia amica e co-host di Nuovi Incubi, Marika, tiene una rubrica sul suo Twitch, chiamata “Avvocato d’ufficio”, nel corso della quale difende i film considerati indifendibili da chi se ne intende di cinema. È un lavoro sporco e ingrato, e non sempre ripaga della fatica necessaria a condurlo in porto. Ma è un anche un lavoro giusto e santo, perché ci sono dei film che vengono odiati senza motivazioni plausibili, solo per il fatto di esistere o di essere usciti in un determinato momento storico. Aggiungo che difendere un film indifendibile o presunto tale non conduce necessariamente alla conclusione che l’opera sia un capolavoro, ma soltanto che, forse, non è proprio da buttare. Mi pare che Prom Queen appartenga di diritto a questa categoria: lo si prende di mira perché fa il proprio mestiere, anche se, pure lui, poveretto, non si è scelto proprio un bel mestiere: quello dello slasher costruito a tavolino a uso e consumo dei nostalgici, e pure fuori tempo massimo. Soprattutto se si considera che Prom Queen arriva dopo una trilogia giustamente osannata in lungo e in largo, capirete che il ruolo di parente povero e un po’ scemo ce l’ha marchiato in fronte. Lui e il suo regista, che in realtà è un ottimo professionista, ma si sa, quando un film nasce per essere detestato, ci vanno di mezzo tutti, anche chi non ha poi così tante colpe.

Ovvio che avrei preferito anche io che Leigh Janiak tornasse dietro la macchina da presa e proseguisse nella sua, non destrutturazione, ma ristrutturazione del mio filone horror preferito, ma dalle parti di Netflix hanno deciso diversamente; qualcuno avrà pensato che i tre Fear Street del 2021 erano arrivati, e avevano avuto successo, in un clima differente da quello attuale e che, questa volta, era meglio andare sul sicuro, tenersi nel confortevole alveo della tradizione. Nel dubbio, sii sempre conservatore. Se la pagheranno per quello che, alla fine, si è rivelato un errore, io non lo so. Non so se il progetto originario di fare di Fear Street una sorta di MCU horror esista ancora, se si proceda a casaccio, se Prom Queen sia stato sbattuto sulla piattaforma soltanto perché ormai lo avevano girato e montato, era costato due spicci e tanto valeva mandarlo in streaming. Netflix è misteriosa nei suoi meccanismi e di rado gioca a carte scoperte. Sta di fatto che gli intenti erano chiari sin dalle varie locandine che scimmiottavano famosissimi slasher degli anni ’80: Prom Queen è una replica scala 1 a 1 degli slasher dei primi anni ’80. Non guarda avanti, non aggiorna le caratteristiche del genere alla sensibilità attuale, non ne modifica la struttura intrinseca. E non è che ci prova e non ci riesce: non ci prova neanche. Non vuole provarci. 

Per cui le mean girls sono davvero cattive, tranne una il cui arco di redenzione arriva troppo poco e troppo tardi; il personaggio queer coded possiede delle chiarissime vestigia esteriori queer, ma resta, appunto, soltanto codificato in quella maniera, senza che ciò abbia alcun effetto sullo svolgimento della storia; il ballo di fine anno che, nel cinema degli ultimi vent’anni, è stato fatto oggetto di satira, disprezzato, sminuito e ridicolizzato, qui torna a essere il momento più significativo dell’anno scolastico, anche se la nostra final girl alla fine comprende che i valori importanti sono ben altri, signora mia; i bulli sono bulli e anche stupidi, gli sfigati restano tali, la rigida struttura gerarchica delle superiori statunitensi se ne sta lì, scolpita nel granito e nessuno si azzarda a rovesciarla. 
Come dicevo prima, è una replica perfetta, con la sola differenza che gli attori sono giovani sul serio e non trentenni che si fingono liceali. Che, se ci pensate, sarebbe stato un colpo da maestro. 
Se questi siano pregi o difetti, non sta a me dirlo. Dipende da cosa chiedete a un film, anzi, a uno slasher, e i vostri desideri possono anche cambiare a seconda del momento. Però va tenuto presente che sono le fondamenta di Prom Queen e, a mio parere, è più importante capire cosa ci ha fatto Palmer con queste fondamenta. 

Io credo che abbia fatto un buon lavoro in sede di messa in scena e realizzazione complessiva; un po’ meno in sede di sceneggiatura, perché va bene fare la copia esplicita, ma pure se copia, non è detto che debba essere così generica a livello di trama e sviluppo narrativo.
Fear Street: Prom Queen è tratto da The Prom Queen, quindicesimo libro della serie di R. L. Stine pubblicato nel 1992, ma la sceneggiatura, opera dello stesso Palmer e del suo abituale collaboratore Donal McLeary, si prende tante di quelle libertà rispetto al testo, che mettersi a fare paragoni è un esercizio molto sterile.
Ambientato nel 1988, racconta della reietta del liceo di Shadyside, Lori Granger (India Fowler) che decide di candidarsi a reginetta del ballo per ottenere, almeno all’ultimo anno scolastico, una qualche forma di riscatto sociale. La sua emarginazione deriva dal fatto che sua madre è sospettata di aver ucciso suo padre proprio a un prom di diversi anni prima, ma non ci sono mai state le prove per accusarla.
A mettersi di traverso a Lori sono le altre candidate, il cosiddetto Wolf Pack, ovvero la popolare e bellissima Tiffany e il suo codazzo di amiche.
La serata del grande evento procede come di consueto, tra rituali di umiliazione e schermaglie amorose, punch corretto e musica di merda, quando un assassino mascherato comincia a uccidere tutte le pretendenti al trono.

Prom Queen è uno slasherino che, se fosse uscito nel 1985 o giù di lì, sarebbe arrivato nelle sale, avrebbe incassato il doppio dei suoi costi di produzione e poi sarebbe finito serenamente sugli scaffali dei videonoleggi; mai avrebbe raggiunto lo status di cult, ma forse sarebbe stato ricordato con affetto da qualche ragazzino che lo aveva affittato per sbaglio a un’età impressionabile. 
Esteticamente sarebbe stato molto più grezzo, avrebbe avuto più nudità esposte e gli effetti speciali sarebbero stati molto lontani dalla perfezione di quelli qui presenti, perché Netflix ripulisce, in ogni senso possibile. 
Uscendo nel 2025, fa una certa tenerezza e diverte senza troppe pretese, contiene delle buone sequenze di omicidi, è violento quanto basta, con la giusta quantità di sangue, ma senza scadere troppo nel triviale, è camp, è colorato, infantile e pure un po’ scemo. E no, non è per niente brutto, nonostante ve lo stiano dicendo in tutte le lingue. 
Non è brutto come non sono brutti Prom Night, The Prowler o Graduation Day. E il mio amore incondizionato per questi tre film ha poco a che spartire con le loro oggettive qualità e tanto con la me giovane. Si tratta, in tutti i casi, di ieri e di oggi, di prodotti medi confezionati su misura per una certa fascia di pubblico. 
Prom Queen è una replica di uno slasher anni ’80, ma appartenente all’era e al pubblico dello streaming; non è per i nostalgici, anche se punta sull’effetto nostalgia con musica e costumi, è per chi ha 20 anni adesso e, per colpa di un enorme vuoto creativo, vive ancora nell’ombra di un’epoca che non ha mai vissuto. 

Visto così, è anche un prodotto interessante da un punto di vista linguistico, perché offre una finestra sul pigro manierismo cinematografico contemporaneo delle grandi piattaforme, oltre a dimostrare che lo slasher è nel pieno di una nuova ondata di popolarità. Per un Heart Eyes, aspettatevi almeno cinque Prom Queen. Non è necessariamente un male: significa che il filone è vivo e vegeto e che, come succedeva 30 o 40 anni fa, arriva roba di ogni livello qualitativo. Ogni tanto, divertirsi per una novantina di minuti con un film medio, si può anche fare. E sarebbe pure il caso di accettarla, l’esistenza dei film medi, perché sono la maggioranza. Nel cinema di genere, una maggioranza piuttosto ampia. 
Poi avete tutto il diritto di odiarlo e vituperarlo, Prom Queen, ma ricordate che qualsiasi film in cui i personaggi leggono Fangoria e vanno al cinema a vedere Phantasm II non può essere brutto. Mi dispiace, queste sono le regole.

11 commenti

  1. Avatar di alessio

    Nel 2021 venne dato alle stampe un libro piccino (non un libro piccolo), un volume di poco più di 200 pagine del sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos dal titolo “Il futuro comincia ora”; il pensiero espresso (provo a riassumerlo attraverso le sue parole) è che: “la dominazione moderna si fonda su tre pilastri: il capitalismo, il colonialismo, e il patriarcato; tutti basati sul concetto che la natura ci appartiene”. Ma come “cambiare il modo in cui vediamo la natura” prima che “quest’ultima inizierà a scrivere il lungo e doloroso epitaffio della vita umana sul pianeta”? Immaginando un futuro diverso. E Come? Attraverso l’utopia, un’utopia che si fondi “sulle classi e gruppi sociali etno-razziali e di genere esclusi dalla moderna dominazione”. Quando, nello stesso anno, Netflix licenziava la trilogia della Janiak, chi di noi dopo pochi minuti di visione non aveva già pensato di trovarsi davanti all’ennesimo teen horror, uno slasher il quale non disdegnava neanche il colpo basso di strizzare l’occhio anche al fruitore quarantenne con una bella spruzzata di effetto nostalgia (per me è stato ascoltare Fear of the Dark degli Iron Maiden)? Beh, andando avanti col girato e coll’incedere delle settimane (disponibili la parte II e III), la trilogia della Janiak si è denudata mostrandosi per quel che è: un progetto-utopia ambizioso nell’impianto quanto rivoluzionario nel messaggio: nella parte III scopriamo come la narrazione sulla maledizione di Shadyside sia una costruzione posticcia che poggia su secoli di menzogne perpetrate dall’autorità e, che saranno gli ultimi – i reietti – i “gruppi sociali etno-razziali e di genere esclusi dalla moderna dominazione” a rompere il maleficio e rovesciare lo status quo.

    Se è vero che dopo ogni rivoluzione è il momento della restaurazione è comunque impossibile non sentirsi spiazzati da questo quarto capitolo che è un gioco senza ambizione al quale ci si trova impreparati; così, alla fine, la bella colonna sonora è una semplice playlist anni Ottanta, i props scenografici un riempimento di scena ma incapaci di raccontare i personaggi… Insomma Prom Queen va preso per quel che è, intrattenimento senza acuti per trascorrere novanta minuti gradevoli ma senza troppe pretese.

    1. Avatar di Lucia

      ma sì, è puro cinema di intrattenimento dell’era delle piattaforme. La trilogia di Fear Street è stata un’eccezione.

  2. Avatar di Luc@

    Mi hai fatto ricordare che PHANTASM uscì nei cinema italiani nel 1980 , se non ricordo male, misteriosamente NON vietato !

    1. Avatar di Lucia

      Questo non te lo so dire perché io avevo un anno e mezzo!

      1. Avatar di Luc@

        Io una decina e fu il primo horror che mi sparai al cinema , battesimo indimenticabile

        All’ epoca a 10 anni già andavi al cinema da solo coi tuoi amici il sabato o la domenica pomeriggio

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Il fatto che non si tratti di un proseguimento diretto della trilogia di qualche anno può aver spiazzato (che, beninteso, è altra cosa rispetto all’odio a prescindere) parecchi, in effetti, pur se mi pare -e sottolineo “pare”- di aver capito (leggendone qua e là) che, in qualche modo, il collegamento con i tre “Fear Street” originale poi ci sia…

    1. Avatar di Lucia

      Il collegamento c’è, ma è talmente labile che si vede lo hanno messo lì soltanto perché dovevano. Il film può serenamente prescindere da qualsiasi legame con la trilogia del ’21

  4. Avatar di Christian Princeps
    Christian Princeps · ·

    Oddio, “Graduation day” e “Prom night” sono film decenti, ma veramente non molto di più ( anche se i seguiti di “Prom night” che si inoltrano sulla strada del sovrannaturale tout court,a differenza del primo film, sono veramente orrendi). “The Prowler” , però, è veramente un grande film ,uno degli esiti più alti dello slasher americano anni ‘ 80, ci si potrebbe azzardare a definirlo un “classico perduto “….

  5. Avatar di Frank La Strega

    Dello slasher non si butta via niente! 😉
    Bel post!

  6. Avatar di cinefilopigro

    La trilogia “originale” l’ho gradita molto, questo è molto meno avvincente. Un film girato con filtro instagram applicato e tante strizzatine d’occhio. Anche per il pubblico giovanissimo a cui si rivolge non lo consiglierei.

    1. Avatar di Lucia

      Ma sicuramente è inferiore alla trilogia di Janiak, anzi, non la guarda neanche da lontano. Però hanno voluto prendere un’altra direzione, anzi, addirittura opposta.