Purtroppo per sapere il parere della vostra affezionatissima sul nuovo Final Destination vi tocca aspettare una settimana. So che proprio non state nella pelle e non potete vivere senza, ma la sorte si accanisce impietosa e beffarda; no, non realtà devo solo attendere che torni una mia amica da un viaggio, e dato che ci tengo a vedere il film con lei, lo faccio volentieri. E per riempire il palinsesto, abbiamo sempre le nostre amate Pilloline che ci aspettano, anche perché ho accumulato un discreto numero di film nelle ultime settimane. Come in ogni edizione delle Pillole che si rispetti, ce n’è per tutti i gusti, dall’horror soprannaturale al folk horror, passando per una commedia violentissima e un thriller a singola location. Al solito, per il migliore del mucchio, fa la sua comparsa Shudder, che è qui a salvarci la vita ogni settimana. Accomodatevi dunque, e andiamo a incominciare.
Partiamo subito con l’acceleratore schiacciato a tavoletta per andarci a vedere il nuovo film del duo di registi che, qualche anno fa, ci ha regalato quel delizioso confettino di Villains. Tornati poi dietro la macchina da presa per Significant Other, questa volta Dan Berk e Robert Olsen si danno alla commedia action in salsa splatter con Novocaine, che credo sia arrivato anche al cinema dalle nostre parti a fine marzo. Quel simpaticone di Jack Quaid interpreta Nate, un personaggio con una rara malattia genetica che gli impedisce di sentire dolore qualunque cosa gli accada. Grazie a questa condizione, conduce una vita molto triste e isolata e ha paura di tutto, anche di mangiare cibi solidi, perché potrebbe mordersi la lingua e morire dissanguato senza neanche rendersene conto. Un bel giorno una collega lo invita a pranzo: Sherry (Amber Midthunder), oltre a far assaggiare a Nate una torta per la prima volta in vita sua, gli fa passare una bellissima serata. Peccato che, il giorno dopo, una banda armata faccia irruzione nella banca dove i due lavorano per rapinarla. I malviventi uccidono il direttore e prendono Sherry in ostaggio. A Nate toccherà adoperarsi per riprendersela, con effetti devastanti ed esilaranti sul suo corpo.
Godibile, divertente e leggerissimo, Novocaine passa in un lampo e propone al suo pubblico un sorprendente bagno di sangue, narrato con i toni della rom com; c’è spazio anche per un colpo di scena che, vabbè, lo vedi arrivare mezz’ora prima, ma complimenti al tentativo. A vestire i panni dello spietato capo banda troviamo Ray Nicholson, cosa che fa di questo film il festival dei nepo baby.
Rispetto a Villains e Significant Other a me è parso un passo indietro, ma di sicuro ci sono più soldi e più star di mezzo, e di conseguenza più spettatori raggiunti.
Per chi dice che non si è fatto niente anche quando gronda sangue.
Altro giro, altra vecchia conoscenza: David Yaroveski, già regista di Brightburn e Nightbooks, entrambi apprezzatissimi da queste parti, torna con un film tutto ambientato all’interno dell’abitacolo di una macchina e con un solo personaggio visibile per gran parte della sua durata. Voi direte che l’avevano già fatto con Tom Hardy, e l’avevano fatto anche meglio, ma qui abbiamo il giovane Bill Skarsgård, ormai principino ufficiale del cinema horror, nel ruolo di un ladruncolo con un disperato bisogno di soldi, e Sir Anthony Hopkins in quello del vecchio psicopatico che lo chiude dentro a un SUV corazzato per dimostrare che i giovani sono tutte mezze seghe. Il film si intola Locked e, se proprio non brilla per originalità e ispirazione, è solido, abbastanza feroce e con due attori (anche se Hopkins compare solo nell’ultimo quarto d’ora e fin lì ne sentiamo solo la voce) in grado di venderti qualsiasi cosa.
Forse lo sovrastimo perché ho un debole per i film che si svolgono in un unica location, più ristretta e claustrofobica è, più io sono contenta, ma credo che si tratti di un thriller molto ben girato e con un gran ritmo, che è sempre l’obiettivo più difficile da raggiungere quando c’è un solo attore in scena, e il massimo da vedere sono dei sedili in pelle e un parabrezza bagnato dalla pioggia. C’è spazio, invero, anche per un paio di sequenze di azione pura, dato che a un certo punto, la macchina si muoverà, e per un discreto ammontare di gore che da queste parti si accoglie sempre con piacere.
Ogni tanto deraglia nei dialoghi che vorrebbero essere una sorta di denuncia della condizione politica attuale negli Stati Uniti, ma sono un po’ troppo didascalici per essere realmente efficaci. Si riprende quando entra in scena sua maestà Hopkins con un monologo da matto in culo e il ghigno da cannibale che ormai gli viene fuori col pilota automatico.
Per quelli che ucciderebbero chi ha provato a rubargli il Mercedes.
Veniamo poi all’horror più classico e tradizionale presente nel quartetto odierno. It Feeds è diretto dal veterano del cinema dell’orrore indipendente e a basso budget Chad Archibald e segna il ritorno al genere di Ashley Greene (mentre aspettiamo The Ritual tra un paio di settimane), che qui fa la mamma di figlia adolescente, sottolineando quanto siamo tutti disastrosamente invecchiati.
It Feeds pesca a piene mani dal serbatoio di maledizioni che si trasmettono come virus, più o meno lo stesso di It Follows, di cui è parecchio debitore a partire dal titolo; è soprattutto, tuttavia, una variazione sul tema e sull’estetica del cinema di James Wan, in particolare di Insidious. Insomma, è un gigantesco plagio realizzato però con tonnellate di classe, tanta consapevolezza e una comprensione molto precisa delle dinamiche della paura.
Racconta di una psicoterapeuta con il dono di riuscire a entrare nella mente dei suoi pazienti e andare dritta così alla radice dei loro traumi e problematiche varie. Quando si presenta alla sua porta una ragazzina che dice di avere un’entità attaccata addosso tipo sanguisuga, le cose precipitano in fretta.
Non aggiungo altro sulla trama perché ci sono un paio di svolte interessanti, e perché, essendo un film che segue il manuale dell’horror soprannaturale passo dopo passo, il resto ve lo potete immaginare da soli.
La cosa davvero riuscita di It Feeds è che spaventa sul serio e, nel farlo, si prende anche qualche rischio, in particolare nella sequenza finale. Se ne sta bello dritto sui binari del manierismo spinto, e poi ci infila dentro quel paio di dettagli e momenti ben riusciti che ti tolgono il terreno sotto i piedi. Qualcuno potrebbe consideralo kitsch, e forse lo farà, ma, al netto del fatto che il film successivo è migliore, It Feeds è il mio preferito di oggi. Fa un ottimo lavoro sui jump scares, e sfrutta proprio la sua natura prevedibile per collezionare scene che non lo sono affatto.
Per chi non si vergogna di amare il PG13.
Chiudiamo con Shudder e con Fréwaka, l’attesissimo folk horror in gaelico di Aislinn Clarke, la regista irlandese che ci aveva stregato con The Devil’s Doorway nel 2018.
Pare fatto apposta, ma queste sono un po’ le Pillole dei passi indietro. Abbiamo tre registi su quattro con dei film inferiori rispetto ai loro lavori precedenti; non dico delusioni, altrimenti non sarebbero qui, però sotto le aspettative, in tutti i casi.
Ciò detto, Fréwaka è un bellissimo film, almeno da un punto di vista estetico. Ha purtroppo il problema di un racconto un po’ troppo frammentato e di un ritmo che, va bene lo slow burn, ma dopo un po’ cala la palpebra e per risvegliarci tocca farsi una pera di caffeina.
Il film è la storia della giovane infermiera a domicilio Shoo, a cui viene assegnato un incarico in un remoto villaggio sperduto nei meandri della ridente campagna irlandese. Deve prendersi cura di Peig, una scorbutica signora che ha da poco avuto un ictus e vive reclusa nella sua casa isolata, non lascia entrare nessuno, ha un grave problema di agorafobia ed è convinta che ci sia qualcuno intenzionato a rapirla per portarla chissà dove. Sarà vero o è soltanto la mente della donna che la sta lentamente abbandonando? E cosa ha a che fare Shoo con tutto questo?
Fréwaka significa radici, e già dal titolo si dovrebbero comprendere tante cose. Shoo ha da poco perso la madre (suicida) con la quale non aveva affatto un buon rapporto. C’è un passato di abusi e di fanatismo religioso nella vita dell’infermiera, ma anche in quella della sua paziente, e l’elemento più riuscito del film è il rapporto che si viene a instaurare tra questi due personaggi all’apparenza così distanti, ma in realtà uniti da un legame ancestrale.
Clarke è molto brava quando scava nella psicologia delle sue protagoniste, nelle loro lacerazioni interiori, e a saldare questo nodo di angoscia e terrori primordiali alla cultura del proprio paese. Nel caso di Fréwaka questa connessione è ancora più forte, perché è la natura stessa del folk horror a renderla tale.
Ci sono degli attimi di una bellezza che ti paralizza, in Fréwaka, e dispiace tantissimo che le capacità della regista di mettere in scena i suoi incubi rarefatti non vadano di pari passo con una storia forte e ben condotta. Da vedere, in ogni caso.
Per quelli che “la campagna è un posto tranquillo”.














Lo so che non c’ entra un kaiser e chiedo venia ma per vedere Shadder devo per forza usare VPN et similia , vero ?
Purtroppo sì, perché devi simulare la tua presenza negli Stati Uniti, dato che Shudder da noi non è visibile.
Grazie, lo immaginavo : folle che non si possa accedere dal proprio paese …
Qualsiasi riproposizione di Phone Booth avrà sempre tutta la mia attenzione, quindi ho apprezzato molto Locked, che peraltro esplora tutto l’esplorabile in termini di soluzioni sia narrative che visive, servendo tutto con la massima perizia. Un discorso simile si può fare per Novocaine: si vede che si sono divertiti molto a trovare qualsiasi sofferenza da far patire al povero protagonista, perché tanto per lui sofferenze non sono. Questo ritorno dell’horror più ludico fa molto piacere anche a me.
Prende una quantità di mazzate inenarrabile, il povero Jack Quaid. E più ne prende più è simpatico