
Regia – David F. Sandberg (2025)
Il problema di molte persone è che non sanno più divertirsi. Anzi, un po’ si vergognano se capita loro, per un caso fortuito, di divertirsi. Di conseguenza non ammetterebbero neanche sotto tortura di essersi divertiti. Poi c’è tutta la genia a parte dei videogiocatori, ma di quei figuri in questa sede non parleremo perché li lasciamo a scannarsi su Twitter mentre disquisiscono con dotta terminologia dell’aspetto fisico di Ellie in The Last of Us.
Noi parliamo di gente che va in sala a vedere un horrorino senza pretese e poi si lamenta del fatto che è un horrorino senza pretese, pure con diverse frecce al suo arco e un paio di scene sorprendentemente efficaci.
Non ho mai giocato al videogioco da cui Until Dawn è tratto, ma non penso sia una questione dirimente per godersi il film che mi dicono essere diversissimo dalla fonte. Non posso (e non vorrei neanche se potessi) fare paragoni, quindi in questa sede cercherò di affrontare il film come un’opera a sé stante. Se qualcuno avesse giocato ad Unti Dawn e volesse dire la sua, è sempre benvenuto. Basta che non attacchi il pippone su quanto è diverso, signora mia, perché si sapeva in partenza che l’adattamento sarebbe stato così.
Sandberg non è un grande regista, questo è pacifico e risaputo. Ha però un buon occhio e sa come si dirige un horror commerciale a budget medio-basso. Dopotutto, uno dei migliori spin-off del Warren-verse è roba sua. Il migliore, almeno fino a quando non è uscito il secondo capitolo di The Nun. Insomma, è perfetto per portare sullo schermo la trasposizione di un popolare videogioco con un unico obiettivo: incassare. E infatti, Until Dawn, che è costato una quindicina di milioni, ne ha rifatti ben diciannove soltanto nella prima settimana di programmazione nelle sale; per un film di questo tipo, è la cosa più importante. Non siamo qui per fare felici i critici e gli esperti.
Se si esclude il caso, molto particolare, di Sinners (che è tuttavia un film popolare e niente affatto intellettuale), sono proprio i film della tipologia di Until Dawn a costituire l’ossatura del genere, la sua struttura portante. Gli horror “a colpo sicuro”, che la Blumhouse è tanto brava a realizzare. Però, appunto, devi essere in grado di realizzarlo, un horror a colpo sicuro, e in questo Sanberg si è dimostrato ineccepibile. Lui è tutti i suoi collaboratori, dai due sceneggiatori che hanno saputo creare una buona storia con i suoi tratti di originalità senza ricalcare quella del videogioco, al mio adorato Maxime Alexandre alla fotografia, passando per il montaggio millimetrico di quel volpone di Michel Aller, fino ad arrivare alle musiche di Benjamin Wallfisch. Sono tutti nomi di professionisti che bazzicano il genere da anni e sanno confezionare un prodotto che funziona come un orologio. E voi sapete meglio di me che io amo assistere ai risultati della collaborazione di consumati mestieranti dell’orrore.
Until Dawn racconta di un gruppo di amici che partono per ripercorrere le tappe dell’ultimo viaggio della sorella di una di loro, la protagonista Clover. Dopo essere partita quasi senza salutarla, sua sorella è scomparsa senza lasciare traccia. Le ultime notizie ricevute portano nel solito paese in culo a bifolcolandia, e una misteriosa dimora che sembra essere un centro visitatori, risalente a quando il paesunculo aveva una fortuna migliore. I nostri si introducono nella dimora e, non appena cala la notte, vengono massacrati uno a uno da un assassino mascherato dalla ferocia inusitata.
Il giorno dopo si risvegliano tutti quanti e capiscono, con un certo sgomento, che sono bloccati lì senza possibilità di fuggire e che, da quel momento in poi, ogni notte qualcuno o qualcosa cercherà di far loro la pelle. Non hanno vite illimitate, quindi devono ingegnarsi per riuscire a sopravvivere fino all’alba, così da poter uscire e lasciarsi l’incubo alle spalle.
Until Dawn non avrà la stessa trama del videogioco, ma è impostato come un videogioco: il nemico ti attacca, tu muori, ricominci, e così via fino a quando non termini le vite a tua disposizione.
È una struttura narrativa molto limitata e ripetitiva e, come se non bastasse, l’intero film rispetta rigorosamente le tre unità aristoteliche. Il rischio di tediare dopo la prima mezz’ora, quando il meccanismo viene allo scoperto, è abbastanza alto. Ma Sandberg è uno smargiasso e non teme alcun male.
La frase di lancio del film recita: “Ogni notte un incubo diverso”, e per una volta tanto è pubblicità ingannevole, perché è davvero così. Questi poveri disgraziati, ogni notte, vengono macellati da un’entità differente. Può essere il killer di cui sopra, una strega malvagia nascosta in una stamberga, il wendigo, un virus nascosto nell’acqua dei rubinetti; scegliete voi, ma cambia sempre. Nessuna morte è uguale alla precedente, nessuna minaccia è prevedibile. La sola costante (grazie, Sandberg) è la violenza, che viene elargita senza parsimonia e, soprattutto, con un enorme dispendio di effetti speciali dal vero.
Piccola avvertenza: quando parlo di effetti speciali dal vero non dico che non siano stati usati quelli di post produzione, perché anche in Until Dawn ce n’è una quantità ragguardevole. Tuttavia, sono utilizzati in maniera tale da accompagnare quelli pratici, non sostituirli. È infatti quasi impossibile, nel 2025, non avvalersi di computer graphica. Fine dell’avvertenza.
In questo modo, i protagonisti sono trattati alla stregua dei manichini per i test degli incidenti automobilistici; ai loro corpi accade di tutto, e accade sempre nel modo più sanguinolento vi possa venire in mente. C’è una sequenza, circa a metà film, durante la quale credo sia stata utilizzato tanto di quel sangue finto da annegare qualche assistente alla regia. Ovviamente non c’è nulla di estremo, per carità, sempre per le ragioni illustrate all’inizio dell’articolo, ma vedere questo tripudio di gore in un film per le sale con una grossa distribuzione è sempre piacevolissimo, considerando anche che i precedenti di Sandbger erano tutti molto timidi in quanto a emoglobina.
Quindi sì, è una bella sorpresa, e mi ha fatto saltellare sulla poltrona del cinema come la bambina scema che sono.
Anche le creature presenti nel film sono realizzate con cura, tante protesi e tonnellate di trucco pesantissimo: il wendigo e la strega sono spettacolari, ma c’è soprattutto un robo fluttuante che mi è venuto a trovare negli incubi la notte in cui sono stata in sala.
Il cast, per il lavoro che deve fare, funziona molto bene. Sono contenta di aver rivisto in un horror Odessa A’zion dopo il remake di Hellraiser, ma alla fine, in un film come Until Dawn, gli attori devono strillare e morire male. Eccezione per quell’altro matto di Peter Stormare, che gigioneggia per una ventina di minuti, incassa l’assegno, impartisce a tutti lezioni di come si sta in scena e poi torna a casa.
Poi, certo, Sandberg, come ha sempre fatto, abusa in maniera terroristica dei jump scare e degli sbalzi di volume improvvisi anche quando non sarebbero necessari. Ma devo ammettere di aver fatto discreti salti sulla sedia, che quando vai a vedere un horror così ludico (scusate) e disimpegnato, sono davvero il minimo sindacale.
Molto giocosa anche tutta la componente meta-cinematografica, che ricorda, senza le stesse intelligenza e capacità di analisi, The Cabin in the Woods, ed è soltanto un gioco, appunto, atto a instaurare un dialogo con lo spettatore che può divertirsi a riconoscere i mostri famosi del bestiario cinematografico.
Until Dawn è tutto qui: un centinaio di minuti di spasso al luna park del cinema dell’orrore. Non gli si può chiedere altro ed è comunque positivo che l’horror stia riscoprendo, in questi anni, il suo lato più leggero e sbarazzino.
Da vedere al cinema, possibilmente in una sala piena di gente che urla.











il videogioco da cui è tratto non l’ho giocato ma ho guardato molti gameplay, perke praticamente stiamo parlando di un film horror animato con le scelte e i quick time events
ora anche io sono favorevole agli horror con poche pretese, ma almeno se ti ispiri al videogioco e ne prendi anche il nome, cerca almeno di prenderne anche l’ossatura narrativa o le tematiche…
personalmente sono contrario all’operazione e non lo andrò a vedere; invece sto aspettando Werewolves
Io sono un fan del videogioco, in tutto e per tutto , ma il film rende bene , soprattutto per una scena finale che riprendere interamente il videogooco e ti fa capire che in realtà è una sorta di prequel del videogioco . Dato che hai visto i gameplay sai che è ambientato in una baita in montagna tra la neve fitta , bene la scena finale fa vedere proprio quella baita e proprio il suv nero con cui arrivano , quindi è un mondo horror /parallelo che trae la sua trama dal videogioco , pur non riprendendo nè personaggi nè ambientazione, ma ne prende le caratteristiche e l’ossatura principale e cioè: sopravvivi alla nottata. A me personalmente non è dispiaciuto , è un film gradevole che riprende un pó lo spirito introspettivo e il dialogo con lo psichiatra , che è poi il fulcro del gioco stesso , che ne rappresenta egregiamente la situazione psicologica creata e riprende molte situazioni simili del videogioco, pur discostandosi dalla trama . L’effetto a farfalla non viene menzionato in questo caso , ma è visivamente lampante nel film , cioè ad ogni azione ne consegue una reazione . Non male per la difficoltà che rappresentava il gioco stesso .