La scorsa settimana è stata pesante, me ne rendo conto. Abbiamo parlato di tre film molto belli, ma complicati e molto duri, ognuno a suo modo. Per ritrovare un po’ di serenità ci vogliono le nostre amate Pillole di horror indipendente e, nella maggior parte dei casi, cazzaro quanto basta. Piazzo addirittura il post di lunedì e vi prometto che l’intera settimana sarà poco seria.
Anche in questa, come in ogni edizione delle Pillole che si rispetti, ce n’è per tutti i gusti, dal found footage alla ghost story, passando per possessioni demoniache e slasher. Ci sono un paio di commedie, una punta di meta-cinema, un paio di grandi attori sparsi, tanto sangue, un sacco di morti ammazzati e, per rispettare fino in fondo le tradizioni, budget bassi e pedalare, che qui non si ha tempo da perdere con raffinatezze e astruse riflessioni sulla caducità dell’esistere.
Andiamo quindi a cominciare, e partiamo facendo la conoscenza del rinomato serial killer Roger Bladecut.
La giovane Shirlene è preoccupata perché l’azienda di famiglia, una videoteca, si trova sull’orlo del fallimento. Lei è convinta di essere in grado di rivitalizzare il giro di affari, ma suo padre, malandato e sull’orlo del pensionamento, non ne è affatto convinto.
C’è tuttavia il problema che l’azienda di famiglia è in realtà un’anonima omicidi, che le videocassette ivi vendute riportano omicidi veri, e che il padre di Shirlene sia un assassino mezzo morto, il già citato Roger Bladecut. Il motivo per cui non si fida di sua figlia è che è una ragazza e le femmine, si sa, non sono brave ad ammazzare la gente. Riuscirà Shirlene a dimostrargli che si sbaglia?
Bloody Axe Wound, diretto da Matthew John Lawrence, ha alla base un’idea molto simpatica, che ricorda un po’ Behind the Mask, ovvero quella di sgangherate produzioni in VHS di saghe slasher famose in tutto il mondo che tuttavia sono reali. La faccenda, se non si ha una possente muscolatura atta a sospendere l’incredulità, sta di per sé poco in piedi, ma si perdona la mancanza di logica molto volentieri, perché il film ha tanto cuore e tanto affetto per il genere cui appartiene, lo slasher.
È divertente e, a suo modo, molto tenero, questo minuscolo horror gentilmente fornitoci da Shudder. Non tutto funziona come dovrebbe, certo, ha tanti problemi in sede di scrittura, ma gli si vuol bene, se non avete troppe pretese.
Per nostalgici di Leslie Vernon, ma di poche pretese.
Passiamo ora alla quota found footage, anzi, screenlife, giusto per andare di puntigliosità, e andiamoci a guardare novanta minuti di diretta streaming, in compagnia di un gruppo di poveri imbecilli.
La galleria di personaggi sgradevoli che popolano il paesaggio del cinema horror è ampia e variegata, ma vi assicuro che raramente ho provato un astio maggiore di quello che il mio animo ha riservato a questi cinque scappati di casa con milioni di follower, in vacanza a gratis a parlare di nulla e a non fare nulla se non a gara a chi è più stronzo. Il film è Livestream (titolo generico, lo so, io lo avrei chiamato Facce di merda in diretta) e racconta di una influencer che se ne va, insieme ad alcuni colleghi e al fidanzato di legno, in una baita per un weekend. Trattandosi di una roba sponsorizzata, la mentecatta manda tutto in diretta. Ci si diverte un mondo (loro, noi spettatori un po’ meno), fino a quando uno dei boriosi e stupidi cafoni non viene trovato morto in bagno, e lì scoppia il casino, sempre in rigorosa diretta.
La sinossi di Livestream riportata sia su IMdB sia su Letterboxd è sbagliata: non c’è niente di soprannaturale, nel film, e l’unica manifestazione a cui assisteremo è quella della stupidità dei protagonisti. Non è un difetto, anzi, è voluto: questi inetti, incapaci e privi di qualsiasi qualità umana possa venirvi in mente, se la vanno a cercare e ottengono esattamente ciò che si meritano, con esultanza e tifo da stadio dal divano. La parte davvero esilarante è costituita dai commenti che continuano ad arrivargli. Se riuscite a leggerli, troverete delle vere e proprie perle.
Livestream ha un bel ritmo e anche un’ottima tecnica di vari finti piani sequenza che vanno a simulare la diretta. Il cast è perfetto e sono certa che gli attori se la siano spassata a mettere in scena questi personaggi così comuni nel nostro pascolare quotidiano sui social. Se non sopportate di passare un’ora e mezza in compagnia di sacchi dell’umido con le gambe armati di smartphone, passate oltre.
Per chi invoca l’asteroide ogni volta che apre Instagram.
Se la caratteristica principale di Livestream è quella di avere un parco personaggi detestabile, The Parenting si muove in direzione opposta: tutti quelli che appaiono in campo sono adorabili, pur nel loro essere figli nevrotici e genitori difettosi. Il film, diretto da Craig Johnson, è tra i quattro selezionati oggi, quello con più soldi a disposizione, e di conseguenza, con una serie di attori di altissimo livello: Brian Cox, Lisa Kudrow e Parker Posey sono solo i nomi più di spicco all’interno di un cast nutritissimo, a cui piace evidentemente coprirsi di ridicolo e stare al gioco di questa commedia dei buoni sentimenti con poltergeist.
I protagonisti sono Rohan e Josh, coppia di fidanzati che organizza un fine settimana in campagna per far conoscere le rispettive famiglie. Entrambi hanno i loro problemi con i genitori, e ce la mettono tutta per non farli venire a galla nello spazio di due giornate che, nei loro programmi, dovrebbero essere perfette. Solo che la casa che hanno affittato ha un altro inquilino: un potente poltergeist pronto a tutto per rovinare agli ospiti la festa.
The Parenting è horror quanto lo era Casper, e cioè per niente. C’è solo qualche allusione sessuale in più perché non è un film per bambini, ma è in tutto e per tutta una commedia che utilizza l’elemento soprannaturale per scatenare risate, non brividi.
Ciò non toglie che sia estremamente godibile, soprattutto per merito degli attori, e che abbia sia dei momenti esilaranti sia dei momenti che fanno scendere la lacrimuccia. Vedere Brian Cox posseduto mentre vomita oscenità potrebbe rappresentare il coronamento della mia intera esistenza, quindi forse sono di parte, ma The Parenting è davvero perfetto per una serata senza impegno e senza ubbie.
Per chi vuol fare bella figura con mamma e papà.
E ora che ci siamo commossi e abbiamo ripristinato i valori famigliari, possiamo cagarci sotto con l’ultima fatica di Stephen Cognetti, 825 Forest Road.
Se vi state chiedendo chi sia il signor Cognetti, vi rispondo con un titolo: Hell House LLC, una delle recenti saghe found footage più spaventose a memoria d’uomo.
Qui Cognetti è alla sua prima prova con un film girato alla maniera tradizionale, ed ero molto curiosa di vedere cosa avrebbe combinato, perché anche per l’ultimo capitolo di Hell House, in arrivo proprio quest’anno, ha abbandonato il linguaggio del found footage.
Diciamo che ci sono buone speranze, ma la prova non è del tutto superata: 825 Forest Road è molto rigido nella messa in scena e ha delle serie carenze nel reparto ritmo e recitazione, come se Cognetti dovesse ancora comprendere come si dirige un film con una grammatica a cui non è avvezzo.
Una grammatica che invece conosce bene è quella del terrore di Dio e di tutto ciò che si annida in ogni angolo.
La storia di 825 Forest Road è quella, molto classica, di una famiglia che si trasferisce in una piccola città dopo un lutto; l’intento è di cominciare una nuova vita, ma sul posto dove vanno grava un’antica maledizione, la cui origine risiede nell’indirizzo del titolo. Ci sono i fantasmi e ci sono i manichini che se ne vanno in giro da soli; ci sono un paio di scene davvero efficaci e la sceneggiatura è compatta e coerente, quindi il film vi consiglio caldamente di vederlo, anche se non affatto la cosa migliore realizzata dal buon Cognetti. Speriamo il film gli sia servito per esercitarsi e per affacciarsi per la prima volta al di fuori della sua confort zone del found footage. Dita incrociate per Hell House: Lineage.
Per chi è allergico ai traslochi.














Livestream l’ho trovato un po’ inutile… Il tutto si risolve tra gente insopportabile che parla troppo (e recita maluccio), un intreccio che non è un intreccio, inquadrature sghembe e un paio di omicidi fuoricampo… davvero troppo poco per giustificare i primi 40 minuti di nulla misto a fastidio…
Gli altri non li conoscevo, li recupero quanto prima.
E nulla, oggi doppietta di film che non mi hanno convinto. 825 Forest Road è forse il lavoro peggiore di Cognetti.
Come hai detto giustamente tu, il ritmo non è il massimo. Cognetti perde tempo a ripercorrere gli eventi da tre punti di vista diversi, con esito abbastanza superfluo. Togliendo tempo peraltro a qualsiasi approfondimento avrebbe potuto creare una mitologia perlomeno interessante, optando per il solito spirito in cerca di vendetta dall’aspetto standard e dalla pessima cgi, senza nessuna personalità. Si, dita incrociate per Hell House: Lineage.
A uno come Stephen Cognetti, visti i risultati raggiunti con la saga di Hell House LLC, io posso anche perdonarla un po’ d’inesperienza dovuta al cambio di passo (dal found footage al cinema tradizionale), quindi gli darò senz’altro una possibilità 😉