
Regia – Aldo Lado (1975)
Oggi scegliamo eleganza, morigeratezza e valori cristiani e parliamo della lotta di classe secondo l’exploitation italiana degli anni ’70. Tutta vita, insomma.
Il complehorror di questo mese è un po’ controverso, com’è normale data la materia trattata. Per chi non conoscesse il film, si tratta di un rape & revenge tutto all’italiana, con ogni possibile trigger warning allegato. Fate attenzione, quindi, perché è roba che morde, e non sempre nella maniera giusta: dalla sua uscita, l’8 aprile del 1975, ci separa mezzo secolo esatto e, per quanto sia giusto e doveroso contestualizzare, si tratta di argomenti che possono creare un forte disagio.
Di sicuro lo hanno creato a me che non ho più l’età per certe cose e ho dovuto rivedere questo film a rate. Da giovane assistevo alla gallerie di efferatezze qui presenti senza battere ciglio. Brutta cosa la vecchiaia.
L’Ultimo Treno della Notte ricalca la struttura narrativa de L’Ultima Casa a Sinistra, a sua volta mutuata da La Fontana della Vergine: due ragazze vengono brutalmente uccise e i loro aggressori finiscono, per una serie di circostanze, a casa dei genitori di una di loro che, una volta appresa la verità, procedono a vendicarsi con uguale e superiore ferocia.
Se la distanza, temporale, geografica e concettuale, tra Craven e Bergman rende il confronto tra le due opere una faccenda risibile, è tuttavia interessante notare anche l’enorme distacco che separa Lado e Craven, da parecchi punti di vista, a partire da quello puramente formale.
A differenza del suo corrispettivo statunitense (e angolofono in generale), l’exploitation italiana, persino quella più sordida (e in questo caso siamo dalle parti del sordido spinto), si distingue per una ricercatezza e un’eleganza estetiche assenti oltreoceano. Lo stile lì era quasi sempre povero, in alcuni casi sciatto, spesso di stampo documentaristico. Lo stesso Craven ha imparato a girare nel corso della sua carriera, perché, ai tempi de L’Ultima Casa a Sinistra, non aveva idea di dove piazzare la macchina da presa.
Gli italiani, ma non solo, anche tutto quello che viene definito eurotrash, francesi in testa e spagnoli in qualche caso, hanno la specificità di sommare la più estrema perversione con la più sofisticata delle messe in scena. Il che giustifica anche operazioni di mera emulazione di successi commerciali realizzati altrove, come in questo caso.
Con ogni probabilità, questa caratteristica unica del cinema exploitation europeo è dovuta al fatto che, anche dietro robaccia fatta per titillare i peggiori istinti del pubblico, c’erano sempre fior di professionisti, mentre il cinema americano della stessa tipologia manteneva una natura ancora abbastanza amatoriale.
A parte la presenza di attori di spessore come Flavio Bucci, Enrico Maria Salerno e Macha Méril, ne L’Ultimo Treno della Notte troviamo, dall’altra parte della macchina da presa, dei nomi molto pesanti: c’è la musica di Morricone, che pur lavorando un po’ con la mano sinistra e autocitandosi spudoratamente, riesce a elevare anche le sequenze più ignobili con la sua armonica ipnotica; c’è Gábor Pogány alla fotografia che fa un lavoro incredibile con la luce del giorno e con i toni del blu per gli interni del treno, in particolare nella scena incriminata del film, quella del doppio stupro e conseguente omicidio; lo stesso Lado, aveva alle spalle una carriera di tutto rispetto, prima da aiuto regista e regista di seconda unità, poi da sceneggiatore e infine da regista, qui al suo settimo lungometraggio. Basta dare un’occhiata al suo La Corta Notte delle Bambole di Vetro per rendersi conto di che preparazione avesse.
Eppure, L’Ultimo Treno della Notte non si limita a essere soltanto una versione ripulita e con delle belle angolazioni dell’esordio di Craven, perché Lado non si accontenta di proporre un remake non autorizzato: si appropria dello scheletro della vicenda, lo schema basato su omicidio e vendetta per conto terzi, e ne fa tutta una questione politica e, soprattutto, italiana.
Aggiungendo, per prima cosa, un elemento assente nel prototipo del ’72, il personaggio interpretato da Méril, la signora sul treno, il vero mandante dell’aggressione alle due giovani protagoniste, con la sua veletta, la sua borsa elegante che nasconde immagini pornografiche e la sua posizione chiaramente conservatrice, come si evince da un breve dialogo con un passeggero, in cui la signora parla di crollo dei valori e di una società che è ormai allo sbando.
Lei diventa il simbolo di una borghesia ipocrita, che manovra come fossero burattini le classi inferiori, qui rappresentate a uno stadio animalesco, pre-sociale, belluino, e ne esce candida e pulita, senza subire la punizione inflitta invece ai due esecutori materiali dei delitti.
Questo perché la borghesia, per quanto violenta, non si accanisce mai su se stessa.
E sì, è una metafora didascalica, gridata, forse anche un po’ datata, la bellezza di cinquant’anni dopo, ma, grazie anche all’interpretazione di Méril, che ha dei tratti davvero diabolici, è molto credibile.
Altra differenza sostanziale con il film di Craven è nella scelta, non certo casuale, dell’ambientazione: L’Ultima Casa a Sinistra raccontava delle famose sacche di resistenza alla civiltà che si annidano mai troppo distanti dalle mura di casa. Le due ragazze venivano trascinate nel bosco da una banda di piccoli criminali, brutalizzate e uccise, per sottolineare come il senso di sicurezza della classe media americana sia del tutto illusorio, e sia sufficiente affacciarsi fuori dalla porta per fare una brutta fine. Lado fa svolgere gran parte della storia su un treno che, da Monaco, deve arrivare a Verona. Oltre a essere un non luogo perfetto, dove è più facile abdicare alle regole di convivenza sociale, è anche la scusa che permette al regista e sceneggiatore di raccontare uno spaccato di varia e disgustosa umanità, dagli uomini d’affari neonazisti, ai viscidi prelati, fino ad arrivare al guardone che potrebbe aiutare le due vittime, ma oltre a non farlo, finisce per partecipare all’aggressione, salvo poi denunciare in forma anonima una volta tornato tra i ranghi del mondo civile.
Il montaggio alternato tra ciò che subiscono Lisa e Margaret e la cena con gli amici dei genitori di Lisa, che ignari di tutto, discutono amabilmente di come fermare la crescente violenza nel paese, serve proprio a mettere in luce l’arroganza del privilegio che si ritiene al sicuro e si autoassolve.
Siamo molto vicini al celeberrimo pessimismo fulciano, con la nostra specie che getta la maschera e si rivela per ciò che è: bestie intente a soddisfare i bisogni primordiali; Lado però non ne fa un discorso antropologico, ma politico.
La violenza, a tratti rivoltante, non è mai messa in scena in maniera compiaciuta; funziona proprio perché è dolorosa, perché nel narrare la tragedia di queste due ragazze Lado ci mette sempre una profonda partecipazione emotiva.
La critica contemporanea più facile e immediata a un film di questo tipo potrebbe essere quella di dare ai personaggi femminili, esclusa la signora sul treno, dei ruoli esclusivamente passivi: la stessa madre di Lisa non partecipa della vendetta (come accadeva invece nel film di Craven), ma questa è delegata in maniera esclusiva al padre; quando non sono passive e vittime, le donne sono delle creature ipocrite e luciferine affamate di sesso e potere, come nel caso del personaggio di Méril.
Eppure, se si fa caso ai particolari, si nota anche che è sempre la signora sul treno quella di cui ci viene data la possibilità di conoscere qualche traccia del suo passato, e secondo me, è un punto interessante da sottolineare, perché rientra nello schema della violenza come un ciclo continuo e ipertrofico, che si perpetua da persona a persona in una sorta di contagio.
Al di là della sua appartenenza a una particolare categoria di cinema exploitation, che ne fa sicuramente un oggetto ripugnante e legato a un contesto storico irripetibile, L’Ultimo Treno della Notte è un’opera molto complessa e, in grado adesso come allora, di far male.












Un film tremendo e stupendo allo stesso tempo, per quanto portato sullo schermo.
se non ricordo male, ha dato seguito a un brevissimo filone di film con “treni violenti” in italia, all’epoca.
Oddio, sai che ora, su due piedi, non me la ricordo la cosa dei treni violenti? Però ci starebbe benissimo conoscendo come funzionava il cinema di genere ai tempi!
Ho questo ricordo di almeno un paio di titoli simili, produzioni italiane (o europee comunque)
Datato ma senza dubbio ancora capace di colpire duro dopo cinquant’anni, il film di Lado. E, per rimanere nei paraggi dell’exploitation italiana anni ’70, nemmeno “Cani arrabbiati” del grande Mario Bava ci andava leggero…
Cani Arrabbiati è più bello di questo, un capolavoro
Sì, decisamente Bava rimane diverse spanne sopra il lavoro di Lado.