Mickey 17

Regia – Bong Joon Ho (2025)

Io neanche volevo parlarne, perché, ancora prima di andare in sala, mi era presa la stanchezza preventiva per tutte le chiacchiere allucinanti che sarei stata costretta a subire a proposito di questo film. Però Mickey 17 è troppo bello per farsi intimidire dal berciare dei social, soprattutto dalla nutrita schiera dei “Parasite era molto diverso”.
Grazie alla pizza, Gianfernando: vorresti forse tu che un autore facesse sempre lo stesso film a ripetizione? Sì, con ogni probabilità lo vorresti. O forse, diresti “oh no, ecco che Bong torna stancamente a ciò che lo ha reso famoso”, dimenticando che, prima di Parasite, il regista coreano aveva diretto sei lungometraggi.
Non è neanche la prima volta che Bong lavora negli Stati Uniti, quindi pure il vecchio adagio dello “snaturarsi” risulta superato dagli eventi. Non si è snaturato con Snowpiercer, non lo ha fatto con Okja, figuriamoci se lo fa adesso.
Quello che ha sempre saputo fare, che non è affatto snaturarsi, è adattarsi al contesto. 

Mickey 17 è tratto dal romanzo (non del tutto omonimo) di Edward Ashton, pubblicato nel 2022 e racconta del tentativo, da parte di un gruppo di persone guidate da un leader carismatico (Kenneth Marshall, interpretato da Mark Ruffalo) di colonizzare un pianeta, il decisamente inospitale e gelido Niflheim. Mickey (Robert Pattison) è un membro dell’equipaggio, un cosiddetto “sacrificabile”, destinato alle mansioni più pericolose, come sperimentare su se stesso gli effetti dei virus presenti sul pianeta. In altre parole, il suo mestiere è quello di morire, più e più volte. La sua memoria viene salvata in un’unita a parte e il suo corpo ristampato a ogni dipartita.
Mickey crepa e risorge la bellezza di sedici volte, fino a quando, per errore, dovrà vedersela con una sua copia, che non ha alcuna intenzione di essere sacrificata. 
Questa, proprio per sommi capi, è la trama, anzi, lo spunto da cui si muove il film. Che poi procede in maniera tale da spostare di continuo il suo baricentro narrativo e da modificare spessissimo il tono del racconto. 

Mickey 17 è un film esilarante. Si ride di gusto, soprattutto nella prima parte, sia quando vediamo Mickey morire in vari e fantasiosi modi e a ciclo continuo, sia quando entra in campo Mickey 18 e Pattison si sdoppia in due personaggi che, pur condividendo le fattezze, hanno un carattere diametralmente opposto; si ride perché Bong Joon Ho è un maestro dei tempi comici e perché la fisicità e la recitazione di Pattison, quando è Mickey 17, hanno un qualcosa da slapstick del cinema muto, con un’espressione rassegnata all’inevitabile e delle movenze da mimo che ricordano Buster Keaton. Ma si ride soprattutto perché, come fanno le migliori opere di fantascienza, la parabola esistenziale di tutti i 18 Mickey che si avvicendano parla di noi e del nostro attraversare un mondo sempre più avverso a tutto ciò che è umano, nell’accettarlo per ciò che è, e ringraziare pure chi tale lo ha reso perché, dai, potrebbe andare molto peggio. Si ride perché l’alternativa è spararsi un colpo in fronte. 
O diventare Mickey 18.

La bravura di Bong sta nel saper miscelare la commedia stralunata con la satira ferocissima, in parte presa di peso dal Verhoeven di Atto di Forza e Starhip Troopers, in parte dovuta allo sguardo distaccato, impietoso e anche un po’ divertito, di un regista coreano che guarda un popolo di barbari all’opera. Ma non è soltanto quello, perché, a parte alcuni elementi molto specifici e molto americani (la moglie del leader che corregge il marito quando usa il termine “mankind” al posto di “humankind”), la portata di un film come Mickey 17 è universale e abbraccia l’essenza stessa del capitalismo nella sua forma più malvagia, che magari utilizza codici e parole di carattere nazionale come facciata di mera propaganda, ma che in realtà non ha confini. E quanto è più malvagia, pervasiva e violenta, tanto più è ridicola. 
Non sono tuttavia ridicoli i suoi effetti sulle persone e su altre forme di vita non umane che i nostri coloni incontrano quando sbarcano su Niflheim. Al momento dell’entrata in scena dei cosiddetti creepers (che sono degli adorabili tardigradi da adottare all’istante), Mickey 17 diventa davvero una versione contemporanea di Starhip Troopers. E qui bisogna fare attenzione, perché si smette anche di ridere e o vi avviso che, se state in ansia quando in un film succedono cose brutte agli animali, vi toccherà coprirvi gli occhi in più di una circostanza. 

E tutto molto coerente con la filmografia di Bong: l’interesse per protagonisti privi di particolari qualità e tendenzialmente derelitti e percepiti come falliti dal contesto in cui vivono, la rigidità della divisione in classi sociali, la vacuità dei nostri obiettivi e il girare come trottole per non raggiungerli mai, una fortissima componente antispecista, già presente in lavori come Okjia e Snowpiercer (ma anche The Host); qui si aggiunge anche un discorso interessantissimo su cosa fa di noi gli individui che pensiamo di essere, su che basi costruiamo la nostra identità, e come tutto questo ci porti ad affrontare la paura di morire, nel momento in cui la morte stessa perde di significato e abbiamo la possibilità di usufruire di un surrogato, per quanto orribile, di immortalità. 
È frammentario, cambia direzione spesso e volentieri, si disperde in mille rivoli, forse è anche troppo esplosivo per poter pretendere di essere un film compatto, ed è decisamente lungo, ma è tutta roba, a mio avviso, trascurabile: è un cinema non addomesticato e anarcoide come piace a me, che non teme di essere bizzarro e anche inconcludente e sprizza creatività da tutti i pori. 

A parte il già menzionato Pattison, che forse dovreste finalmente ammettere che si tratta di un grandissimo attore, l’intero cast offre delle prove eccellenti, impegnati come sono a interpretare figure sempre al confine della macchietta e, in alcuni casi, come nella coppia Collette – Buffalo, dei patetici e minuscoli esserini la cui grandezza percepita è soltanto dovuta alla posizione di potere che occupano. La vera sorpresa è Naomi Ackle, già cosa migliore di Blink Twice e qui alle prese con il personaggio più umano e approfondito del mucchio, nonché unica vera ancora morale della situazione. Ci sono un paio di sequenze con lei che mi hanno commossa tantissimo.
Sì, perché i Mickey 17 si piange anche: con tutta la sua portata satirica, non è un film cinico: è, anzi, pieno di  fiducia, magari mal riposta, nel nostro futuro.  Anzi, da un certo punto di vista, è forse eccessivamente ottimista, considerando il ritratto preciso e perfetto che riesce a fare dell’estrema destra mondiale foraggiata dal capitale. 
Ma va bene anche questo: se non altro si esce dalla sala con un briciolo di speranza e con il sogno di poter avere un tardigrado gigante in giardino.

4 commenti

  1. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Che bella recensione!

    Sono un fan, Bong Joon-ho per me gioca in un campionato a parte, prima del (giustamente) celebrato Parasite aveva girato almeno altri quattro capolavori (Memories of Muder, The Host, i sottovalutatissimi Snowpiercer e Okja, e gli altri film ancora non li posso giudicare perchè non li ho visti).

    Questo film mi intriga assai

    1. Avatar di Lucia

      Bong gioca proprio un altro sport rispetto agli altri. Credo che nel cinema contemporaneo siano pochissimi quelli che gli arrivano soltanto vicino. Genio assoluto.

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Di quelli che portano sempre Parasite come UNICO termine di paragone per l’opera omnia di Bong Joon-ho non me ne curo da un bel pezzo: preferisco confronti un po’ più creativi e sensati con chi magari, giusto per dirne una, in Mickey 17 ci ha visto pure un po’ del Moon di Duncan Jones (a proposito di clonazione) 😉

  3. Avatar di Frank La Strega

    Ma bello!
    (Quando partono – SPOILER – a cantare a tavola, ho avuto dei brividi “biografici…)
    Verso la fine pensavo: “Ma… è Starship Troopers con qualcosa che è andato dritto!”
    Adesso li posso proporre in combo!
    Besos! 🙂