
Regia – Michelle Iannantuono (2024)
Stavo dietro a questo film da un po’, ma voi sapete quanto sono rincoglionita e quindi, a un certo punto, mi sono dimenticata della sua esistenza. È stato un mio egregio lettore a ricordarmelo, qualche giorno fa, e io sono corsa a procurarmelo. Devo quindi ringraziare Edo, perché se non fosse stato per lui, mi sarei persa un grande piccolo film.
Devo fare una doverosa premessa, a questo punto: io non sono una giocatrice e conoscono pochissimo il mondo del live streaming di videogiochi. Non posso quindi stabilire quanto sia accurato il film da nessun punto di vista. Conosco bene il genere cui appartiene, che è quella branca del found footage relativamente recente chiamata screen life, il cui esponente più illustre è di sicuro Deadstream, uno spasso che non smetterò mai di consigliare. Però Deadstream (o anche Unfriended, Stream, Missing e Searching) parla molto più la mia lingua rispetto a Livescreamears, in cui il gaming ha un ruolo fondamentale, e anzi, rappresenta l’ossatura stessa della vicenda. Perdonate eventuali imprecisioni e siate clementi con me.
La regista Iannantuono non è nuova a questo genere di cose: nel 2018 aveva diretto Livescream, di questo è una sorta di sequel (lo potete serenamente vedere senza aver visto il primo) fatto con qualche soldo in più e con un cast più nutrito. Nel film del 2018, lo streamer era uno solo, e a morire uno dopo l’altro erano i suoi fan. Qui abbiamo un popolare gruppo di giocatori, i Janus Games, che invitano una loro fan a una sessione registrata, quindi non in diretta. Il gioco prescelto è House of Souls, che il fondatore e amministratore della Janus presenta ai suoi colleghi come un prodotto indie mandato loro in esclusiva per provarlo online. Si tratta di un gioco horror, il cui scopo è esplorare una sinistra magione maledetta. Molto presto, i nostri si rendono conto che, se si muore nel gioco, si muore anche nella vita reale.
Se ve lo ricordate, è lo stesso punto di partenza dello sfortunato Stay Alive del 2006, film con delle potenzialità enormi, ma macellato dalla produzione. Certo, qui c’è in più il fattore streaming, che per ovvi motivi non poteva essere presente quasi 20 anni fa. Ma il concetto è molto simile: la morte del proprio personaggio equivale alla morte del giocatore. Non si può smettere di giocare, perché si crepa comunque. Bisogna arrivare in fondo a qualsiasi costo.
Non so per quale strano meccanismo agente nel mio cervello, ero convinta che Livescreamers fosse una commedia horror. In realtà si tratta di un film serissimo che usa l’espediente del videogioco come un veicolo narrativo ed estetico per parlare di roba molto attuale: la tragedia del fandom contemporaneo, la tossicità degli ambienti online, l’inclusività usata solo come bandierina da piazzare per sentirsi inattaccabili e via così. Più che una sessione di gioco col morto, Livescreamers sembra una seduta di terapia di gruppo, durante la quale viene fuori tanta di quella merda da diventare soffocante. Abusi sessuali, omotransfobia, stalking e, andando più sul personale, odi e antipatie reciproci, gelosia, sentimenti non corrisposti, sfruttamento. Il tutto all’interno di un gruppo di giocatori che ha fatto della diversità dei suoi membri il proprio marchio di fabbrica.
Ora, non sarò una giocatrice, ma online ci passo parecchio tempo e ho rivisto grandi sprazzi della mia vita negli scambi tra questi personaggi. E non è un bel ritratto, anzi, è una fotografia desolante e molto triste.
Da un punto di vista estetico e grafico, Livescreamers è molto ben curato. Funzionano sia il videogioco in quanto tale sia la sezione di streaming, con i riquadri dei giocatori. Il montaggio, che è costituito più dalla scelta di quale finestra utilizzare che da una selezione di inquadrature è efficace e chiaro. Si ha sempre la percezione esatta di chi stia giocando e di quale sia il punto di vista all’interno del gioco (che è in prima persona). Con il budget risicato a disposizione, è stato fatto un gran lavoro e si nota che la regista sa esattamene di cosa parla ed è esperta del settore.
Le morti sono violente e spettacolari, le sequenze che le precedono tese e angoscianti quanto basta per non stare proprio comodi sulle nostre poltrone mentre guardiamo il film. In particolare una, che coinvolge una bomba da disinnescare, vi farà sudare freddo. Mi ha un po’ ricordato gli enigmi da infarto di quando, nella preistoria, giocavo alle avventure grafiche.
Per le varie situazioni messe in scena, è evidente che la regista non è soltanto un’appassionata di videogiochi, ma anche di cinema dell’orrore, specie di quello di inizio secolo. Livescreamers ha qualcosa di Saw, per il modo in cui il gioco fa leva sulla psicologia dei personaggi e dà loro la possibilità di salvarsi, a patto che mettano da parte le loro divergenze e si decidano a collaborare e ad aiutarsi l’uno con l’altro. Non è una serie di trappole imbattibili: per vincere l’unica cosa da fare è non cedere agli egoismi e ai piccoli diverbi personali. Cosa che nessuno sembra comprendere, se non quando è troppo tardi.
La breve durata impedisce che lo schema diventi troppo ripetitivo e il film si segue con partecipazione e divertimento (considerando il concetto opinabile di divertimento che qui difendiamo).
Se il found footage, categoria cui Livescreamers appartiene, è il genere che, più di tutti gli altri, riflette sul linguaggio usato per rappresentare la realtà, allora gli horror ambientati sugli schermi dei nostri dispositivi sono destinati a proliferare sempre di più, dato che è ormai quello il filtro attraverso cui non solo osserviamo il mondo, ma ci relazioniamo agli altri.
Il film, in maniera molto drastica e brutale (ma è un horror e fa il suo mestiere) porta queste relazioni a contatto con le loro conseguenze concrete; mostra, in altre parole, il riflesso che azioni compiute dietro a uno schermo, e quindi nascosti da una protezione illusoria, hanno nella vita reale e su persone reali.
Attraverso l’espediente, se vogliamo abbastanza sciocco, del morire sul serio quando muore il personaggio da noi interpretato, dice parecchie cose interessanti sulla persona che creiamo per mostrarci online e sulle piccole, spesso insignificanti, porcherie che tendiamo a celare di noi stessi, che se sommate diventano una montagna sotto la quale finire schiacciati.
È un buon film, considerata la sua origine ultra indipendente e le cinque lire che sarà costato, e ringrazio ancora Edo per avermi ricordato della sua esistenza.












Interessante, recupero
Di primo acchito avevo pensato proprio a Stay Alive 😉 Qui siamo di fronte a una sorta di versione aggiornata (tematiche tristemente attuali comprese) e virata al live streaming, appunto, che credo meriti una visione… 👍