Pillole Tutti Fuckin Fruity

Le Pillole su questo blog non hanno un andamento costante: quando accumulo abbastanza film degni di nota, ma ai quali non mi sento di dedicare un articolo intero, li piazzo qui, anche come promemoria personale. A volte succede che si parli di roba tematicamente simile, film con qualche affinità tra loro; altre, come in questo caso, abbiamo quattro horror che non ci azzeccano niente l’uno con l’altro. Di conseguenza, per omaggiare i Firefly che risiedono fissi nel mio cuore, queste saranno Pillole Tutti Fuckin Fruity, e spero vi piacciano e riusciate a recuperarli in qualche modo: sono tutti inediti dalle nostre parti, anche se tre su quattro si trovano su Shudder, che ormai è il principale punto di riferimento per gli appassionati.

Cominciamo con la commedia Get Away, diretta da Steffen Haars e scritta dal nostro Nick Frost; era solo questione di tempo perché il nuovo filone del folk horror contemporaneo venisse sottoposto al trattamento parodia. Dopotutto, a partire da Midsommar (ma ancora prima, da The Ritual), non c’è stato un anno senza un film a base di antichi rituali, sprovveduti in vacanza, ridenti campagne dove non c’è un cazzo da ridere e quella vagamente reazionaria atmosfera di ritorno alle old ways per rifuggire le avversità della vita moderna.
In Get Away abbiamo una famigliola composta da padre (Nick in forma smagliante), madre e due adolescenti da prendere a calci sulle gengive, che nonostante una serie di avvertimenti, decidono di voler passare a tutti i costi il fine settimana su in’isoletta sperduta in Svezia, durante una importante festività locale. In quanto forestieri, vengono trattati malissimo dagli isolani, e anche ripetutamente minacciati, ma loro non si scompongono, determinati a rilassarsi a ogni costo. 
Get Away, per i primi quarantacinque minuti o giù di lì è davvero una parodia di Midsommar, dove però non tutto funziona, l’umorismo è piuttosto grossolano e alcune battute più che far ridere mettono in imbarazzo. Poi succede il terzo atto, e gli si perdona ogni difetto, perché Get Away fa parte di una categoria di film a me particolarmente cara, quella che a un certo punto sbrocca. Nel caso specifico, sbrocca al ritmo di Run to the Hills, ricevendo all’istante un lasciapassare incondizionato. Certo, il colpo di scena che conduce allo sbrocco lo abbiamo visto di recente in un altro film, migliore di questo e a vostra disposizione su Tubi. Non vi dico quale, anche se ne abbiamo parlato qualche mese fa, per non rovinarvi la sorpresa.
In ogni caso, non è tanto il twist ad avere importanza, quanto il bagno di sangue successivo. 
Per gli amanti delle vacanze intelligenti. 

Passiamo ora a un film a cui non avrei dato una lira e che ho messo su soltanto perché ero stanca, incazzata e depressa e avevo bisogno di un sottofondo alle elucubrazioni sulle mie disgrazie. È andata a finire che le elucubrazioni e le disgrazie sono passate in secondo piano, perché mi sono divertita come la scema che sono.
Dark Match (anche questo uno Shudder original) racconta di un gruppo di wrestler, abbastanza sfigati e facenti parte di una lega minore, che vengono invitati a un evento in quel di Bifolcolandia. Li pagano uno sproposito e i nostri accettano, soprattutto perché il loro manager si guarda bene dal rivelare ai suoi atleti la verità: l’evento è organizzato da una setta di satanisti e ogni incontro prevede un sacrificio umano. E così, i nostri, capitanati dalla meravigliosa Miss Behave, dovranno sopravvivere alla peggiore nottata della loro carriera.
Se vi pare la trama di un film stronzo, è perché lo è. D’altronde dietro la macchina da presa c’è il signor Lowell Dean di WolfCop, uno che in film stronzi è fieramente specializzato. Ma è comunque meno stronzo di quanto sembri: i personaggi sono, per quanto lo permettono le circostanze, ben scritti e simpatici, la regia è solida, soprattutto quando si tratta di mettere in scena gli incontri, gli attori funzionano tutti, c’è un’ottima colonna sonora a fare da accompagnamento, sia quella di repertorio sia quella originale, e il finale è da applausi a scena aperta. Io di wrestling capisco poco e nulla, ma quel poco che ne so l’ho proprio imparato dal cinema dell’orrore che con questo sport ha sempre avuto un’affinità elettiva. 
Per chi sa che chi mena per primo mena due volte. 

E ora un po’ di body horror dalla Nuova Zelanda, perché qui non ci si fa mancare niente: Grafted, esordio alla regia di Sasha Rainbow, ha fatto parecchio parlare di sé nel suo giro festivaliero l’anno scorso e ora è approdata su Shudder con un buon riscontro critico. Come molto body horror, soprattutto se scritto e diretto da donne, recente, Grafted riflette sulla percezione del proprio aspetto fisico e sui condizionamenti sociali che esso si porta dietro. La protagonista è la giovane Wei, studentessa cinese arrivata in Nuova Zelanda grazie a una borsa di studio e ospite dalla zia. Wei ha una voglia sul volto, che lei cerca di nascondere indossando sempre una sciarpa, e che le crea non pochi problemi di relazione, in particolare con sua cugina Angela e con il suo gruppo di amiche.
Il padre di Wei è morto sperimentando un rivoluzionario innesto di pelle che, in teoria, avrebbe dovuto eliminare l’imperfezione che tanto fa soffrire la figlia. 
Wei si mette a seguire le orme del padre e riesce dove lui ha fallito, superando addirittura le aspettative, con conseguenze tristemente prevedibili. 
Sono tantissimi i temi che Grafted mette in campo: oltre a quello ovvio e già citato degli standard di bellezza cui siamo costrette ad adeguarci, pena l’esclusione, nel film di Rainbow c’è anche tutto un discorso culturale da tenere presente; Wei non è un’emarginata solo per il suo aspetto, lo è anche per come parla, per la sua provenienza, perché è appena arrivata e non si è adeguata ai modi e ai comportamenti di un paese occidentale. Il risultato è un horror violento, disgustoso e sfacciatamente politico che distrugge i corpi delle sue protagoniste, tutte prese da una disperata ricerca di accettazione e assimilazione. 
Per chi si dedica con zelo alla propria skin care quotidiana. 

Chiudiamo con lo stramboide del gruppo, che soltanto dall’Australia poteva arrivare. Birdeater, esordio alla regia di Jack Clark e Jim Weir, si trova qui soltanto perché, se avessi gli avessi dovuto dedicare un articolo intero, non avrei saputo da che parte cominciare; si tratta di un film così bizzarro, così particolare e unico che ogni parola spesa per descriverlo è di troppo e rischia di rovinare un’esperienza che vi dovete vivere per conto vostro. Rischia di diventare uno dei miei film preferiti dell’anno, e neanche so bene cosa sia, se un thriller, un horror psicologico, un saggio sul cinema weird, un incubo a occhi aperti che distrugge qualsiasi tipo di relazione umana nello spazio di un centinaio di minuti.
Parliamo di stile, che è più facile: Birdeater sembra uscito dall’ozploitation degli anni ’70, quella di Wake in Fright (citato apertamente nel corso del film) e degli esordi di Peter Weir. Ha quindi la caratteristica di essere allo stesso tempo grezzo ed elegantissimo, brutale e poetico, anzi, trova la poesia proprio dentro la brutalità delle immagini; aggiungete un’atmosfera surreale degna del miglior David Lynch e avrete un film impossibile da catalogare e terribilmente affascinante, che vi cattura e vi ipnotizza con il suo andamento tutto sbilenco, il suo montaggio sperimentale e fatto tutto di ellissi e salti temporali, e la sua cattiveria soffocante. 
Sulla carta racconta di un addio al celibato cui viene invitata anche la futura sposa, ma se vi aspettate un gioco al massacro ridanciano sulla falsariga di Bodies Bodies Bodies, vi sbagliate di grosso. Qui siamo in Australia e gli australiani sono eccellenti a spalancare abissi nella vita di tutti i giorni, nelle situazioni casuali, a stordirti con una crudeltà che lascia attoniti. 
Trovatelo, vedetelo, diffondetelo, fatelo vedere a chiunque. Questi due potrebbero diventare il futuro del cinema australiano, io ve l’ho detto. 
Per un San Valentino scoppiettante. 

4 commenti

  1. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Pillole Tutti Fuckin Fruity messe in lista (Get Away, in particolare, era già nel mio mirino da un po’) 👍

    P.S. Non mi esprimo su San Valentino, sennò rischio di lasciarmi sfuggire una discreta serie di paroline NON in odore di santità…

  2. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Bella segnalazione Birdeater, curioso film rimasto fuori dai radar che merita sicuramente. Difficilissimo assimilarlo ad un genere preciso, difficilissimo prevedere verso dove virerà la trama.

  3. Avatar di Edo

    Livescreamears – di quelli che non si guardano perchè e perchè e perchè, ma piaciuto in realtà. Se ti fosse passato sotto il radar, magari per una serata senza impegno.

    Ciau!

    1. Avatar di Lucia

      L’ho appena visto, bellissimo