
Regia – Antonio Margheriti (1964)
Sorpresina post natalizia per tutti gli affezionati del blog e del gotico italiano. Non vorrei sbagliare, ma credo sia il primo film di Margheriti di cui parliamo qui sopra, e un pochino sono emozionata. Altro primato: è un film che non avevo mai visto. Nella lunga lista di gotici italiani, I Lunghi Capelli della Morte mi mancava e ho colmato la lacuna ieri sera.
Il film è uscito il 28 dicembre del 1964, quindi è un arzillo sessantenne che non dimostra affatto la sua età. Oltretutto, si svolge in parte a Capodanno, il 31 dicembre del 1499, per la precisione. È stata una riscoperta sbalorditiva per la sottoscritta: di solito, quando ci si riferisce ai gotici di Margheriti, si tende sempre a preferire Danza Macabra (di cui esiste anche un rifacimento a colori del 1971, Nella Stretta Morsa del Ragno), o almeno, è di sicuro più famoso e più citato, anche se il regista non lo amava particolarmente.
Dopo aver visto, alla veneranda età di 46 anni, per la prima volta, I Lunghi Capelli della Morte, in verità vi dico che è un film decisamente superiore a Danza Macabra, in ogni singolo reparto.
Siamo alla fine del XV secolo e, in un villaggio senza nome, una donna, Adele Karnstein, sta per essere messa al rogo con l’accusa di omicidio mediante stregoneria. La vittima è il signorotto locale, di cui Adele era l’amante. La donna si dichiara innocente, ma sarà Dio a decidere se lo sia o meno. Se le fiamme la risparmieranno, avrà dimostrato la sua innocenza, se invece brucerà viva, sarà colpevole. Facile, così, vero?
Adele ha due figlie, Lisabeth, che è ancora una bambina, e Helen (la divina Barbara Steele). La prima, in caso di morte di madre, sarà tenuta al castello e lì cresciuta; per la seconda, purtroppo non c’è speranza: tale madre, tale figlia. Strega una, strega l’altra. Il conte Humbolt, fratello della vittima, e attuale feudatario, dà l’ordine di arrestare anche lei e di metterla sul rogo, perché due donne bruciate vive sono meglio di una. Solo che è proprio Helen a presentarsi al castello, dicendo che sua madre è innocente e lei sa chi è il vero assassino. Humbolt, che è un laido essere riprovevole, le promette che sospenderà l’esecuzione, a patto che Helen gli si conceda.
Ovviamente l’esecuzione non viene sospesa, Adele finisce tra le fiamme, Helen viene buttata al fiume e lasciata annegare, mentre la piccola Lisabeth rimane al castello, a sopportare le insidie del figlio del conte, Kurt, che riesce a essere anche più spregevole del padre. Ma questi maschi potenti e intoccabili non hanno fatto i conti le maledizioni che ha tirato loro addosso Adele prima di morire, e con la promessa fatta da Helen di tornare, alla fine del 1499, per portare a termine la vendetta della madre.
Tutta questa roba che ci ho messo sei mesi a scrivere e si è presa quasi due paragrafi, è appena l’antefatto del film, sbrigato da Margheriti nel primo quarto d’ora, perché quando si parla di economia narrativa, i registi di genere italiani degli anni ’60 erano dei veri maestri.
E infatti, Margheriti (E Gastaldi e Valerii alla sceneggiatura) dispone ogni pedina al suo posto, inquadra con rapidità e precisione i personaggi principali e si concede pure una bella scena madre, quella del rogo e della successiva presa in consegna della maledizione da parte di Helen. C’è persino tempo per vederla morire annegata. Quando uno è bravo, è bravo.
Dalla lettura del prologo, avrete dedotto che I Lunghi Capelli della Morte ha un paio di debiti contratti con La Maschera del Demonio. Una strega (qui presunta, lì dichiarata) che torna dalla morte per restituire con gli interessi tutto ciò che ha subito in vita. Però non si tratta qui di una mera e svogliata scopiazzatura; Margheriti ci mette tanto del suo, oltre a recuperare diversi spunti da Carmilla (e non solo perché il cognome delle donne è Karnstein) e dal solito Poe, tra pestilenze, sepolture premature e donne che vissero due volte. Inoltre, non so se sono io che esagero, ma credo che Hardy si sia studiato il finale di questo film, prima di girare The Wicker Man. Ve la lascio lì come ipotesi e si aprirà il dibattito.
Come molti gotici italiani del periodo, anche I Lunghi Capelli della Morte tende a sedersi e a riposare nella sezione centrale, almeno fino a quando non appare di nuovo Barbara Steele, proprio la notte di Capodanno, mentre il conte e suo figlio se ne stanno seduti sugli scranni della chiesa ad ascoltare il prelato locale che legge brani dell’Apocalisse, fuori dal castello infuria la peste e i villici muoiono come le mosche.
Il suo arrivo ha come prima conseguenza quella di far morire stecchito il conte, come seconda di fermare il contagio, come terza di far prendere al giovane e stronzissimo Kurt (che nel frattempo ha costretto Lisabeth a sposarlo) una cotta devastante per lei.
Da lì in poi, entriamo in piena zona rape & revenge soprannaturale ante litteram, con il diabolico piano ordito dalle due sorelle ai danni di Kurt che si compirà nell’ultima, allucinante sequenza del film. Per arrivare al culmine del suo film, Margheriti lavora tutto d’atmosfera e di sottintesi. La vicenda narrata è infatti una vera e propria storiaccia di appetiti sessuali insaziabili, un pizzico di necrofilia, depravazione e malvagità pure, e noi sappiamo quanto il gotico italiano grondasse di queste tematiche e quanto fossero capaci, i registi che con il genere si sono cimentati, a nascondere tutto in bella vista.
Barbara Steele, che è sempre uno spettacolo nello spettacolo, qui è un’esplosione di sensualità e carisma. Aveva la peculiarità unica di attirare la macchina da presa e farla innamorare di lei, di essere una sorta di centro d’attrazione all’interno del fotogramma, di impedire di vedere qualsiasi altra cosa che non fosse la sua figura, e infatti quando lei non è presente, I Lunghi Capelli della Morte cala di tono e di ritmo. Margheriti ne è consapevole e lascia che l’attrice si divori il film, glielo assembla intorno, la posiziona in maniera tale che le scenografie, l’illuminazione, gli ambienti in cui la storia si svolge, sembrino altrettante emanazioni del suo corpo. Il risultato è un film magnifico da vedere.
Come La Maschera della Morte Rossa di Corman, anche I Lunghi Capelli della Morte parla di potenti che si sentono protetti e inattaccabili grazie al loro status sociale, ma non possono sfuggire a ciò che il destino ha in serbo per loro. Qui, Kurt e suo padre scampano alla peste chiudendosi nel castello e non lasciando entrare nessuno, ma non possono sfuggire alla rabbia di una donna accusata ingiustamente, e delle sue due figlie entrambe vittime di violenza da parte dei due uomini. Sono cose che ti rimettono in pace con il mondo, non è vero?
Il film lo trovate comodo su Youtube (o su Prime, se avete l’abbonamento a Raro Video), credo che come visione di fine anno sia imprescindibile. Una delle caratteristiche migliori del cinema dell’orrore, di qualsiasi epoca e latitudine, è che riesce sempre a sorprenderti, anche 60 anni dopo.











Non conoscevo minimamente questa pellicola, corro a vederla, grazie mille di avermela fatta scoprire, spero hai passato delle buone feste.
Mediamente buone, sì 🤣
Grazie!
Margheriti è uno di quegli artigiani straordinari mai abbastanza celebrati
Sì, è vero, non viene quasi mai preso in seria considerazione
Nettamente il mio film preferito di Margheriti, grande regalo natalizio, Lucia.
Ti posto quanto scrissi all’epoca:
Pervaso da un’atmosfera fosca, oppressiva e lussuriosa, I lunghi capelli della morte è uno dei migliori film gotici italiani e il capolavoro di Margheriti.
La sceneggiatura può sembrare un ordinario assemblaggio di clichè del genere, eppure lo stile baroccheggiante di Margheriti, la splendida fotografia di Riccardo Pallottini, la sanguigna interpretazione degli attori in scena e l’anomala progressione narrativa (che dopo un’ora imbocca una svolta à là I Diabolici e si conclude con una sequenza che potrebbe avere anticipato The Wicker Man) donano alla pellicola una sensuale visceralità e un malsano fascino.
Imperdibili la prima lunghissima scena (che si conclude con la visita della piccola Lisabeth e della sua governante alla tomba “clandestina” della madre), il matrimonio (con l’apparizione di Mary), le incursioni nelle catacombe e il wellesiano finale.
Il grande Anthony M. Dawson !
Parlando da vecchio estimatore di Margheriti, mi fa piacere che tu abbia gradito questa perla gotica mai abbastanza ricordata (nonostante la splendida presenza di Barbara Steele)… Sì, ci hai fatto proprio una bella sorpresina post-natalizia 😉👍