
Regia – David Moreau (2024)
Arriva sempre quel momento alla fine dell’anno, quello destinato a scombinare tutti i tuoi piani di classifiche e graduatorie varie. Sono cose senza troppa importanza, è vero, ma sono lo stesso una tradizione. Per il 2024, già di per sé un anno pieno di horror splendidi che fanno letteralmente a cazzotti per popolare la puntata dedicata alle classifica di Nuovi Incubi, è tutto saltato per aria domenica primo dicembre, quando mi sono decisa a guardare l’ultimo lavoro di Moreau. Magari il nome non vi dice nulla, ma se io ci aggiungo una parolina di appena tre lettere, Ils, scommetto che comincia a suonarvi un campanello in testa. Ils (o Them) è l’esordio di Moreau, co-diretto con Xavier Palaud.
Dopo il poco entusiasmante episodio del remake americano di The Eye, il duo si è separato e Moreau ha pure smesso per un po’ con l’horror: ha diretto un paio di commedie e un paio di film per ragazzi. Poi non so cosa gli sia successo, deve essere impazzito, perché si ripresenta qui da noi, 18 anni dopo, tarantolato e con la bava alla bocca con questo MadS.
Sapete che i film di zombie (nonostante il nome di questo blog) mi hanno un po’ stufata. Credo anzi, abbiano stufato i tre quarti del genere umano, perché la narrazione dell’apocalisse è sempre la solita solfa e, a meno che tu non ti chiami George di nome e Romero di cognome, è un po’ complicato esprimere concetti già non espressi prima e meglio. Non è un caso se, di recente, gli horror con i morti viventi si sono rimpiccioliti: non si racconta più il collasso dell’umanità con tutte le implicazioni filosofiche che esso comporta, ma si restringe di molto il campo. Train to Busan è l’esempio perfetto: riduce tutto a un ambiente e a un’idea forte e circoscritta su cui far scorrere il film.
MadS si fa ancora più piccino, tanto che assistiamo alle vicende di soli tre personaggi all’interno di un piccolo quartiere residenziale di una cittadina francese a caso.
Ma è proprio la modalità della messa in scena a essere logisticamente limitata: MadS è infatti un unico piano sequenza di 89 minuti.
Lo so che non vi impressiona, la faccenda: non impressiona neanche me, se è per questo. Il più delle volte girare tutto in un’unica ripresa è poco più di un espediente, un gimmick, come dicono quelli bravi. Al di là della difficoltà intrinseca a un’operazione del genere (che, ve lo assicuro, è elevata), non basta a determinare se un film sia riuscito o meno. L’ammirazione per l’impresa ci sta sempre, come ci sta l’immaginare quanto operatore, attori, fonico e tutto il resto della troupe debbano aver penato per ore, giorni, settimane intere, per portare a casa il risultato; restare a bocca aperta di fronte alle evoluzioni della macchina da presa che segue i protagonisti nella loro odissea è il minimo sindacale quando si assiste a un’ora e mezza di long take senza stacchi. Sì, lo sappiamo che in realtà qualche stacco c’è sempre, ma anche girare soltanto quindici minuti senza mai chiamare lo stop non è una roba che si fa così, senza bestemmiare (in silenzio) tutto il tempo. Non è questo l’importante, insomma. È importante in che modo la tecnica scelta da Moreau sia coerente con la storia che ci vuole raccontare.
È un po’ un discorso simile a quello fatto tante volte in merito al found footage, che ha molti tratti in comune con l’idea di girare in piano sequenza, specialmente quando si tratta di mettere in scena un film molto concitato. Film come Rec, Cloverfield, Trollhunter non potevano che essere dei found footage, la narrazione non prescinde dall’estetica. E infatti sono i film a cui mi sento di accostare MadS più che ad altre opere di stampo più tradizionale.
MadS funziona, e funziona a meraviglia, perché il mezzo dell’unica ripresa si sposa alla perfezione con ciò che Moreau vuole comunicare: panico, confusione e terrore da un prospettiva molto ristretta.
C’è chi ha paragonato MadS a un brutto trip; a me è parso più un attacco d’ansia prolungato. Certo, i tre personaggi di cui seguiamo le gesta in quelle che sono, a tutti gli effetti, le fasi di partenza di un’apocalisse Z, sono tutti poco lucidi. Il film comincia con un ragazzo, Romain, che si reca dal suo abituale spacciatore per rifornirsi in vista di una festa. Gran parte del film poi si basa sull’equivoco se ciò a cui stiamo assistendo sia soltanto un effetto collaterale di una nuova droga.
Ma non sono le sostanze assunte dai ragazzi il cardine della questione, tanto che, a livello puramente narrativo, MadS somiglia molto più a The Crazies di Romero (ancora lui), a velocità supersonica e sotto steroidi, che a una cosa tipo Bliss, tanto per fare l’esempio di un film lisergico recente.
Non è infatti lo stato mentale, per quanto alterato, dei protagonisti, il nucleo centrale del film, ma la fragilità esistenziale e sociale delle loro vite che, nel giro di poche ore, si palesa in tutta la sua potenza distruttiva.
È una fotografia perfetta della condizione umana in questi anni ’20 del XXI secolo, MadS: nella sua repentinità sta la più grande differenza con il film di Romero, che lasciava a personaggi e spettatori il tempo di meditare. Qui è tutto troppo rapido per permettere a chiunque di riflettere. Si può solo correre, urlare, provare a rifugiarsi da qualche parte, tentare di raggiungere la propria casa nella speranza che chi amiamo sia ancora vivo. Si rimane storditi perché, proprio in virtù di aver girato tutto in una sola ripresa, Moreau non concede un solo attimo di respiro, non un istante di tregua. Ci bombarda di suoni, musica diegetica, strilli, ruggiti, versi belluini, luci intermittenti, panoramiche a schiaffo, ingressi improvvisi in campo di e altrettanto improvvise uscite di scena.
Non c’è riposo per il nostro sguardo, per le nostre orecchie, per i nostri nervi. MadS è un’esperienza che mette a dura prova, tanto che non so se consigliarlo a cuor leggero, perché è proprio difficile da fruire per come ti aggredisce minuto dopo minuto. È un assalto sensoriale totale e non oso pensare a che effetto potrebbe fare se visto in una sala su grande schermo e al buio. Ti lascia tremante e incapace di comprendere a fondo cosa ti sia appena caduto addosso, proprio come i suoi sperduti protagonisti annientati dal crollo subitaneo di ogni loro sicurezza.
È bellissimo, ma da maneggiare con cura.












Questa cosa potrei chiedertela a te Lucia che di sicuro ne capirai piu’ di me sull’arte del montaggio,ma questa ossessione dell’unico piano-sequenza che a volte attanaglia la mente di qualche regista,non finira’ per lasciargli solo un enorme mal di capo logistico?,insomma lodevoli(forse)gli intenti del cineasta di turno,ma penso che il montaggio renda il tutto migliore alla vista,quando fatto come si deve.Preferisco quei film che piazzano a sorpresa una scena in piano sequenza,come quella bellissima di “Knowing” di Alex Proyas,utile alle sensazioni che vuole evocare quel momento preciso,ma un intero film non potrebbe alla lunga sfiancare?.Provero’ comunque a dare un’occasione a queso “MadS”.👋😁
Ma io non ho nulla contro i film girati in un solo take, ci mancherebbe. Poi sono comunque una rarità. Credo che ciò che rende un film “migliore” (poi migliore per chi e rispetto a cosa?) sia solo il centrare l’obiettivo che il regista si è prefissato.
Capisco,ovviamente e’ sempre una questione molto soggettiva,posso solo parlare per me stesso.Ti credo sul fatto che questo tipo di film siano una rarita’,il fatto e che nel mio caso,i pochissimi film che vidi con quell’approccio registico,non furono per me un’esperienza positiva,allucinata si,in alcuni casi abbastanza da attirare la mia attenzione,ma alla lunga furono per me una faticaccia concluderli,di certo queste visioni mi hanno reso diffidente verso questo tipo di film,pero’ do sempre una possibilita’ ai film che guardo,lo stesso faro’ con questo da te recensito,quando ne avro’ l’occasione!.
Vero, molto carino. Non so ancora se entrerà nella top 10 dell’anno, ma di sicuro non ci starebbe male.
Una pellicola “zombesca” realizzata in piano sequenza? Una vera doppia sfida: per chi la realizza in primis, ovviamente, e per chi fruisce il prodotto finito come spettatore, non avendo mai un attimo di pausa… Chissà che MadS non riesca a iniettare un po’ di nuova linfa in un genere da tempo più morto che vivente (per restare in tema), salvo poche eccezioni.
Su questo 2024 si dovrà tornare spesso, in futuro. Superiore al 2023, ma per distacco. Questo è ottimo cinema, la miglior forma in funzione del contenuto, del senso di angoscia e smarrimento assoluti che un’apocalisse del tutto incomprensibile porta con sé. Ho apprezzato in particolare il ritorno a casa del protagonista della prima parte del film, di fatto il punto di svolta del racconto; diretto con perizia notevolissima. Rimane soltanto un quesito: come si passa dal dirigere un film dedicato a un cucciolo di leone a un treno in corsa lanciato contro lo spettatore come questo? Forse la risposta si trova proprio nella domanda. Dopotutto, anche George Miller è passato da Happy Feet a Mad Max Fury Road. Ah, già: bellissimo il tag.
mah, ho apprezzato molto l’attualizzazione della situazione stile “La città verrà distrutta all’alba” e la messa in scena che gettandoti addosso qualsiasi cosa (luci, suoni, corse, spari) ti fa sempre stare in allerta ma non mi sono mai spaventato ne coinvolto e credo sia colpa ,per quel che mi riguarda, dell’insopportabilità dei primi due protagonisti, li trovavo intollerabili e volevo vederli morti il prima possibile, infatti al terzo blocco (dal bar in poi per intenderci) mi è cambiata questa sensazione e mi ha coinvolto e preso molto di più (che però è anche la fine del film in pratica). Insomma non mi è piaciuto più per una questione “di pelle” che di messa in scena