
Regia – Coralie Fargeat (2024)
Il body horror racconta quasi sempre del nostro corpo che ci si rivolta contro, diventa irriconoscibile, si trasforma nel nemico. Se la minaccia, nell’horror tradizionale, è quasi sempre esterna, nel body horror diventa interna: mutazioni, bubboni, malattie, parassiti, contagi. Possono anche avere un’origine aliena, ma una volta che ci sono entrati dentro, la mostruosità è tutta roba nostra e finiamo per combattere contro noi stessi e, inevitabilmente, per annientare noi stessi: Tillinghast che si divora nel finale di From Beyond è forse l’esempio più eclatante, ma anche l’orgia di Society ci torna utile per la rappresentazione di una società, appunto, impegnata ad autoassimilarsi.
Le grottesche deformazioni del corpo umano cui abbiamo assistito nel corso degli anni hanno colpito in maniera indistinta persone di ogni genere; dopotutto, il pregnancy horror è una branca tutta femminile del body horror (con alcune, significative eccezioni, ovvio, ma non stiamo scrivendo un saggio); eppure, non era mai stato affrontato con tali chiarezza e lucidità un tema che pare anche banale, se vogliamo: per ogni donna che abbia mai calcato il suolo terrestre, il proprio corpo è sempre un nemico. Lo è a prescindere da qualsiasi agente esterno intervenga su di esso per mutarlo, lo è quando capitiamo davanti a uno specchio, lo è quando ci sottoponiamo, non importa per quali motivi, allo sguardo maschile. Lo è e basta.
The Substance racconta esattamente questo e, per quanto sia un’opera colta, con riferimenti molto alti e un gusto cinefilo prezioso e raffinato, lo fa usando un linguaggio che è quello del B movie grossolano, estremo, disgustoso fino all’eccesso. Insomma, io non è che voglio rovinarvi la festa di Cannes, figuriamoci, ma qui dentro c’è molto più Yuzna che Cronenberg. Non è Il Ritratto di Dorian Gray, è Basket Case, è il gemello mostruoso nascosto in cantina con la gobba, è Herbert West che continua a rianimare i cadaveri fino a quando non resta di loro che degli osceni pezzi di carne che ancora vibrano e si muovono strisciando per terra.
Julia Ducournau è l’intellettuale, Coralie Fargeat è la matta in culo che ti tira in faccia le viscere strappate.
E infatti, The Substance è un film divertentissimo, dall’inizio alla fine, proprio come il capolavoro precedente della regista, quel Revenge che compiva con il rape & revenge (e il cinema d’azione, in generale) la stessa operazione compiuta qui con il body horror, entrambi filoni dominati da sempre da autori maschi.
The Substance è la storia dell’attrice sul viale del tramonto Elisabeth Sparkle (Demi Moore) che si vede togliere il suo programma di aerobica per fare posto a una conduttrice più giovane; viene a sapere per vie traverse dell’esistenza della Sostanza del titolo, un siero (verde, grazie Stuart Gordon) che ha la capacità di mettere al mondo una versione “migliore” di lei. Una volta iniettato e data alla luce la bellissima e ventenne Sue (Margaret Qualley), dovrà rispettare una serie di regole perché tutto proceda senza intoppi, la più importante delle quali è di vivere sette giorni nel proprio corpo in decadimento e sette nel nuovo corpo, senza eccezioni, senza neanche un minuto di ritardo nello scambio, ricordando sempre che lei è una sola.
Non le rispetterà, e come potrebbe essere altrimenti? Sue ottiene subito la conduzione del programma dal quale Elisabeth è stata licenziata, i manifesti con la sua faccia e il suo corpo spuntano a ogni angolo della città (e davanti alle vetrate della casa di Elisabeth), tutti adorano Sue, tutti impazziscono per Sue; tornare ad abitare il corpo che si odia è un sacrificio troppo grande per Elisabeth. Inutile dire che ci saranno delle conseguenze.
The Substance è quasi un film muto. Elisabeth e Sue parlano entrambe pochissimo e le linee di dialogo più sostanziose sono affidate ai personaggi maschili, tutti invariabilmente orrendi. Il percorso narrativo della protagonista (che, ricordiamolo, è una sola) è tutto affidato alle immagini. The Substance è quasi una lezione scolastica su come si può raccontare un intero universo senza l’ausilio delle parole. Passa tutto attraverso il linguaggio visivo e sonoro e, vi avviso subito, se avete problemi con i rumori disgustosi, potreste pure sentirvi poco bene, perché Fargeat ci va giù con la mano pesantissima. Ci va giù su tutto con la mano pesantissima: The Substance non va mai per il sottile, è sempre dritto in faccia al pubblico, come del resto era anche Revenge. Per questo insisto tanto con la sua vera natura da cinema di serie B, nascosto sotto tonnellate di belletto.
Anche qui, come in Revenge, se il belletto è di questa caratura, datecene altro perché ci serve come una droga.
The Substance è infatti un concentrato di stile, è così personale, così originale nella messa in scena da lasciare a bocca aperta per come Fargeat riesca a maneggiare tutto con un controllo assoluto: la simulazione del male gaze, che indugia sulle forme di Sue durante la trasmissione di aerobica, e poi fa la stessa cosa sul corpo in disfacimento di Elisabeth è un grande esempio di come sia possibile utilizzare una forma standardizzata e rivoltarla contro lo spettatore come un’arma. Quando Elisabeth è nel suo corpo, i colori del film si smorzano (escluso il cappotto giallo che l’attrice porta sempre quando esce di casa), la fotografia diventa quella di un neo noir, è tutto più concreto, più carnale, non dico realistico perché non lo è mai, ma più terreno; quando, al contrario, passiamo ad abitare la pelle di Sue, The Substance diventa uno spot di metà anni ’80, e quindi colori sparati, tutine rosa, illuminazione fredda e spietata, atta a mettere in evidenza ogni millimetro di carne di un corpo desiderato da tutti.
Nonostante gli eccessi degli ultimi venti minuti, il body horror di The Substance è presente in ogni singola inquadratura: è l’orrore di trovarsi davanti a uno specchio e di vedere un mostro che ci guarda dall’altro lato, di temere il nostro riflesso perché abbiamo ormai fatta nostra l’idea di non essere mai abbastanza, mai adeguate, mai perfette, sempre in qualche modo difettose e brutte. E il fatto che a interpretare Elisabeth ci sia quello splendore di Demi Moore non fa altro che sottolineare ancora di più il senso ultimo del film, il concetto di esistere solo se lo sguardo altrui (che diventa il nostro, e forse è ancora più crudele) ci dà il permesso di farlo.
La vera potenza dirompente di un film come The Substance sta nell’aver utilizzato un linguaggio i cui codici abbiamo appreso nel corso degli anni e che diamo per scontato, per toglierci il terreno da sotto i piedi: nessuno lo aveva ancora fatto. Siamo nel campo dell’inesplorato, una volta tanto.
Se il film pare essere piaciuto ai più, ho notato alcuni storcere l’altezzoso nasino per il finale, che è il momento in cui The Substance si dichiara, getta la maschera e fa le boccacce al pubblico, il momento in cui smette definitivamente di essere per bene e diventa una bestia selvaggia che ti azzanna alla gola. Non è la parte debole del film, non date retta a chi non ha mai visto Frankenhooker in vita sua, quella è gente con cui non vogliamo avere niente a che spartire. Il finale di The Substance è la ciliegina sulla torta, è il botto di Capodanno che fa tremare le pareti, è il sugello di sangue su un capolavoro.
Andate a vederlo in sala, debosciati.











Ciao Lucia. Visto in sala e apprezzato tantissimo. Demi Moore è semplicemente da Oscar che purtroppo non vincerà perché non penso proprio che l’Academy possa prendere in considerazione la sua performance. Apprezzato anche il lunghissimo bagno di sangue finale, anche se mi dispiace di non avere avuto un vero finale alla Carrie con la morte di alcuni personaggi disgustosi. Comunque chapeau! Adesso aspetto altri film da Coralie Fargeat. Un abbraccio. Ciao!
Demi Moore migliore interpretazione dell’anno.
Senza rivali proprio. Sarà sistematicamente ignorata
Premesso che sono da pane e salame, dunque Titane non l’ho capito (per me sta allo stesso livello della recensione di Fantozzi sulla Corazzata Potemkin, ma chi sono io per giudicare Spike Lee) di questa nuova versione di Biancaneve (perché è dei Grimm che stiamo parlando più che di Goethe o Wilde), di questa fiaba illustrata nutro un ambiguo doppio sentimento di ammirazione/repulsione ed estasi/fastidio. Sono tra coloro a cui il finale non è piaciuto, non perché eccessivo (dopo i primi piani di Quad che ingurgita crostacei capiamo che potrà succedere di tutto) ma perché Fargeat sceglie di urlare quello che sino ad allora aveva raccontato semplicemente per immagini (e suoni come giustamente noti) superbamente: la scena della muta in bagno ci ha tenuto letteralmente senza fiato per tutta la sua durata (solo una volta conclusa io mi sono accorto di aver trattenuto il respiro, ma ancora non ho capito per quanto: due o venti minuti). Fargeat continua il percorso iniziato con Revenge (anche la casa in cui si muove la Moore è la stessa in cui si consuma la violenza e vendetta di Jen: una villa che si affaccia su spazi immensi ma attraversata da corridoi lunghissimi e asfissianti) offrendo uno sguardo ancora nuovo nuovo e originale: Revenge era più compatto e acerbo questo più maturo e visivamente coinvolgente; speriamo però di non dover aspettare altri sei sette anni per un altro suo film.
Ma secondo me il film è tutto ad alto volume. Sul finale esplode perché è un body horror e gioca con la mostruosità del corpo femminile andando sempre in crescendo. Vero che se va trovato un riferimento letterario, ci stanno meglio i Grimm che Wilde.
Poi a me piace quando si perde il senso della misura. Sempre grande fan
È verissimo, però quello che mi era piaciuto (e avevo apprezzato) e che a parte la scena di cui sopra (il pranzo al ristorante) la Fargeat questo volume lo aveva alzato in modo più sottile (a volte con scelte rigorose ed eleganti: ancora la muta in quel bagno candente, per me la scena dell’anno; altre all’opposto con quell’esplosione di colori e primi piani sulla Qualley). Il tuo ragionamento non fa una piega ma ho trovato per certi versi più compatto il finale gridato di Love lies bleeding rispetto a questo. Non ne fai giustamente che un accenno… infatti per me in The Substance c’è poco Cronenberg (e ancor meno la sua Mosca: non c’è un solo fotogramma di compassione nel film della francese, meno che mai in quel finale “quando si perde il senso della misura”).
Film curioso,non tanto per la mostruosita’ finale,che per chi e’ un fruitore di film dell’orrore di vecchia data,ha gia’ visto questo tipo di aberrazzioni,curioso piu’ che altro per la sorpresa di rivedere in un film destinato alla sala nel 2024,un certo utilizzo del makeup mostruoso,inaspettato. Le lamentele che ho letto,potrei starci se il film si ponesse con un approccio credibile,ma The Substance e’ esagerato,grottesco e sopra le riga,come poteva esserlo l’episodio di un film antologico di grana grossa,de panza,per qui nonostante qualche stortura qua’ e la’,il film mi ha divertito.Ma quello che si e’ divertito parecchio mi sa’ che e stato il mio adorato Dennis Quaid,in assoluto il personaggio che piu’ mi ha divertito,scritto in maniera super demenziale,e parecchio furbetta(si chiama Harvey,fantasia portami via!),ma abbraccia il ridicolo a tal punto,che non ho potuto fare a meno di sganasciarmi dalle risate,grande Dennis!.👋
Peccato che Quasi sia uno stronzo. Però sì, bravissimo. Forse perché non ha dovuto sforzarsi troppo.
Ciao Lucia , bellissima recensione di un film che ho trovato importante e impattante, un’ opera che sta facendo discutere ( e ben venga!)..ho trovato affascinante tutto, dalla messinscena all’ interpretazione delle due protagoniste. La scena più scioccante a mio avviso? SPOILER!!!!!… Quando Demi Moore si guarda allo specchio, si trucca, non si piace, cambia make up e alla fine rinuncia e rimane in casa.
D’accordo su tutta la linea. Revenge era un gran film, e anche The Substance è divertente e ben fatto. Non mi stupisce che il finale, in cui il linguaggio da B movie trova la sua esasperazione, possa essere risultato “troppo” per qualcuno. Problema loro… Decurnau e Fargeat, a me piacciono entrambe.
Anche a me piacciono molto entrambe. Abbraccio tutto il body horror che posso trovare
E invece pensa, in generale il body horror di per se non mi dice granchè. Ma quando una cosa è fatta bene il genere passa assolutamente in secondo piano.
Ah, solo una cosa che in giro non leggo mai riguardo The Substance. Anche la performance di Margaret Qualley, che è in ascesa e ha molto più da perdere rispetto a DM, è notevole.
Sono tra quelli che ha storto l’altezzoso nasino per il finale 🙂 Sinceramente non ho capito il tuo richiamo a un horror demenziale come Frankenhooker, questo è un horror molto serio e disturbante finché, secondo me, non decide di virare in modo troppo drastico sull’assurdo-grottesco. Nel complesso mi è piaciuto, anche se non ne condivido alcune lodi eccessive.
Frankenhooker è un film serissimo. Eccessivo ed estremo, ma serissimo
Ti volevo fare una domanda riguardo alla cosa che scrivi su “storcere l’altezzoso nasino nel finale”; è una frase che è riferita a un pubblico generalista, che va a vedere The Substance come film preceduto da una grossa reputazione da festival? O ti riferisci proprio a un pubblico dell’horror che commenta il terzo atto trovandolo ridicolo?
Te lo chiedo perché stavo facendo riflessioni legate alla differenza di lettura che può esserci proprio da parte di un pubblico interessato a un film in quanto film del terrore (lasciamo un attimo da parte chi va a vederlo senza sapere cosa sia davvero).
La riflessione mi è nata da ciò che ho sentito dire alle famigerate tredicenni sedute di fianco a me al termine di Smile 2. Quando il film è finito, io stavo pensando che era una masterclass di jumpscare e costruzione dello spavento; che se avevo delle critiche da fare c’entravano con altro, di certo non con il modo in cui fa l’horror.
Invece le ragazzine (molestissime), che avevano strillato di terrore per tutto il tempo, si stavano dicendo che “certe cose erano fatte male”. Insomma, non riuscivano a esprimere un giudizio pienamente positivo sul film perché lo avevano trovato un po’ ridicolo. Non riuscivano ad apprezzare gli aspetti di cui io mi stavo tanto compiacendo, da persona adulta esperta etc etc. Questo particolare mi ha molto impressionato e fatto interrogare sulla fruizione dell’horror da parte di soggetti diversi; cioè quanto può differire la percezione anche di aspetti che invece troverei scontati (tipo: le scene horror di Smile 2 sono “fatte bene”).
A parte questa riflessione (che è aperta, non è una domanda a cui c’è una risposta “giusta”), ti volevo dire che secondo me è vero che c’è Yuzna, Gordon eccetera, ovviamente, però allo stesso tempo c’è anche Cronenberg, nel senso della Mosca (che comunque non mi sembra un esempio in contrasto col resto), e che c’è anche l’esplicito riferimento a Dorian Gray, in tutto il citazionismo di cui è fatto il film.
Ho capito che tu intendi dire che è come se ci fossero “due squadre” e che Dorian Gray gioca assieme a Non Brundle come “riferimento colto”. Però non sono così d’accordo sul separare La mosca e anche Oscar Wilde da tutto il resto. Alla fine sono storie dell’orrore, del body horror di cui stiamo tutt* parlando (perché per forza, è quello il film); non credo che giochino davvero in squadre separate, infatti Fargeat ha messo tutto insieme – compreso Kubrick, tra l’altro. Come a dire, queste sono cose unite: remember you are one.
Eccomi! Allora, io con Smile ho avuto un’esperienza molto simile alla tua, con le ragazzine urlanti che però, dopo il film dicevano che era una cazzata.
Sono convinta che la percezione di chi guarda un sacco di horror e ne studia un po’ il linguaggio sia molto diversa da quella dello spettatore occasionale, è una cosa con cui ho fatto pace esponendo le mie amiche a horror che io adorato e che loro proprio non sono riuscite ad apprezzare, tipo The Babadook o It Follows.
Sul fatto relativo a The Substance, non mi riferisco al pubblico generico perché credo che per loro sia già troppo la scena della nascita di Sue, ma alla critica che segue il film fino agli ultimi 20 minuti e poi comincia con i distinguo proprio perché, secondo me, la grammatica un po’ sguaiata del B movie è per loro una roba completamente aliena.
Poi, sui riferimenti, hai ragionissima: c’è Cronenberg, c’è Lynch, c’è Kubrick, ci sono tutti, non è in discussione la cosa, perché non è in discussione, per me, che non vada fatta distinzione tra alto e basso. Però credo che The Substance sia un film che, nel profondo, guardi più a ciò che viene definito comunemente come “basso”.
Non ho altro da aggiungere alla tua recensione appassionata se non che, ai body horror da te citati, mi sento di aggiungere il misconosciuto Rejuvenatrix (1988), per via delle tematiche di fondo aventi più di un punto in comune (è la mia impressione, almeno) con l’ultima fatica di Coralie Fargeat…
Un atto d’amore nei confronti del cinema che più amiamo e della narrazione visiva in generale – come hai detto, se fosse muto cambierebbe poco – anche in senso meta-testuale. Il fatto che non sia un capolavoro di originalità è secondario, ma molto secondario, quando ogni inquadratura è un piccolo quadro. Due ore e trenta sono volate via in un istante, e questo mostra una padronanza del mezzo rara.
Secondo me il problema del finale non sta nel suo essere “esagerato”, quanto nel fatto che indebolisce l’impalcatura emotiva, trasforma la sofferenza di una (?) donna in un circo. Ti scrivo i miei 2 cents:
L’ossessione di piacere e lo sforzo di piacersi, edonismo e caducità, Il Ritratto di Dorian Gray nell’epoca dell’asetticità biomedica, Lo Strano Caso del Dottor Jeckyll e di Mr. Hyde tra i corridoi televisivi, la poetica cronenberghiana del corpo in costante mutazione, omaggi a Eva contro Eva, The Elephant Man, Shining, La Cosa e Society: utilizzando un registro a metà tra il grottesco e l’asfissiante, Coralie Fargeat aggredisce una tematica non particolarmente originale – la paura di invecchiare – con scientifica furia e spavalda erudizione, rimodellando spazio e tempo secondo le sue esigenze e non lesinando scene perturbanti, sanguinolente, esplicite, financo disgustose.
Demi Moore è maestosa, Margaret Qualley scintillante, la regia è elegante e appare sempre in controllo; la scelta di perseguire ostinatamente la strada del parossismo ad oltranza nuoce però a un finale talmente strabordante di elementi da sortire l’effetto opposto a quello sperato, ovvero anestetizzare la carica emotiva, denudare la natura artefatta del calvario della protagonista e indebolire la metafora rendendola fin troppo evidente.
Se si possiede uno stomaco d’amianto, un’esperienza magari non irrinunciabile ma comunque a suo modo indimenticabile.
Ma io al contrario ho visto il finale come un voler abbracciare la mostruosità insita in ognuno di noi e rigettata con disgusto dalla società dello spettacolo che pretende la perfezione. Quindi sul finale mi sono addirittura commossa.
Sì il finale fa una simpatia quasi allarmante.
horror dell’anno a mani basse, per tre giorni ho provato a prenotarlo al RoFF19, ma alla fine sono riuscito a vederlo al cinema in madrelingua 🙂
spero vivamente che DM riceva almeno le nomination per i premi più importanti, il suo ruolo di sottrazione è formidabile e la sua scena del continuo truccarsi e struccarsi è un corto a parte
horror dell’anno a mani basse, per tre giorni ho provato a prenotarlo al RoFF19, ma alla fine sono riuscito a vederlo al cinema in madrelingua 🙂
spero vivamente che DM riceva almeno le nomination per i premi più importanti, il suo ruolo di sottrazione è formidabile e la sua scena del continuo truccarsi e struccarsi è un corto a parte
horror dell’anno a mani basse, per tre giorni ho provato a prenotarlo al RoFF19, ma alla fine sono riuscito a vederlo al cinema in madrelingua 🙂
spero vivamente che DM riceva almeno le nomination per i premi più importanti, il suo ruolo di sottrazione è formidabile e la sua scena del continuo truccarsi e struccarsi è un corto a parte
A me il film ha lasciato molto fredda. E non è un problema con il body horror di per sé… È che al netto di attrici bravissime, il personaggio della protagonista non mi ha detto nulla: ma possibile che a 50 anni hai ancora come unica opzione sculettare in body? Tutta sta fatica per cosa poi? Un programma di fitness? E questa donna non ha nemmeno una amica, qualcuno che la cerca quando decide di isolarsi? La prima parte mi ha messo una tristezza infinita, ma proprio una angoscia. Più che della paura di invecchiare mi pareva che il film volesse parlare di depressione: in fondo come può una persona isolarsi tanto, aggrappandosi come unico legame con la vita al suo lavoro? E anche il finale, più che un rovesciamento di sguardi, un male gaze al contrario, mi è sembrata solo un’altra declinazione del male gaze: in fondo c’è così tanta differenza tra sessualizzare una donna o guardare a un corpo femminile trasformato in mostruosità per lo shock value della cosa? Avremmo il coraggio di trasformare e ridicolizzare allo stesso modo un corpo maschile? Dubito. Non so, evidentemente mi sfugge qualcosa, c’è qualcosa del film che mi ha presa decisamente dal lato sbagliato.
La domanda a cui si può rispondere è perchè prendi una sostanza del genere.
La domanda a cui non si può rispondere è perchè non seguite le istruzioniiiiiii
Fin dai gremlins. Però lì ti ingannavano almeno. )
È chiaramente il film dell’anno e trovo difficile pensare a un numero alto di recenti esperienze cinematografiche ugualmente divertenti e coinvolgenti, però la pretesa che ogni film che si focalizzi sul corpo femminile sia per forza di cose femminista sta diventando più grottesco di questo mostro finale.
Questo film incredibile, e per il quale vedo che non si usa la parola capolavoro facilmente nonostante lo si pensi tutti, parla del consumo della integrità umana che ci si autoimpone nel disperato tentativo di valicare i propri limiti di persona o professionista o semplice unità sociale. Si parte come Dorian Gray e Jekyll e Hyde e si finisce come Oliver Haddo.
A dare l’indizio di questa chiave di lettura è la scena del pasto di Dennis Quaid che consuma malamente un piatto di gamberi e spreca un bicchiere di vino mezzo pieno. Il secondo indizio poi è chiaro e limpido nella disintegrazione finale.
Poi possiamo anche continuare a raccontarci tutto in coro che il punto è il conflitto fra i sessi ma lo sappiamo che questa è una chiave di lettura che almeno in questo film è stata ampiamente e brillantemente superata. Questo rende il film ancora migliore secondo me però ecco è bene sottolineare che c’è anche questo merito.
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