Pillole di fine estate

Volevo aprire la prima settimana di settembre con Longlegs, ma nel corso delle vacanze ho visto anche parecchi film interessanti, ed è tradizione del blog fare un riepilogo post pausa estiva. Ce n’è per tutti i gusti: survival, found footage, vampiri e zombie, horror comedy per alleggerirvi le giornate e incubi per rovinarvi le nottate. Ricordate che la Spooky Season è qui tra noi e che ci aspetta una valanga di uscite. Questo è soltanto un gradevole antipasto.

Ve lo ricordate quel colpo di genio di Turbo Kid? Il trio che lo ha diretto non è mai riuscito a ripetersi a quei livelli, ma ha continuato a lavorare con una certa continuità e, mentre l’ormai chimerico Turbo Kid 2 resta in pre-produzione a tempo indeterminato, nel 2023 gli RKSS (così si fanno chiamare François Simard, Anouk Whissell e Yoann-Karl Whissell) hanno diretto ben due film: uno ancora non è uscito, anche se chi lo ha visto al Fantastic Fest dell’anno scorso ne parla molto bene; l’altro è una simpatica commedia tratta da un fumetto, We Are Zombies.
I morti hanno cominciato a risorgere dalle tombe, ma non hanno le discutibili abitudini alimentari che ci sono state tramandate da Romero in giù; tutto quello che fanno è ciondolare da mane a sera. 
Anche se non costituiscono un pericolo per chi ancora respira, gli zombie hanno rappresentato un cambiamento radicale nella società, e i nostri tre sfigatissimi protagonisti cercano di vivacchiare vendendo cadaveri ambulanti a un artista che li utilizza come parte delle sue performance. 
Questa la premessa di un film con una trama abbastanza ingarbugliata, che alla fine è un heist movie con gli zombie infinitamente superiore alla snyderata uscita un paio di anni fa, ma al quale manca tutto il fascino un po’ grezzo di Turbo Kid; gli manca anche quella tenerezza così selvatica, che tra una testa spappolata e l’altra ti faceva pure scendere la lacrimuccia. 
È divertente, ha un paio di sequenze molto ben dirette e si lascia guardare con piacere. Purtroppo resta un po’ lì, appena abbozzato, con tutte le buone idee disperse in un mare di umorismo di grana molto grossa che non sempre raggiunge il proprio obiettivo. Ma va bene così. Turbo Kid era evidentemente un miracolo irripetibile.
Per gli orfani di Linnea Quigley.

Adam MacDonald è un tipo simpatico che, con tre buoni lungometraggi all’attivo (più la regia di 24 episodi della serie Slasher) è un pezzo importante dell’horror canadese contemporaneo. Il suo ultimo film torna alle atmosfere del suo esordio, e quindi al survival, solo che questa volta, al posto dell’orso, c’è un branco di lupi.
Out Come the Wolves è la storia di un fine settimana a caccia di cervi che prende una piega inaspettata quando, al posto di prede indifese, i maschi col fucile si trovano di fronte a bestie che non ci stanno a farsi sparare addosso. Immaginate la mia soddisfazione. 
Sophie (Missy Peregryne) è cresciuta andando a caccia col padre e con il suo amico d’infanzia Kyle, solo che, a un certo punto, non si è più sentita in grado di fare del male ad altri esseri viventi e ha smesso, diventando anche vegana. Purtroppo ha un fidanzato stronzo, direttore di una rivista di cucina, che vuole scrivere un articolo sulla vera esperienza di cibarsi di animali uccisi con le proprie mani, e così convince Kyle ad accompagnarlo per un paio di giorni in giro per i boschi. Tra i due uomini non scorre buon sangue: il fidanzato stronzo è geloso di Kyle e Kyle è un bifolco che si esprime solo a fucilate o con arco e frecce. Quando i due partono insieme per la loro battuta di caccia e si trovano di fronte i lupi, toccherà a Sophie risolvere la situazione. Povera donna circondata da imbecilli e mentecatti. 
MacDonald gira a basso budget in location reali e con lupi veri; possiede un occhio straordinario per raccontare l’ostilità della natura e la nostra inadeguatezza di fronte a essa; usa la metafora della caccia e della sopravvivenza per parlare del conflitto tra due uomini molto diversi tra loro ma entrambi incapaci di gestire la propria mascolinità. Insomma, è un gran bel film, teso e violento. State solo attenti ad alcune scene in cui gli animali vengono feriti e uccisi. 
Per chi pensa di avere sempre il fucile più grosso.

Torniamo in ambito comedy, anche se non sguaiata, e chiudiamo la tripletta canadese con il film dal titolo più lungo del 2024: Humaniste Vampire Seeking Consenting Sucidal Person, esordio in un lungometraggio della franco-canadese Ariane Louis-Seize e dolcissimo coming of age gotico a misura di fanciulle tristi. 
Sasha è una giovane (neanche settantenne) vampira con un serio problema: non riesce a uccidere per nutrirsi. La sua famiglia, preoccupata e anche stufa di doverle fornire sacche di sangue per il suo sostentamento, le taglia i viveri affinché trovi gli stimoli per mettersi in caccia, ma niente, è più forte di lei: quando dovrebbe attaccare un essere umano neanche le spuntano i canini. 
Il cammino di Sasha si incrocia con quello di Paul, adolescente problematico che odia la sua vita e vorrebbe soltanto abbandonare questo mondo. Sembra l’incontro perfetto, ma la situazione, invece che semplificarsi, si complica ulteriormente. 
Humanist Vampire usa quel linguaggio indie, così specifico e così riconoscibile, che potrebbe irritarvi dopo poche inquadrature; però lo usa con ironia e consapevolezza, si capisce che la regista sa cosa sta raccontando e che ogni sua scelta è definita dal desiderio di trovare la forma giusta da dare questa vicenda di persone alla ricerca della propria identità e di un posto tra i loro simili. Il film ha un debito grosso come un transatlantico con A Girls Walks Home Alone at Night, ma non ne possiede la medesima eleganza, e neanche la medesima audacia. È carino, è tenero, emoziona al punto giusto senza mai tracimare nella commozione pura, risultando un po’ troppo trattenuto. Ma la protagonista è così brava e così in parte che ve ne innamorerete. 
Per i vegani in una famiglia di adoratori delle grigliate. 

Non poteva mancare l’angolo del found footage in queste pillole. A proposito, è iniziata ieri la quarta stagione di Nuovi Incubi dedicata proprio al found footage, ma non divaghiamo.
Horror in the High Desert è una delle saghe più sottovalutate dell’horror recente. A discolpa degli spettatori possiamo dire che in Italia è ancora inedita e che, se i primi due episodi si trovano comodamente su Tubi, per reperire il terzo bisogna fare un po’ di salti mortali. Io li ho ovviamente fatti, perché credo che Dutch Marich, regista e sceneggiatore di tutta la serie di film, abbia un filo diretto con tutto ciò che mi fa paura, e non me ne sono pentita, anche se Horror in the High Desert 3: Firewatch è forse il meno interessante della trilogia. 
Breve riassunto delle puntate precedenti: nel 2017 lo youtuber e amante delle escursioni Gary Hinge si perde nel deserto del Nevada e non fa più ritorno. La giornalista Gal ci fa un documentario sopra e, indagando sull’area in cui Gary è scomparso, scopre di altre strane morti e sparizioni, come quella della studentessa Minerva, forse collegate a quella di Gary. La cosa fa impazzire i social e va a finire che influencer di ogni risma decidano di avventurarsi, anche loro, nel Nevada, alla ricerca di soluzioni dell’enigma. 
In Firewatch ci troviamo in compagnia di Oscar Mendoza, convinto di avere le risposte che cerchiamo da due film, e di conoscere anche l’ultimo luogo in cui è stato Gary prima di svanire dalla faccia della terra. Non andrà bene. 
Dicevamo che Firewatch è il meno interessante, ma questo non significa che non faccia cagare addosso e non abbia alcuni momenti allucinanti, in particolare la parte finale, quando si arriva nella presunta ultima tappa del viaggio di Gary. 
Se avete visto gli altri due, questo non potete perdervelo. Se invece non li avete visti, è il momento di una bella maratona autunnale. 
Per chi ama viaggiare in treno.

Al solito, si chiude con il meglio, e il meglio è in questo caso un folk horror inglese, genere perfetto per la stagione cui stiamo andando incontro.
Tratto dal romanzo omonimo di Andrew Michael Hurley (in italiano si chiama La Voce della Quercia, mortacci vostra) e diretto da Daniel Kokotajlo, Starve Acre forse è fuori posto nelle pillole, dove ci si occupa sempre di opere indipendenti a basso budget. Qui non siamo di fronte a roba faraonica, ma ci sono pur sempre Matt Smith e Morfydd Clark a reggere la baracca, quindi il livello è un po’ più alto. Resta comunque un film piccolo e contenuto, un folk horror molto tradizionale, così tradizionale da risultare abbastanza prevedibile nei suoi sviluppi narrativi, ma come tutti i folk horror, terribilmente affascinante. 
La campagna inglese è sempre un luogo pieno di sole e allegria: è per questo che i due coniugi protagonisti, Richard e Juliette, decidono di trasferirsi nella vecchia casa dei genitori di lui, portandosi dietro il figlioletto Owen. Un po’ di aria buona non potrà che fare del bene a tutti. 
Ovviamente no, e da manuale dell’ordinario squallore d’oltremanica, Owen muore e Richard e Juliette restano attoniti e storditi, entrambi alle prese con un dolore che li isola e li allontana l’uno dall’altra. 
Il soprannaturale fa il suo ingresso nella storia muovendosi sotto traccia, arrivando dal passato di Richard e facendo leva sul senso di colpa di Juliette. Alla fine, le vecchie leggende che riposano da secoli nella terra e sotto le radici, arrivano sempre a prenderti. 
Se avete letto il romanzo, sappiate che il film è parecchio diverso e che nella parte finale prende proprio un’altra direzione, ma riesce comunque a mantenere intatta l’atmosfera delle pagine di Hurley. Forse è un tantino meno ambiguo, però è normale che il cinema semplifichi. 
Per quelli che “la città è pericolosa”.

10 commenti

  1. Avatar di andrea

    Starve Acre è stata davvero una piacevole sorpresa

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Mi segno queste nuove pillole da prendere (dovrò recuperare pure il secondo Horror in the High Desert) 😉

  3. Avatar di L

    Starve Acre non mi ha convinto. I folk horror di solito mi piacciono, ma stavolta mi è mancato qualcosa. Va detto che non l’ho visto con l’attenzione che forse meritava per cui magari rimando il giudizio ad un’eventuale seconda visione.
    We are Zombies l’avevo iniziato, ma mi era sembrato davvero troppo amatoriale per dedicargli due ore… Out Come The Wolves l’avevo escluso per la tematica. I film del genere mi piacciono solo quando il predatore del caso è un mostro/alieno/mutante/uomo. Insomma quando non vengono cacciati animali.
    Se mi dici che ne vale comunque la pena gli do una possibilità.
    I primi due Horror in the High Desert non mi hanno fatto impazzire, ma il genere mi piace quindi vedrò volentieri anche il terzo.
    Resta Humaniste Vampire Seeking Consenting Sucidal Person, che mi attira molto ma che ancora non ho trovato. Ci lavorerò su.

    1. Avatar di L

      Aggiungo che sono un fan di questi post, alla fine ne esce sempre qualcosa in più da vedere.

      1. Avatar di Lucia

        Grazie! Diverte molto scriverli anche a me

  4. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Sentito parlare di tutti e cinque i film, ma visto ad oggi neanche uno. Grazie sempre per le graditissime pillole

    1. Avatar di Lucia

      Le vacanze servono a questo!

  5. Avatar di gipo

    sono una persona di gusti molto semplici: ho visto we are zombies al trieste sci fi festival a mezzanotte e ho riso come un matto. Horror comedy dell’anno, per me!

    ma humanist vampire (lo aspettavo invano al cinema) è recuperabile in modo semplice o ci vuole il pensiero laterale?

    1. Avatar di Lucia

      Pensiero laterale, per forza. Credo che dai noi sia ancora inedito.

  6. Avatar di Harvester_of_Sorrow
    Harvester_of_Sorrow · ·

    Di Hurley ho letto Loney e Il Giorno Del Diavolo, li amo! segno tutto, come sempre, ma do precedenza a questo film in attesa di recuperare anche questo suo terzo romanzo.