Zia Tibia is Back! Saw II

Regia – Darren Lynn Bousman (2005)

Anche i più accaniti estimatori di Jigsaw (quale la vostra affezionatissima non è) ammetteranno che, dopo il terzo capitolo, Saw ha un po’ fatto il salto dello squalo. Io credo che la saga sia nata saltando lo squalo. Se si esclude l’esordio di James Wan, che era una versione a basso budget e meno filosofica di Seven, gli altri film sono basati su un accumulo di assurdità tale da rendere Saw la prima (e speriamo unica) grande soap opera horror della storia del cinema. Credo che, da un certo punto di vista, ci sia anche del genio in questo, e qualunque cosa accada, ogni volta che un nuovo seguito arriva al cinema, io sto sempre lì in prima fila, salvo bestemmiare appena cominciano a scorrere i titoli di coda. È una sorta di perversione, la mia, non so che farci.
Non penso che tra i nove sequel del carrozzone torture porn nato ormai vent’anni fa ce ne sia anche soltanto uno buono, ma il secondo è di sicuro quello che somiglia di più a un film, ed è quello più vivo, quello più divertente e sì, anche più interessante per tutta una serie di dinamiche messe in campo, non so con quanta consapevolezza, ma comunque presenti. 

Nessuno, credo neanche Wan e Whannel, si aspettava che un minuscolo film girato in gran parte in un cesso incassasse così tanto. E invece, appena una settimana dopo l’arrivo di Saw nelle sale, nell’ottobre del 2004, i produttori del film danno il via alla lavorazione per realizzare un sequel. Solo che il regista e lo sceneggiatore di Saw sono alle prese con un altro progetto, quel Dead Silence andato malissimo e in seguito rivalutato; nel frattempo, c’è un giovane regista di videoclip che si aggira per gli studios cercando di piazzare la sceneggiatura di un horror ultra-violento, The Desperate, che però nessuno gli vuole finanziare. Il suo nome è Bousman, Darren Lynn Bousman e, per tutta una serie di circostanze fortuite, il suo script arriva nelle mani di Greg Hoffman, fondatore della Twisted Pictures e produttore di Saw. Viene fuori che la trama di The Desperate, con le dovute modifiche atte a inserirla nel contesto, sembra perfetta per farne un sequel di Saw. E si è persino trovato qualcuno disposto a dirigerlo.
È importante questa vicenda, perché segna l’ingresso del vero ideatore dell’estetica e dell’ideologia di Saw, non James Wan, che in effetti gira in maniera molto differente, ma proprio Bousman, regista dei film dal secondo al quarto, tornato in sella per l’ottavo, ma presente in produzione per l’intero ciclo vitale di questa saga.

Bousman, che a parte Saw, è responsabile di un sacco di robaccia e di una porcheria che io adoro più della mia stessa vita (non vi dico quale, scopritelo da soli, prima o poi ne parleremo) ha reso Saw riconoscibile e fortemente caratterizzata a livello visivo, e ha fatto diventare Jigsaw un personaggio vero e proprio. Ricordiamoci che, nel primo film, John Kramer era un corpo steso sul pavimento fetido del cesso di cui sopra, e un paziente terminale in un letto d’ospedale visibile per circa 20 secondi su 100 minuti. A Tobin Bell non deve essere parso vero, di poter addirittura stare seduto e pontificare, illustrando nel dettaglio il suo dubbio codice morale. 
È vero che esiste una continuità estetica e concettuale con il film di Wan, data da un lato dalla presenza di Kevin Greutert al montaggio (successivamente ha diretto Saw VI, Saw 3D ed è il colpevole di Saw X) e David A. Armstrong alla fotografia, dall’altro dalle revisioni operate da Wan stesso e Whannel in sede di sceneggiatura. 
Ma il punto è che Saw era un film da un milione di dollari di budget, contenuto per ragioni di mera economia; raccontava della caccia a un serial killer e dei tentativi di togliersi dai guai di due sue potenziali vittime. Non era un torture porn, non aveva al centro il funzionamento delle trappole; soprattutto, non era girato come una serie tv procedural degli anni ’90 nelle sequenze fuori dal solito cesso e come un videoclip dei Nine Inch Nails in quelle all’interno del cesso. 

Arriva Bousman e la musica cambia: l’attenzione non è più posta sul meccanismo investigativo e sul ragionamento per uscire dalla escape room più lurida del mondo; al contrario, ci si concentra sul concionare vacuo e vagamente fascista di Kramer e sulla mera esecuzione degli strumenti di tortura, cui sono sottoposti personaggi troppo sgradevoli per poter attuare una qualsiasi forma di processo di identificazione con loro.
È tutto verde, tutto marcio, i personaggi sono tutti sudati neanche stessero aspettando un taxi a luglio a Fiumicino e, nonostante il suo soprannome, Jigsaw smette già al secondo film di sottoporre i soggetti dei suoi esperimenti sociali a degli enigmi. O meglio, in Saw II una parvenza di rebus per solutori inesperti resiste ancora, ma i criminali rinchiusi nella casa diroccata e opportunamente avvelenati così da mettere loro un po’ di pepe al culo, neanche ci provano a risolverlo: passano subito a saltarsi alla gola l’uno con l’altro. Sì, in teoria ci sarebbero delle regole da seguire per uscire vivi da lì, e c’è persino Amanda messa in mezzo a quelle serpi per fare loro da guida, ma è uno spunto che a Bousman non interessa. Lui vuole solo far vedere ai suoi spettatori quanto fa schifo la natura umana e quanto abbia ragione Jigsaw a cuocere la gente viva nei forni.

Saw II è un esempio da manuale di ciò che viene definito idiot plot: sono tutti tragicamente imbecilli tranne Jigsaw (e Amanda, ma solo perché si attiene alle istruzioni di Jigsaw): è imbecille il poliziotto interpretato da Donnie Wahlberg, che potrebbe soltanto stare lì a conversare con quel vecchietto incappucciato e intercettato da una squadra di SWAT mentre si dedica alla pericolosissima attività di mangiare latte e biscotti nella ciotola a fiorellini di sua nonna, e invece decide di corcarlo di mazzate; è imbecille il sergente Rigg (così imbecille che in Saw IV è stato promosso a protagonista), che non ascolta l’unica esperta di Jigsaw nella stanza, fa di testa sua e combina un disastro dietro l’altro, salvo prendersela con quell’unica persona, la povera Kerry (Dina Meyer), sola portatrice di divisa a non essere affetta da idiozia irrecuperabile, e per questo destinata a non essere proprio cagata; sono imbecilli tutti i poveracci rinchiusi nel parco giochi privato di Jigsaw, tra quello che legge il biglietto con su scritto: “non usare questa chiave in quella serratura” e ovviamente la usa subito e si becca una pallottola in un occhio, quell’altra che infila entrambe le mani nella teca per prendere un antidoto e resta intrappolata come la scema che è, e quell’altro ancora che non ha di meglio da fare se non minacciare, menare tutti e sfasciare teste. In generale, se i morituri ascoltassero le registrazioni e seguissero le regole, uscirebbero da lì in pochi minuti. Ma l’idiot plot è lì a dirci che il mondo è popolato da tacchini ed è giusto che arrivi Jigsaw a macellarli, quindi non c’è speranza di trovare un barlume di intelligenza neanche a sacrificare un neonato a Satana.

Se paragonato agli intrecci da telenovela sudamericana dei film successivi, Saw II ha ancora una trama lineare e con una logica interna che, con qualche acrobazia da parte della nostra sospensione dell’incredulità, regge. Però è qui che la saga trova la propria identità, imbocca la propria strada e inizia a seguirla con la stessa caratura intellettuale dei suoi personaggi, che è nulla. 
A dire la verità, ci sono ancora due protagoniste degne di interesse, ed è l’ultima volta che viene dato loro un minimo di spazio: Kerry e Amanda. La prima verrà poi trucidata senza troppe cerimonie all’inizio di Saw III, perché mai sia che in questi film appaia una poliziotta in grado di fare il proprio mestiere; la seconda verrà progressivamente massacrata, a livello di scrittura, fino a diventare una macchietta, per lasciare la scena nientemeno che a Hoffman. Non è che una femmina può ereditare il trono di Jigsaw. Si sa che noi non siamo affidabili, abbiamo le mestruazioni. 
Eppure, proprio per la presenza di queste due povere disgraziate, che potrebbero reggere un’intera saga da sole, e invece no, Saw II può vantare alcuni punti di interesse, del tutto assenti nei film successivi. 
La relazione tra Amanda e Kramer è interessante, per quanto appena abbozzata e troncata in Saw III; il sentirsi legata in maniera così profonda a qualcuno che ti ha solo fatto del male, credere che sia stato la tua salvezza e arrivare addirittura a rischiare la vita e a uccidere per lui: è una dinamica che si poteva sviluppare in decine di modi diversi. È stato scelto il peggiore. 
È interessante anche il rapporto tra Kerry, unica agente superstite del primo film, e i suoi colleghi maschi, tendenzialmente corrotti, violenti, incapaci di gestire i loro istinti. Giustamente, Kerry crepa uccisa proprio da Amanda, perché le donne sono peggio degli uomini, signora mia. 
Se la saga si fosse fermata qui o anche se avesse avuto qualcuno interessato a raccontare una storia, invece che ad avvalorare le sue claudicanti tesi sul genere umano, credo ci avremmo guadagnato tutti. 
Otto film dopo, e con Kramer definitivamente diventato un nonnetto amorevole e un eroe dei nostri tempi, non so bene come guardare a questo film. Resta il meno detestabile, su questo non ci sono dubbi, ma i germi del disastro ci sono tutti. 

7 commenti

  1. Avatar di loscalzo1979

    Il primo tutto sommato m’incuriosiva e non mi dispiaque, già al secondo ho mollato la barca e non me ne pento.

  2. Avatar di Valerio
    Valerio · ·

    Come ho scritto qualche post fa, dopo il 2011-2012 penso che Saw sia finito irrimediabilmente fuori dal tempo, ma forse aveva già esaurito la sua spinta propulsiva proprio con il secondo capitolo. Beninteso, li ho visti quasi tutti al cinema fino al 2017, solo con gli ultimi due proprio non ce l’ho fatta. Saw II resta nel complesso guardabile, un interessante viaggio nel periodo in cui la fotografia dell’horror doveva necessariamente avere una palette cromatica limitata alle tonalità del giallo-verde. A suo tempo notai anche io il potenziale narrativo, ahimè gettato alle ortiche, del rapporto fra Kramer e Amanda. Può salvarsi la scrittura del personaggio di Donnie Whalberg, posto che intendessero presentarlo consapevolmente in modo critico. La saga di Saw ha anticipato la serialità al cinema, diciamo che poteva magari farlo un po’ meglio.

    1. Avatar di Lucia

      Vero, perché prima le grandi saghe non avevano una grossa continuità tra loro. Saw è davvero una soap opera composta da più film, e se non ne vedi uno, non capisci niente degli altri.
      Sui vari sequel, il mio preferito resta quello del 2017 che non è piaciuto a nessuno.

  3. Avatar di Edo

    “…soap opera horror…” buahahah stupenda

  4. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Saga (non male all’inizio, no, ma proseguita in rapidissima discesa) mollata dopo il terzo capitolo, senza rimpianti…

  5. Avatar di John Locke
    scafandro02 · ·

    Cit.:”Bousman, che a parte Saw, è responsabile di un sacco di robaccia e di una porcheria che io adoro più della mia stessa vita (non vi dico quale, scopritelo da soli, prima o poi ne parleremo)…”.

    Darò retta al mio istinto e cercherò di recuperare Repo! The genetic opera. Sulla carta sembra un capolavoro.

    1. Avatar di Lucia

      E ci hai preso. Capolavoro è sicuramente una parola un po’ eccessiva, ma secondo me è la cosa migliore che abbia mai fatto Bousman.