Aspettando Romulus: Alien 3

Regia – David Fincher (1992)

Il sequel più radicale, estremo, refrattario a qualsiasi atteggiamento compiacente nei confronti dei fan; la Ripley più umana e reale mai vista su uno schermo; un regista che, in seguito, avrebbe definito l’estetica del cinema anni ’90 come pochi altri suoi colleghi; un blockbuster da 60 milioni di dollari che è in realtà un manifesto sulla libertà di scelta e di fare del proprio corpo ciò che si vuole, qualunque interpretazione vogliate dare alla fine di Ripley, gravidanza indesiderata o malattia terminale. 
E, come nella più classica delle tragedie hollywoodiane, è anche un film così poco riuscito che a stento ci si crede, che esista. Con il tempo e la vecchiaia, sono riuscita a fare pace anche con Alien 3, perché alla fine ho capito il senso dell’operazione e quello che avrebbe voluto fare Fincher, se solo glielo avessero lasciato fare; inoltre, sotto le tonnellate di rifacimenti, ingerenze produttive, fretta folle di rispettare la data di distribuzione arbitrariamente stabilita, si intravede il film che sarebbe stato. Però, ecco, si intravede e basta.

Come credo sappiate già, Alien 3 è rimasto a marcire nel cosiddetto development hell per anni prima che la Fox decidesse di far partire il progetto. Si sono avvicendati almeno quattro sceneggiatori diversi, tra cui William Gibson e David Twohy, per non parlare dei registi contattati per dirigere il film prima che lo prendesse in mano Fincher. Dal 1987, anno in cui Gibson presenta la sua versione del film, si arriva alla primavera del 1991, quando cominciano di fatto le riprese, con l’uscita in sala di Alien 3 prevista per il maggio dell’anno successivo. Nonostante lo script sia a firma di Walter Hill e David Giler, Fincher arrivò sul set senza una sceneggiatura completa, con una tabella di marcia proibitiva e con il budget decurtato.
Alien 3 arriva nei cinema il 22 maggio, incassa al di sotto delle aspettative e non riceve reazioni entusiastiche da critica e pubblico. La versione vista all’epoca dura 114 minuti ed è quella che trovate ancora oggi su Disney Plus; non esiste un director’s cut perché Fincher ha disconosciuto il film e si è anche rifiutato di collaborare all’edizione estesa: secondo lui, per avere un director’s cut di Alien 3, avrebbe dovuto rigirarlo tutto da capo; esiste tuttavia un Assembly Cut, presente nel cofanetto con l’intera tetralogia di Alien uscito nel 2003 (orgogliosamente posseduto dalla sottoscritta), che non è soltanto un montato un po’ più lungo e con qualche scena in più, è proprio un altro film. Per scrivere il post che state leggendo, io ho rivisto l’Assembly Cut, perché credo sia un film migliore. 

Una delle caratteristiche più interessanti della saga di Alien originale (ovvero quella che va dal 1979 al 1997) è che ognuno dei quattro film è diretto da un regista con uno stile molto personale, un approccio differente alla materia e pure una visione del mondo completamente diversa. Nel caso del passaggio di consegne da Cameron e Fincher, addirittura opposta. Cameron è un ottimista, il suo Aliens è uno scatenato film d’azione con un sacco di morti ammazzati, ma con un atteggiamento tutto sommato positivo nei confronti della vita. Oserei dire che ha dei momenti di stampo quasi spielberghiano (più spielberghiano della presenza di Newt non credo esista niente); Fincher, anche in virtù dell’appartenenza a un’altra generazione, ha sempre portato avanti con coerenza il suo nichilismo cinematografico, insieme con la poetica della desolazione e del vuoto e dell’angoscia esistenziali. Tutto questo non comincia affatto con Seven, ma parte proprio da qui, da quando un Fincher non ancora trentenne, e ai tempi regista di videoclip, viene chiamato dalla Fox per essere messo a capo di un blockbuster nato storto. Forse, però, era la persona sbagliata al momento sbagliato. 

Se Alien era un esperimento a basso costo diventato un successo multimilionario, e Aliens un sequel guardato con un certo sospetto, ad alto rischio e costato poco di più del suo predecessore, Alien 3 segna il momento in cui gli xenomorfi diventano una faccenda seriale e saldamente in mano agli studios. Da 18 milioni si passa ai sessanta spesi dalla Fox per questo terzo film. C’è molta più pressione, ci sono gli spot televisivi mandati in onda con anni di di anticipo, c’è tutto l’indotto che ruota intorno a un’operazione del genere, c’è una campagna di marketing martellante e aggressiva. Tutto questo si traduce nella volontà di non andare in perdita, anche giustamente, per carità, e di portare sugli schermi di tutto il mondo un fenomeno in grado di sbancare al botteghino.
Ora, nonostante io, per un fatto generazionale, la veda più o meno come Fincher, è complicato far digerire ai produttori (e ai fan) l’idea che il mondo sia un luogo squallido, desolato, marroncino, dal quale puoi sperare solo di uscire con una certa dignità e restando padrona di te stessa fino alla fine. 
Il contrasto tra la severa austerità di Fincher e i botti di Cameron è stridente più di 30 anni dopo. Pensate nel 1991. Forse non avevano torto, alla Fox, quando avevano pensato a Renny Harlin per la regia di Alien 3.

Fincher commette degli errori, certo: è inesperto, giovane, al suo esordio. Era stato chiamato per girare un film che doveva essere pronto, e quando aveva accettato il lavoro aveva scoperto che neppure c’era una sceneggiatura. Alien 3 è la tempesta perfetta in grado di distruggere una carriera non ancora iniziata. E infatti, dopo quell’esperienza, Fincher ha dichiarato: “I’d rather die of colon cancer than make another movie”. Poi, per fortuna le cose hanno preso una piega diversa e noi bimbi e bimbe di Fincher possiamo essere soddisfatti. 
Ma all’epoca, Alien 3 era una trappola in cui sarebbe caduto chiunque non fosse una vecchia volpe con un grosso potere contrattuale, come appunto Cameron. 
I vari executive della Fox, spediti sul set per assicurarsi che il film venisse terminato in fretta e risparmiando pure qualcosina, stavano addosso a Fincher dalla mattina alla sera. Alla fine, dopo un’interruzione nelle riprese, il trasferimento da Pinewood agli studi della Fox per rigirare alcune scene, e un montaggio caratterizzato dalla stessa, ossessiva presenza degli omini Fox, Fincher molla tutto e il film viene portato a termine senza di lui. 

Il fatto che Alien 3 sia poco riuscito non deve quindi stupire nessuno. Al contrario, stupisce come, nonostante tutto, regga ancora e mantenga una certa impronta d’autore. Zoppica da un punto di vista narrativo, anche se l’Assembly Cut chiarifica molti dettagli perduti nella versione uscita in sala, dove mancano proprio dei passaggi fondamentali (tipo la momentanea cattura dell’alieno nel deposito e la sua fuga); non è un granché nelle poche sequenze d’azione, finale escluso, che spesso sono confuse e viziate da alcuni problemi nella resa degli effetti speciali e dalla monotonia dell’ambientazione; ha pure qualche calo vistoso di ritmo, e questo vale per entrambe le versioni e prescinde dalla lunghezza del film. In generale, è un grosso, ingombrante e bizzarro oggetto che non ha una forma vera e propria e caracolla per un paio d’ore sullo schermo senza sapere bene da che parte andare.
Ma anche delle cose bellissime, che poi sono quelle elencate all’inizio, e un’atmosfera malata, di una tristezza e di una tetraggine indicibili, roba che di rado si vede in un film di questa portata, ancora meno in un sequel di un franchise milionario.

Mi piace la Ripley stanca e provata che desidera la morte, mi piace tutta la simbologia messianica, l’alieno che viene preso dai prigionieri religiosi come un messaggero dell’apocalisse, mi piace il personaggio di Charles Dance e il fatto che Fincher lo faccia fuori senza troppe cerimonie neanche a metà film, perché in fin dei conti, Alien 3 è uno schiaffo in faccia al fandom, al concetto stesso di fandom, e una rivendicazione di poter fare ciò che si desidera con dei personaggi ereditati, a patto che se ne preservi la coerenza. Non c’è nulla di più coerente della morte di Ripley nella fornace: salva l’universo, regala una cocente sconfitta alla Weyland, decide per se stessa fino all’ultimo respiro. Per questo preferisco l’Assembly Cut. 
Resta il rimpianto di tutto ciò che questo film avrebbe potuto essere e non è stato, e credo ci vorrebbero altri sei articoli per farne un’analisi approfondita, ma purtroppo ci dobbiamo accontentare. Come in ogni gioco di prestigio, a volte la magia, semplicemente, non riesce. E così è stato per Alien 3. 

8 commenti

  1. Anche con tutti i problemi che hai giustamente elencato nella recensione, devo ammettere che è un film che mi ha sempre affascinato con la sua atmosfera pessimista e cupa. Anche se effettivamente, a differenza dei primi due film, non lo vedo da anni. Devo recuperare l’Assembly Cut…

    1. A me l’Assembly cut piace molto di più, cambia un sacco di situazioni poco chiare nella versione uscita in sala e, soprattutto, offre molto più spazio ai personaggi. Io, nella versione da cinema, me li confondevo tra loro, con l’Assembly capisco se non altro di chi stiamo parlando e chi e quando crepa.

  2. L’Assembly Cut non l’ho mai vista, ma il terzo capitolo non mi è mai dispiaciuto, per come lo vidi al cinema e in tv.

    Poteva essere la chiusura della saga, per me, ma poi hanno fatto altre scelte

  3. Valerio · · Rispondi

    Incompiuto, rimaneggiato, soltanto i germi di un potenziale capolavoro, ma sempre un meraviglioso saggio delle capacità di Fincher, perché gli stilemi che lo contraddistingueranno sono tutti lì. Con delle scelte narrative che ancora oggi non risultano scontate, e un’ambientazione che diventa quasi co-protagonista. Gira a vuoto, ma alla fine lascia lo spettatore sazio (forse anche troppo) e con immagini splendide negli occhi.

  4. Ammetto che avrei tanto voluto vedere la versione di Vincent Ward con il suo “Wood Planet”,stranissimo ma potenzialmente sarebbe stato anch’esso unico nel suo genere,in maniera ancora piu’ netta,ma nonostante tutto “Alien 3” mantiene comunque un grande fascino funereo,difettoso ma lo rivisto piu’ volte di quanto probabilmente io ricordi,qualcosa vorra’ pur dire dopo tutto! Ciao Lucia👋

  5. Giuseppe · · Rispondi

    L’Assembly Cut ha il merito di restituire al film un po’ di quella dignità che, procedendo man mano nel suo travagliatissimo iter produttivo, non sembrava ormai più essere considerata una priorità da nessuno. Soprattutto, rende il giusto merito a chi, pur trovandosi al posto sbagliato nel momento sbagliato, è stato anche l’unico a cercare di salvare comunque la pencolante baracca con il suo stile di regia e relative azzeccate intuizioni visive: il giovane David Fincher, ovviamente, qui costretto a pagare un ingiusto prezzo per colpe altrui (ché la propria inesperienza una colpa NON può certo essere considerata), compresa la scelta scellerata da alcuni inopinatamente definita “con le palle”, laddove le palle evidentemente sono state qui usate per pensare al posto del cervello, di eliminare in quel modo Hicks e Newt (due grandi personaggi, praticamente stroncati all’inizio di quello che avrebbe potuto essere un interessante arco narrativo)👎

  6. Scusa se ne approfitto, ma come molti sul patron di Davide Mana, sono in pensiero visto che non se ne hanno notizie da gennaio.

    Alien 3 avrebbe dato buon materiale per il vostro podcast!

    Puoi darci notizie su Davide?

    Grazie

  7. Hola Lucia, La mesita del comedor, the coffee table, l’hai visto?

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