Tanti Auguri: 60 Anni de La Maschera della Morte Rossa

Regia – Roger Corman (1964)

Quando Corman se ne è andato, il 9 maggio di quest’anno, gli ho dedicato un post (perché come fai a non dedicare almeno un post a Corman), ma non ho parlato di un suo film in particolare, e la ragione è che avevo in programma da mesi di festeggiare qui il complehorror del suo capolavoro psichedelico.
Dei Poe-film di Corman ne abbiamo discusso dozzine di volte, in questa e in altre sedi, quindi non sto qui a ribadire concetti già espressi. Vi ricordo solo che La Maschera della Morte Rossa è il settimo di un ciclo di otto film, tutti prodotti dalla AIP e tutti liberamente (molto liberamente) tratti dai racconti di Poe, ed è anche uno dei più costosi, nonché quello che è stato girato in più tempo. 
Corman aveva in programma di fare La Maschera della Morte Rossa subito dopo I Vivi e i Morti (titolo italiano di The Fall of the House of the Usher), ma non riusciva a trovare la quadra della sceneggiatura. Per questo motivo ci vogliono quattro anni, e un numero imprecisato di film da regista e produttore, prima di andare sul set. 

Lo script passa attraverso vari autori, che già avevano lavorato con Corman su altri progetti: il primo a metterci mano è Charles Beaumont, autore di due Poe-film, Premature Burial e Haunted Palace. Beaumont presenta una prima sceneggiatura nel 1961, ma Corman è riluttante a mettere in scena quella versione della storia; pensava infatti fosse troppo simile a Il Settimo Sigillo e non aveva molta voglia di venire accusato di plagio da Bergman. Il compito di aggiustare il film passa allora a Robert Towne e a Barboura Morris, storica collaboratrice di Corman. Il regista non è soddisfatto neanche di questa versione, e quindi decide di tornare a quella di Beaumont e di farla sistemare da un quarto sceneggiatore, R. Wright Campbell. Se l’idea del principe Prospero satanista è da attribuire a Beaumont, quella di inserire una sottotrama ispirata a Hop Frog, è di Campbell.
Come accade spesso in casi di copioni molto rimaneggiati, il risultato finale è un misto di tutti i tentativi fatti. Prospero è un adepto del demonio, c’è un nano a corte che giocherà un brutto tiro a uno dei nobili invitati al ballo in maschera, e il film ha in effetti delle assonanze con Il Settimo Sigillo. 

Un Poe-film veniva di solito girato in tre settimane. Per La Morte Rossa Corman ne ebbe a disposizione cinque, ma soltanto perché andarono a girare in Inghilterra, su set riciclati da Becket e il suo Re, e grazie a un accordo della AIP con la produzione britannica Anglo-Amalgamated, che consentì a Corman di avere qualche spicciolo in più. Ciò non gli impedì di lamentarsi  tutto il tempo per la lentezza della troupe inglese rispetto a quelle americane. Uno dei più grossi vantaggi di non girare negli Stati Uniti fu però l’aver acquisito un giovane direttore della fotografia di nome Nicholas Roeg, che qui girava il suo primo film a colori. 
Non è mia intenzione sminuire il lavoro di Corman perché sarebbe una follia, però è ovvio che l’estetica così radicale de La Maschera della Morte Rossa derivi anche dalla presenza di Roeg, che insomma qualcosina di cinema psichedelico avrebbe dimostrato, negli anni successivi, di saperne. Credo sia stata la collaborazione tra i due a dare al film quell’aspetto unico, eccezionale anche all’interno della filmografia di Corman. Il regista aveva sperimentato coi colori e coi filtri a partire dagli Usher, ma non ancora con questa sfrenata libertà e neanche con questa precisione chirurgica. 

Nell’ambito del cinema a basso costo degli anni ’60, soltanto Mario Bava è arrivato agli stessi livelli di forza espressiva. Solo che Bava era più scatenato con i movimenti di macchina e i suoi film avevano più ritmo. La Maschera della Morte Rossa, per quasi tre quarti della sua durata è compassato come tutte le produzioni cormaniane d’epoca. Sonnecchia tra una turpitudine commessa da Prospero e il contrappeso etico rappresentato dalla povera Francesca, mentre tutta la nostra attenzione è calamitata da Hazel Court che vuole a tutti i costi diventare sposa di Satana.
Nonostante sia obbligato da ragioni di censura a inserire tre personaggi positivi, Corman si dedica anima e corpo a evidenziare la corruzione e l’apocalisse della morale delle classi superiori. Che è poi la stessa cosa che avrebbe fatto Flanagan 59 anni dopo, perché Poe, con i suoi nobili che si murano vivi, ammazzano le mogli, organizzano orge alla faccia dei poveri paesani falciati da un’epidemia e si divertono a torturare i loro sottoposti, si presta moltissimo a un discorso basato sulla necessità di far morire malissimo i ricchi. 

È una satira dalla ferocia inusitata, La Maschera della Morte Rossa di Corman, con Vincent Price che capisce alla perfezione il suo ruolo e gigioneggia a più non posso, interpretando un personaggio vacuo e crudele, che giustifica la propria mancanza di umanità con un sistema di credenze che, sottoposto a un minimo di analisi, non ha né capo né coda. L’adorazione di Satana da parte di Prospero è solo una facciata, un modo come un altro per ammantare di senso le azioni orribili compiute dal principe e dalla sua corte. A danno di chiunque, come si comprende bene in una delle sequenze più esilaranti del film, quella in cui Prospero costringe tutti i suoi ospiti a comportarsi come animali, divertendosi come il sadico umorista che è. 
Persino la rappresentazione della purezza e della bontà incarnata da Francesca cederà a questa miseria morale diffusa e incoraggiata. Nonostante il finale veda la giovane donna dispensata dal fare la stessa fine di Prospero e della sua banda di nobili gaudenti, la sua corruzione è molto più che suggerita. 

Una delle cose che ho imparato in tanti anni buttati appresso al cinema e alla narrativa dell’orrore, è che non si può essere fedeli a Poe quando lo si adatta per il cinema. Tutto ciò che si può fare è carpirne le suggestioni, quindi non è vero che i Poe-film fossero molto poco aderenti ai racconti da cui erano tratti perché a Corman non interessasse o perché non conoscesse lo scrittore e gli servisse soltanto un nome altisonante da mettere sulle locandine. Sì, gli serviva, lo ha sfruttato in tutti i modi possibili, ma Poe lo aveva letto, lo aveva assimilato e lo aveva capito. Soprattutto, Corman aveva capito che la fedeltà all’opera è una faccenda sopravvalutata, buona giusto per un pugno di fanboys che si lamentano nella loro cameretta. La Maschera della Morte Rossa prende lo scheletro del racconto di Poe e lo mantiene intatto, ma ci aggiunge un altro centinaio di elementi che funzionano nel contesto cinematografico e servono a raggiungere i 90 minuti di durata.
Corman dà una sua una interpretazione della storia di Poe, adeguandola ai tempi e al linguaggio dell’epoca in cui il film è stato realizzato, e restituisce il delirio allucinatorio delle pagine finali in maniera così potente che nessuno ha mai più osato mettersi in competizione con lui. Per dire, Flanagan ha dovuto alzare l’asticella dell’orrore inventandosi la gente sciolta nell’acido. Corman aveva Vincent Price vestito di rosso a passeggio su un set rubato a un altro film. 

E qui interviene il Corman grande regista, che non si parla mai abbastanza di quanto fosse grande; interviene Nicholas Roeg che sembra si sia calato ogni allucinogeno presente sul mercato, e insieme i due impazzano con filtri di ogni colore, inquadrature sghembe, montaggio forsennato (e modernissimo), in una scena finale che è una gigantesca coreografia di morte, alla quale anche chi si ritiene al riparo per nascita e privilegio è obbligato a soccombere. 
Corman non è mai stato così surreale e neanche così nichilista in tutta la sua lunghissima carriera: prima ha messo in scena l’inferno sulla terra così come concepito da una mente piccola e crudele come quella di Prospero, e poi ha scatenato il vero inferno, quello che ci inghiottirà tutti. 
Un’opera d’arte. 

 

4 commenti

  1. Avatar di alessio

    Vero, è un Poe politico quanto quello di Flanagan, uno più psichedelico e un altro più horror (fluid) dove la blasfemia di Prospero ha un nuovo nome: capitalismo; bellissime – come ricordi – le scenografie ma magnifici anche i costumi e, sì: La maschera è un film tanto di Corman quanto di Roeg.

    1. Avatar di Lucia

      Sì, il Prospero di Flanagan non può adorare una cosa innocua come il diavolo. Adora soltanto il denaro.

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Sì, qui l’incontro fra Corman e Roeg ha avuto come risultato la creazione di una vera e propria opera d’arte (e sia Vincent Price che Hazel Court possono senz’altro annoverare i rispettivi ruoli tra i migliori delle loro carriere)…

    1. Avatar di Lucia

      Hazel Court qui è straordinaria. Va bene che Price ruba la scena a chiunque, ma lei, invasata da Satana, gelosa di Francesca, maledetta per sempre e pure vittima di Prospero, fa un personaggio pieno di sfumature.