Aspettando Romulus: Aliens

Regia – James Cameron (1986)

Un paio di settimane fa, abbiamo parlato di Alien e di come non solo faccia parte della grande famiglia dell’horror, ma sia soprattutto figlio del cinema dell’orrore degli anni ’70, del New Horror e del body horror, che proprio alla fine del decennio si stava sviluppando e avrebbe dominato la prima parte degli anni ’80. Alien non è soltanto uno slasher nello spazio, è anche parte di quel filone, recentemente tornato in auge con film come Immaculate e The First Omen, che per comodità possiamo chiamare pregnancy horror. 
Tra il film di Scott e quello di Cameron passano la bellezza di sette anni e, nel frattempo, l’industria cinematografica cambia faccia. La Hollywood degli autori cede il passo a quella degli studios, anche in seguito a una serie di flop commerciali che rischiano di mandare a gambe all’aria parecchie produzioni importanti. Il body horror si avvia verso il tramonto, con l’ultimo sussulto proprio nel 1986, quando escono From Beyond e La Mosca (che però è un film degli studios, con Cronenberg a lavorare su commissione e a sostituire un altro regista); stessa fine fa il pregnancy horror, che sparisce dalla circolazione per un periodo abbastanza lungo. Intendiamoci, entrambi i filoni resistono nella nicchia indipendente, ma non sono più trainanti come un tempo. 
Lo sappiamo molto bene: gli anni ’80 rappresentano il momento in cui bisogna metterla giù semplice. Non credo che esista un  film in grado di sintetizzare con maggiore efficacia l’estetica degli anni ’80 di Aliens. Aliens è gli anni ’80, che detta così non sarebbe una bella cosa, ma c’è Cameron alla regia, e quindi bisogna approfondire la questione. 

L’ho detto tante volte: sono una persona rozza e volgare, quindi il mio capitolo preferito della saga di Alien è questo. So perfettamente che il primo film è un capolavoro di sottigliezza, ma Aliens è il miglior fanta-action della storia del cinema. Sì, anche più di Terminator. Fatemi causa. La fantascienza d’azione non è mai stata, e mai sarebbe stata, compresa e messa in scena con tale perfezione. Per non parlare della fantascienza militare che, nella sua accezione contemporanea, viene definita in maniera granitica proprio a partire da Aliens. Sì, lo so, Cameron è un genio del cinema, uno dei più grandi innovatori mai esistiti, un dono di Dio e una benedizione.
Proprio per questo è evidente che, rispetto al film del 1979, ci troviamo a giocare non solo in un altro campionato, ma proprio a un altro sport. Non si tratta più di horror, innanzitutto: la componente horror non può, per semplice logica, sparire, ma è tutta ereditata, e anzi, Cameron la liquida anche con una certa rapidità: è vero che assistiamo a due parti mostruosi, ma il primo è un incubo di Ripley e il secondo è soltanto il detonatore per una sequenza d’azione. Non ci si sofferma sull’orrore, e sarebbe anche inutile: lo abbiamo già visto, l’effetto sorpresa se n’è andato, e dal ’79 all’86, abbiamo assistito a un tale campionario di orrori anatomici da rendere un esserino che spunta fuori dall’interno del torace abbastanza innocuo. 

Ciò che Cameron aggiunge alla mitologia degli xenomorfi è la regina aliena, un miracolo nato dalla collaborazione tra il regista e Stan Winston, ancora oggi, a quasi 40 anni di distanza, da non riuscire a credere ai propri occhi. La regina svolge (ma dai!) un’ovvia funzione narrativa, quella di rispondere alla domanda: da dove arrivano le uova?
C’era una scena tagliata nel primo Alien che forniva una spiegazione, anche se non esaustiva. Cameron pensa invece a una struttura sociale simile a quella di un alveare ed ecco arrivare in scena una delle creature più meravigliose mai apparse su grande schermo. 
Però gli serve anche per imbastire un finale che rispetti e amplifichi il tono dell’intero film, in cui tutto è più grande, più rumoroso, più movimentato, più muscolare. L’ingresso della regina e il suo duello con Ripley rappresentano il culmine del processo di sovversione cui Cameron ha sottoposto Alien dal primo minuto del suo film. Tirando le somme, non potrebbero esistere due film, uno il sequel dell’altro, più antitetici. 

Io Aliens lo rivedo almeno una volta l’anno. Nel 2023 ho avuto addirittura l’onore di guardarlo su grande schermo, in una matinée al Giulio Cesare a Roma. Non è per vantarmi, sono solo fortunata, ma è per dirvi che lo so a memoria, battuta per battuta; potrei recitarvelo per intero interpretando tutti i personaggi, ed è per questo, credo, che nessuno mi invita mai alle feste. Un’ennesima visione per la stesura dell’articolo che state leggendo non sarebbe stata necessaria, eppure ogni volta non riesco a resistere e me lo guardo di nuovo. E ogni volta è bellissimo, più bello ancora della precedente.
Chi ne è meno ossessionato rispetto a me magari se lo ricorderà come un film tutto azione, e senza un momento di tregua. È esattamente l’impressione che vuole lasciarvi addosso Cameron, è un’impressione corretta, ma il film non è affatto così, perché il cinema è tutto un gran gioco di illusionismo, è un’allucinazione collettiva e, se un regista è davvero bravo, vi manipola come pare a lui.
Riferendomi qui non alla versione estesa, ma a quella da 137 minuti presente su Disney Plus, lo sapete quando appare il primo xenomorfo adulto in Aliens? Dopo circa un’ora, e coincide con la prima vera sequenza d’azione del film. Quindi per una buona sessantina di minuti noi non abbiamo fatto altro che conoscere personaggi e ambientazione. Di alieni con l’acido al posto del sangue neanche l’ombra. Solo qualche facehugger sotto vetro. 

Questo che significa? Che Aliens è un film d’azione che di pause se ne prende tantissime, anche nel bel mezzo del panico che arriva dopo la scoperta del nido da parte dei marines. È che è talmente compatto e roccioso, presenta dei protagonisti così ben caratterizzati e ha un ritmo tale, anche nelle scene più tranquille, che lo spettatore neanche ci fa caso che non stanno sparando all’impazzata agli xenomorfi per tutte le due ore e passa della sua durata. Le cosiddette pause sono, anzi, l’ossatura del film, le fondamenta solide su cui Cameron può costruire le sue elaboratissime scene d’azione. Però quelle le conosciamo. Come conosciamo i dialoghi più famosi del film, di solito pronunciati dal roling model della mia intera esistenza, ovvero Vasquez, ma non sempre, perché pure “decollare e nuclearizzare” fa la sua figura. Aliens è uno dei film più citabili e citati di tutti i tempi. E anche lì, non passa giorno senza che io non infili una battuta di Aliens in una conversazione. Tutto questo non solo è segno del suo posto nella nostra memoria collettiva, ma fa anche parte di quella mitologia anni ’80 cui accennavamo all’inizio. 
L’estetica del film è, anche quella, indicativa: le armi dei soldati, il taglio di capelli di Ripley, i costumi dei civili. Tutto grida anni ’80 da ogni fotogramma; gli anni ’80 rischiano di saltare fuori dallo schermo come i chestbursters e risucchiarti in un vortice temporale. 
Ma l’ideologia degli anni ’80? Ecco, qui la faccenda si fa un po’ più complicata.

Sicuramente lo sapete, ma io lo ribadisco perché sono anziana e mi servono i punti fermi: Ripley, in questo secondo film, è stata spesso paragonata a Rambo (Ripley come Rambo in Aliens, Ripley come Giovanna d’Arco in Alien 3, ma ci arriveremo), cosa a mio parere molto fuori fuoco. Ripley non è Rambo e Aliens non è un film militarista, anzi, precede di un anno Predator e compie più o meno la stessa operazione, senza tuttavia l’occhio satirico di McTiernan: i soldatini arrivano armati di tutto punto, pieni di arroganza, con uno spiegamento di forze e di tecnologia bastevole per una guerra mondiale, e finiscono presi a calci nel culo dall’inizio alla fine. Anche l’unico superstite, ovvero Hicks, nei minuti finali è fuori combattimento e impossibilitato a fare alcunché per aiutare Ripley a salvare la piccola Newt. 
È, logicamente, una scelta (sì, oggi sono Capitan Ovvio) di Cameron: se il primo Alien era un film sulla sopravvivenza della protagonista, Aliens è un film sul salvare qualcuno che non sei tu. È un film sul rischiare tutto per un’altra persona. Non è affatto incoerente con il personaggio di Ripley così come Scott l’aveva raccontata in Alien. Ricordate il discorso su Jonesy? Se Ripley torna indietro a riprendersi il suo gatto, è scontato che torni indietro a cercare Newt. 

A me fanno molto ridere le recenti (oddio, neanche tanto, se ne parla da quasi 10 anni) polemiche sulle protagoniste femminili nel cinema d’azione, con la gente che si strappa i capelli perché Mad Max lascia il fucile a Furiosa, in un pericoloso attentato alla mascolinità degli spettatori paganti. 
James Cameron, nel 1986, diceva che il sovrannumero di eroi maschili nel cinema era segno di miopia commerciale da parte degli studios. Nel 1986. Trentotto anni fa. E noi stiamo qui a polemizzare sul nulla cosmico con questo esercito di maschietti che piangono come se avessero l’età di mio nipote e poi magari si esaltano con Aliens perché ci sono i fucili grossi grossi. E, sempre trentotto anni dopo, continuano a non capirlo. 
Continuano a non capire che, a sconfiggere la regina non sono i fucili grossi grossi (e sempre inefficaci contro una creatura che ha acido al posto del sangue), ma una donna disarmata e un umano artificiale troncato a metà. 
Che Ripley e la regina sono speculari e simili, entrambe caricate a rabbia e bestemmie, perché entrambe impegnate a proteggere la loro prole. 
Che tutta la retorica guerrafondaia dei marines coloniali si schianta contro una specie che si regge non soltanto sull’eguaglianza assoluta tra i suoi membri, ma è pure matriarcale. 
Che, come se tutto ciò non bastasse, dove falliscono le armi, dove sono inutili le tattiche militari, a mettere il calibro da venti sul destino dei soldatini è il capitalismo. E quando interviene il capitalismo, nessuno ha più possibilità di portare a casa la pelle. Tranne, appunto, una madre non biologica incazzata nera. 
E insomma, che altro doveva fare Cameron, mettervi le didascalie e i disegnini per farvi capire che il suo film prende l’estetica e la tracotanza dell’America anni ’80 e ve la ritorce contro? 
Quando mi chiedono quale sia il mio film preferito, ho sempre difficoltà a rispondere: ce ne sono troppi, ne ho visti troppi e ogni film che amo potrebbe essere il mio preferito per motivi diversi. Ma se ce ne fosse davvero uno, questo sarebbe Aliens. 

6 commenti

  1. bartvanzetti · · Rispondi

    preferisci la versione cinematografica o quella estesa di 154 min ?

    1. Non lo so. Da alcuni punti di vista quella estesa, perché c’è tutta la storia della figlia d Ripley che trovo interessantissima; però, per esempio, non mi piace che si mostri troppo presto la fine dei genitori d Newt. Ma alla fine vanno bene entrambe.

      1. bartvanzetti · · Rispondi

        Proprio la scena con i genitori di Newt secondo me era necessaria: ci mostra sia come avviene il ‘contagio’ della colonia umana su LV-426 da parte degli xenomorfi, sia uno scorcio di vita normale nella colonia. E vedere la differenza tra la colonia pre e post-invasione dà maggiore drammaticità ed angoscia all’arrivo di Ripley e della squadra sul pianeta.

        Nella versione cinematografica il contagio avviene interamente off-screen e non abbiamo una minima idea di come fosse la colonia prima dell’invasione. Burke informa Ripley che LV-426 è stato colonizzato, poi c’è un time-skip di non si sa quanto e Burke va a casa di Ripley per dirle che hanno perso i contatti con la colonia: ho sempre trovato quel passaggio troppo frettoloso, si sente che manca un raccordo.

    2. Giuseppe · · Rispondi

      Be’, direi che hai detto tutto quello che c’era da dire a proposito, pretestuosi fraintendimenti su militarismo o “rambismo” di Ripley inclusi… Il mio parere, visto che anch’io preferisco questo al capostipite? Ecco, Alien avrà anche tracciato il solco, d’accordo, ma È Aliens che continua a difenderlo 😉

      P.S. Fumettisticamente parlando, Ian Edginton ha provato a suo tempo ad affiancare alla Regina aliena un Re ma, a quanto ricordo, la signora poi non lo aveva gradito proprio per niente (conciandolo per le feste) 👎

  2. Valerio · · Rispondi

    Di fronte ad Aliens, di fronte al cinema di Cameron, le parole rischiano di non bastare. Il bello dei primi quattro film di Alien è che reinventano ciascuno la mitologia perché ognuno è legato alla sensibilità del proprio autore. Scott, Cameron, Fincher e Jeunet erano tutti, quando hanno diretto il loro Alien, talenti promettenti e dotati di una precisa visione autoriale. Sono quattro reinterpretazioni più che seguiti, per una sequenza quasi impossibile da replicare. Il paragone fra Aliens e Rambo si è diffuso perché Cameron scrisse Aliens e Rambo II in contemporanea e Rambo II uscì giusto l’anno prima. I due film infatti condividono alcuni elementi della struttura narrativa, ma soltanto quelli (anche perché il copione di Rambo ebbe, ovviamente, il contributo di Stallone). Quello che rende Aliens distante da Rambo, e che lo proietta oltre il suo periodo di appartenenza, è il ribaltamento che spieghi alla fine. Cameron ci ha sempre visto lungo, sempre. Chi getta lo sguardo in avanti può, forse, scrivere un pezzetto di storia ed ecco qua: uno dei pochissimi con la capacità di dotare ogni suo film di un preciso valore storico. Tutto questo, lasciando da parte il fatto che potrebbe campare molto comodamente anche soltanto con i brevetti della tecnologia da lui progettata.

  3. Andrea Bini · · Rispondi

    In genere non viene notato che Cameron in Aliens frulla perfettamente le trame di 1) Them! del 1954 (in certe scene è proprio uguale) con l’episodio più horror della serie 1999 intitolato “Dragon’s Domain” (https://www.blackgate.com/2013/04/29/the-scariest-hour-in-tv-history-space-1999-dragons-domain/)

    Inoltre, la prima eroina tostissima protagonista di un film (senza contare personaggi secondari come Maggie di Escape from NY) è la dottoressa in Day Of the Dead dell’anno prima (1985). Insomma, Cameron è un grande rielaboratore di idee altrui.

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