Cinema degli Abissi: Sous la Seine (Under Paris)

Regia – Xavier Gens (2024)

Se un minimo, ma proprio un minimo mi conoscete, eravate consapevoli di quale fosse il film che aspettavo di più questo mese; mi sono precipitata su Netflix non appena la nuova fatica del mio amichetto Gens è stata resa disponibile, ho preparato i pop corn, ho cercato di obbligare Giadina a stare sul divano con me, ma con scarsi risultati, e mi sono predisposta alla conoscenza di Lilith, squalo (anzi squala) mako residente nelle acque della Senna. Ve lo dico subito: era dai tempi di Blu Profondo che non mi divertivo così. Sous La Seine è uno di quei B movie che, se non vivessimo in tempi tristi in cui ci si attacca a quella roba sporca e puzzolente che è la verosimiglianza, sarebbe già diventato un cult per le generazioni future: è folle, scatenato, strafottente, non si ferma e non si vergogna di nulla e, se pare quasi uno shark movie tradizionale per più di metà della sua durata, nel finale molla gli ormeggi e diventa un delirio apocalittico che gioca in continuazione al rialzo. Non potevo desiderare di più da una deprimente serata di inizio giugno. 

Sous la Seine (il titolo internazionale, Under Paris, mi piace di meno, devo dire) racconta della biologa marina Sophia (Bérénice Bejo), unica sopravvissuta a un terribile incidente in cui la sua squadra di ricercatori è stata divorata dalla bella Lilith, che non ha nessuna colpa ed è una tenera frugoletta come tutti gli squali, tanto per chiarire. Sul corpo della mako era stato inserito un congegno satellitare, come si è soliti fare per tracciare gli spostamenti e le attività degli squali e, anni dopo, il segnale ce la fa ritrovare nella Senna, proprio alla vigilia di una gara di triathlon che dovrebbe essere un gigantesco spot per la sindaca di Parigi e per il governo tutto, in vista delle imminenti Olimpiadi. 
Com’è logico, le autorità non danno retta a Sophie e alla polizia fluviale, il cui consiglio è quello di annullare l’evento, e fanno finta di niente, anche di fronte ai morti, che saranno numerosi. E quando dico numerosi, mi riferisco a una vera e propria carneficina e una sequenza in particolare che potrebbe fare invidia ad Alexandre Aja e al suo Piranha 3D. Gens fa sempre sul serio, anche quando, come in questo caso, gioca su un terreno che è quello della serie B (apparentemente, ma ci torniamo) priva di pretese.

Il film è, e anche questa è un’ovvietà però fa sempre piacere, pieno di citazioni da Jaws e da Blu Profondo, ma in realtà credo che Gens si sia studiato a memoria Amsterdamned e Prey di Dick Maas per ricreare quelle particolarissimi atmosfere da horror europeo e urbano che Maas ha sempre saputo gestire così bene. Più che a Spielberg, Sous la Senne guarda a quella tradizione: la città europea, la sua architettura, la sua geografia così caratteristica come teatro di una minaccia che, come spettatori di cinema horror e di film di mostri, non siamo abituati ad associare a questo tipo di spettacolo. È familiare e, allo stesso tempo, nuovo. Non si tratta tanto della mancanza di plausibilità di uno squalo in acqua dolce, perché lo abbiamo già visto in film come Shark Night 3D: è la Senna, Parigi, è un territorio ignoto in cui inserire una creatura aliena, un territorio che tuttavia è anche casa nostra, ripresa, vista, raccontata, messa in scena da chi la conosce così bene da essere in grado di trasfigurarla. Se prendete la scena di inseguimento tra i canali in Amsterdamned e la mettete vicino a una sequenza analoga in Under Paris, avete lo stesso effetto destabilizzante, e anche molto gratificante, dato da un’ambientazione cui sentiamo di appartenere. 
Poi sì, certo che c’è anche Spielberg all’interno di questo film: non potrebbe non esserci perché Jaws è il capostipite del filone, la mamma della sharksploitation; però Spielberg è presente anche con altri film, uno in particolare, che non vi rivelo, ma la citazione è talmente palese che sono sicura me ne parlerete nei commenti.

In giro ne stanno già parlando male per motivi legati alla scarsa qualità degli effetti speciali: è vero, gli squali in cgi sono spesso posticci, il budget (19 milioni di euro) è quel che è per un progetto così ambizioso e si sente che, quando non ci sono le centinaia di migliaia di dollari a disposizione di un blockbuster americano, si va in sofferenza. Ma, devo ammetterlo, poco mi interessa se non ho delle animazioni al livello di The Meg, perché questo film è almeno due spanne superiore a The Meg, che è costato 130 milioni di dollari, quindi di cosa esattamente stiamo parlando? Perché se la conclusione a cui certe critiche a Sous la Seine ci portano è che noi europei non possiamo permetterci di fare film di questo tipo, mi rifiuto di accettarla. E lo so anche io che Godzilla Minus One è riuscito a vincere l’Oscar per gli effetti speciali con soli 15 milioni di dollari, ma il contesto produttivo di un film di mostri giapponese è completamente diverso da quello di un film di mostri europeo. Io spero, con tutto il cuore, che Sous La Seine sia un punto di partenza, e come punto di partenza, mi sta benissimo e mi tengo gli squali posticci e animati alla come capita. C’erano anche in Blu Profondo e non se ne è mai lamentato nessuno. 

Un’altra critica che leggo è che il film non sia verosimile. Non ci sarebbe neanche da rispondere, davvero. Parliamo di uno squalo mako mutante nella Senna. La verosimiglianza l’abbiamo buttata lungo lo scarico del gabinetto una volta accettata la premessa. Addirittura, gli scienziati francesi, simpatici come uno sciame di zanzare alle quattro del mattino, si sono scagliati contro il film, e io trasecolo, perché è come se domattina qualcuno arrivasse a rompere i coglioni perché l’esistenza di una lucertola gigante che spara dalla bocca fuoco atomico non è verosimile. Lo sappiamo, grazie, passiamo oltre. Non è un’informazione utile. 
Un’informazione utile, invece, è che Sous la Seine ha un ritmo forsennato, non possiede un solo fotogramma di troppo, può vantare delle riprese subacquee tra le migliori viste negli ultimi cinque o sei anni di cinema abissale (gran parte del quale non è girato davvero sott’acqua) e, in questo caso sì, riesce a dare una sensazione di realtà, di tangibilità dell’ambiente sotto la superficie della Senna davvero impressionante. Questa è la cosa che conta davvero, in un monster movie: non che il sistema riproduttivo dello squalo sia poco plausibile, non che il suo adattamento all’acqua dolce sia una panzana da un punto di vista scientifico; ciò che conta davvero è che, una volta scelto di credere allo spunto iniziale del film, il resto sia coerente. Sous la Seine è coerentissimo. Fino alla fine, fino alle conseguenze più estreme. E ora smettete di leggere perché vado di spoiler.

Come vi dicevo in testa all’articolo, Gens per tre quarti di film porta avanti il suo sharksploitation in maniera abbastanza convenzionale, anche se adeguato ai tempi attuali, quindi (e per fortuna) Lilith non è cattiva perché sì o perché gli squali sono mangiatori di uomini che devono essere sterminati; Lilith si è adeguata all’inquinamento degli oceani e al cambiamento climatico, è mutata per sopravvivere, se ci attacca la colpa è tutta nostra e ce lo meritiamo pure. Ed è già più di quanto possiamo chiedere a un film di squali americano, da 47 Metri e The Shallows. 
A parte questi dettagli, che magari sono importanti soltanto per una determinata fascia di spettatori, Sous la Seine rispetta tutti gli appuntamenti dello shark movie tipico, in particolare quando si fonde con il cinema catastrofico: c’è la scienziata con trauma, il manipolo di eroi che tenta di sventare la minaccia ed elabora un piano per liberarsi degli squali di nascosto dalle autorità cittadine, tutte prese a fare in modo che l’evento non venga messo in discussione; il piano riesce, ma non del tutto, i nostri eroi cadono come tanti pesciolini nelle fauci di Lilith e della sua prole. Fin qui tutto bene, tutto normale. 

Poi, Sous la Seine sbrocca e Gens decide che sì, distruggiamo Parigi, inondiamola, trasformiamola in una gigantesca piscina per mako mutati. Dalla gara di triathlon in poi, Lilith, per la quale abbiamo, neanche segretamente, fatto il tifo tutto il tempo, diventa la vera protagonista del film; sfugge facendo lo slalom sui fondali della Senna alle pallottole dell’esercito, rovescia gommoni della polizia, si pappa metà dei concorrenti in gara e fa detonare ordigni inesplosi buttando giù ponti e cambiando per sempre la geografia di una delle città più famose del mondo. È una sequenza incredibile, da mascella slogata, ma soprattutto da grande risata liberatoria, in barba ai patetici tentativi di noi esseri umani di contrastare una forza della natura quando decide di adattarsi a un ambiente ostile, dove è costretta a sopravvivere per la responsabilità di chi ora vorrebbe farle la pelle. Per tornare, ancora una volta, su Godzilla: “History shows again and again how nature points out the folly of men”.
Quindi, B movie sì, ma sempre fino a un certo punto: Sous la Seine ci insegna una lezione molto importante, che avremmo dovuto imparare da secoli, ma evidentemente siamo troppo arroganti e refrattari all’apprendimento: questa non è casa nostra. 
Ce lo dice urlando, mettendo le didascalie e con la mano così pesante che ci manca solo ci prenda a ceffoni? Sì. Ma ce lo dice facendo radere al suolo Parigi da un singolo squalo molto incazzato. 
To me, that’s cinema.

12 commenti

  1. Ci sono gli squali, c’è Parigi, c’è Berenice Bevo. A questo punto mi hai già comprato. Corro a vederlo subito e poi finisco di leggere la tua recensione!

    1. E poi torni qui e mi fai sapere!

  2. Giuseppe · · Rispondi

    Ci si lamenta degli effetti speciali non proprio all’altezza delle controparti USA, per degli ovvi motivi di budget: peccato però che, pure nei rari casi in cui si riesca ad essere pienamente competitivi su quest’aspetto, le critiche poi arrivino comunque su altri fronti (penso allo sfortunato Valerian e la città dei Mille Pianeti), quindi non se ne esce… Sulla verosimiglianza nemmeno commento: Gens si è forse posto l’obiettivo di fare divulgazione scientifica sugli squali, con questo film? No, e allora che non rompessero i coglioni a riguardo! 🦈

  3. renatobrazioli · · Rispondi

    finito di vedere 5’ fa.

    concordo su tutto, non urlerei al capolavoro, ma a un più che dignitoso (e non è poco …) è divertente B movie, senza troppe pretese e con ottimi risultati.

    Buona visione!

  4. Arieccomi! E ora che l’ho visto devo dire gran bel film. I francesi hanno questa grande qualità: qualsiasi cosa facciano, la radicano bene nella realtà, nel qui e ora, cosa che manca tantissimo a molto cinema italiano, per cui il massimo della caratterizzazione è un po’ di dialetto (e non a caso il più bel film con i mostri acquatici che ho visto, e di cui sarò sempre grato a te e a Davide è crawl, di Aja)

    Qui ci sono le olimpiadi, l’isola di plastica, il cambiamento climatico e i giovani di ultima generazione. E non si può spostare di un metro da Parigi, a meno di non farlo diventare un film completamente diverso.

    E oltre al divertimento, sui titoli di coda (bellissimi) resta quella sottile inquietudine di pensare che siamo circondati dall’oceano, e nonostante questo cerchiamo con tutte le nostre forze di renderlo un elemento a noi ostile.

    Grazie del suggerimento!

    1. Infatti! E riesce a essere estremamente regionale e allo stesso tempo universale. Questa è una cosa che dovremmo imparare qui in Italia.

  5. Bellissima questa tua difesa a spada tratta di Sous la Seine! Se mi capita gli do una possibilità! :–)

    1. Lo difenderò finché campo, come ho fatto con Blu Profondo since 1999

  6. Alberto Ghezzi · · Rispondi

    Gli squali bazzicano tranquillamente anche acqua dolci (Leuca docet) e appena finisco Godzilla, non vedo l’ ora di passare a questo!

    1. Verissimo, e lo dicono anche nel film. I mako di solito non lo fanno, ma credo siano sottigliezze.

  7. Film che è davvero figlio di questi tempi, c’è una premessa ecologista (ma con i settari dell’ambiente che ne escono a pezzi, letteralmente) e tanta, tanta girl power (anche lo squalo, Lilith – nome non poteva essere più azzeccato – è una femmina e che si riproduce pure per partenogenesi!) ma tutto è perfettamente dosato. Anne Hidalgo si sarà fatta girare le scatole, pardon le ovaie mentre noi prepariamo la muta perché il finale di Under Paris per Gens sembra quello che ci aspetta.

    1. Il finale chiama un sequel. Waterworld a Parigi con gli squali

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.