Tanti Auguri: 30 anni di Serial Mom

Regia – John Waters (1994)

Il camp, che secondo la mia modestissima opinione, è stato portato per la prima volta al cinema da James Whale, tra The Old Dark House e The Bride of Frankenstein, è uno stile, o una sensibilità, che tende all’eccesso, all’uso deliberato della stravaganza, che si appropria degli elementi codificati come normativi e li ribalta a suo piacimento. È un’estetica che spesso viene associata all’immaginario queer, e infatti James Whale era queer, così come John Waters. 
L’horror, almeno nella sua versione più giocosa e anarchica, è spesso camp, anche involontariamente. Quando si fonde con la commedia, lo è ancora di più. Se pensiamo alle commedie horror degli anni ’90, il camp è la cifra dominante: Death Becomes Her di Zemeckis è un manifesto del camp, e infatti la locandina del film è chiaramente visibile in una scena di Serial Mom. 
John Waters, The Pope of Trash, colui che si è presentato al mondo con Divine in giro per le strade di Baltimora impegnata a uccidere chiunque le si parasse davanti, per poi venire abbattuta dalla Guardia Nazionale sulle note di America the Beautiful, qui firma uno dei suoi film più “normali”, ma nonostante questo, sale in cattedra e insegna a noi poveri stolti cosa sia il camp. 

Non solo, ma da bravo profeta, anticipa di parecchi anni l’ossessione, prima tutta statunitense e poi dilagata anche altrove, per il true crime e la mette alla berlina ridendoci sopra. Forse, Serial Mom è più rilevante oggi di quanto lo fosse 30 anni fa.
I cartelli di testa del film sembrano usciti da una docuserie di Netflix: ci avvisano che stiamo per assistere alla messa in scena di eventi reali e ci rassicurano sul fatto che nessuno tra i presunti colpevoli delle atrocità commesse ha ricevuto compensi di natura economica, tanto per mettere a posto le nostre morbose ma moraliste coscienze. 
Da lì, Waters passa al ritratto della famiglia americana nei sobborghi di Baltimora (come sempre) e ci presenta la star del film, Kathleen Turner, che Serial Mom nemmeno lo voleva fare: quando Waters le ha mandato la sceneggiatura, l’attrice l’ha gettata un paio di volte nel cestino, in quanto troppo disgustosa. Ancora oggi, detesta la sequenza al concerto delle Camel Lips (interpretate dalle mie beniamine L7). Solo che Turner, dopo i grandi successi degli anni ’80, non era in un momento particolarmente felice della propria carriera, a causa della disdicevole abitudine che a volte hanno le donne di compiere 40 anni. E così, si imbarca con Waters nell’impresa. 

Waters, dopo gli inizi da guerriglia, aveva infilato un paio di successi, Hairspray e Cry Baby, ed era stato abbastanza intelligente da rendere il suo stile più accessibile, rimanendo tuttavia sempre fedele a se stesso. Ciò non toglie che, con Serial Mom, abbia avuto dei problemi durante il montaggio del film, con la produzione che chiedeva di tagliare e lui che non ne voleva sapere. Alla fine l’ha spuntata lui (grazie proprio all’intervento di Turner), il film è uscito nelle sale così come lo aveva concepito e al botteghino non ha recuperato neanche il budget, diventando tuttavia un cult dopo la sua distribuzione in home video e grazie a svariati passaggi televisivi, anche qui da noi. Ricordo con affetto “La Signora Ammazzatutti” in prima serata. 
Trent’anni dopo, è abbastanza incredibile rendersi conto che il Waters degli anni ’90 poteva permettersi un film con un’attrice del calibro di Kathleen Turner, le musiche di Poledouris, una distribuzione capillare e che oggi abbia grosse difficoltà a trovare i finanziamenti per il suo nuovo film. Se è vero che la nostalgia è soltanto un sinonimo ingentilito di conservatorismo, bisogna ammettere che il paesaggio cinematografico dell’epoca era molto meno addomesticato di quello odierno. 

Forse nei nostri ricordi adolescenziali e infantili Serial Mom è solo una simpatica commedia che transitava sui piccoli schermi delle nostre case e ci strappava quattro risate, ma a rivederlo oggi è impressionante per irriverenza, acume e un certo gioioso sadismo, colto in pieno dall’interpretazione che Turner dà della sua Beverly, questa signora intrappolata nelle convenzioni della borghesia, prona per ruolo e posizione sociale ai suoi rigidi codici comportamentali, e disposta a tutto pur di farli rispettare e impartire ai cafoni che la circondano un minimo di buone maniere. Metti in dubbio la sanità mentale di mio figlio solo perché guarda film horror (tra l’altro, Matthew Lillard al suo esordio su grande schermo)? Muori. Dai buca a mia figlia? Muori. Non riavvolgi le videocassette noleggiate? Muori pestata da un cosciotto d’agnello. E così via, in un crescendo maniacale che rade al suolo tutto ciò che è normativo tramite la sua parodistica affermazione. 
Beverly è un pilastro della piccola comunità in cui vive, rappresenta la perfetta mamma, la perfetta moglie, la perfetta vicina di casa, rispetta le leggi, ricicla i suoi rifiuti, si occupa della sua famiglia, è sempre allegra, sempre sorridente, severa ma amorevole, elegante e, a suo modo, seducente, ma casta. 

Ed è anche una spietata assassina, feroce, amorale, chiaramente divertita dall’atto stesso di uccidere e, nonostante la patina di ingenuità che si spalma addosso in pubblico, del tutto consapevole delle proprie azioni. Come dice l’avvocato dell’accusa al processo, Beverly è un mostro e sa di esserlo. Non è un caso la sua repentina trasformazione in celebrità, e dopotutto, far diventare famosi i serial killer era già avvenuto prima dell’uscita del film e sarebbe avvenuto ancora e ancora. L’ossessione di un’intera società per la violenza, che però non va bene quando è rappresentata dai filmacci che guarda Chip, il figlio di Beverly, mentre invece va consumata a tutte le ore se elargita dalla divinità catodica, è il centro della satira di Waters. Una violenza di cui non si è mai sazi, a patto che sia reale o ispirata a fatti reali. Quasi venisse nobilitata dalla cronaca, perché andare a spulciare nella spazzatura altrui è attività socialmente lecita. Guardarsi uno slasher in VHS no. O guardare un film di Waters degli anni ’70, se è per questo. 

Di fatto, è l’essenza stessa della borghesia a essere violenta, sgradevole, mostruosa. Le vittime di Berverly sono tutte ritratte in maniera grottesca: dai vicini di casa che divorano il pollo, alla signora appassionata di musical. Qui si nota tutta la classe di Waters nel rappresentare l’osceno, ma non siamo più di fronte ai freak dei suoi esordi, a Divine impegnata in atti di coprofagia. In Serial Mom, diventa osceno ciò che non dovrebbe esserlo, ciò che è ritenuto pulito, normale, giusto.
Da bravo giullare, buffone e cialtrone (tutti complimenti di un’adepta adorante), Waters dispensa la sua satira in un 95 minuti di gag irresistibili. Non ridevo così tanto da mesi e, anche se non rivedevo Serial Mom da almeno una quindicina d’anni, ricordavo a memoria gran parte delle battute. 
Non vorrei sembrarvi eccessiva, ma anche sì, siamo nel camp, quindi siamo eccessivi per nostra stessa natura, però Serial Mom è davvero una delle più belle commedie mai realizzate, e John Waters un genio e un maestro di vita. 

7 commenti

  1. Avatar di Sam Simon

    Lo devo recuperare da parecchio tempo, grazie per questa recensione così appassionata!

  2. Avatar di loscalzo1979

    Turner divina, film che ho adorato all’epoca

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    A volte la paura di passare per nostalgici rischia di frenarci dall’ammettere (e dall’apprezzare, se è il caso) il fatto che in passato certe cose funzionassero diversamente, vedi appunto alla voce “molto meno addomesticato” riguardo il paesaggio cinematografico di trent’anni fa, e il nostro “Serial Mom” ne è un esempio lampante: quale possibilità avrebbe oggi Waters di realizzare un nuovo cult di pari livello, se teniamo conto di come venga lasciato al palo praticamente da chiunque? Chissà quando e se gli arriveranno mai davvero, quei dannati soldi…

    1. Avatar di Lucia

      Sinceramente? non credo glieli daranno mai. Ora forse c’è qualche possibilità in più, dato che pare la protagonista sarà Aubrey Plaza, però non è ancora detto e, se sarà, sarà low buget

      1. Avatar di Giuseppe
        Giuseppe · ·

        Incrociamo le dita (anche perché più che questo non possiamo fare, allo stato delle cose)…

  4. Avatar di Austin Dove

    io la conosco, ma non sono riuscito a recuperarla

    una volta era in tv, ho provato a convincere i miei a guardarla ma mia mamma si è inorridita per la violenza e abbiamo cambiato film -_-