
Regia – Adam Wingard (2024)
Mentre attendo con una certa trepidazione che qualcuno si decida a far uscire in streaming o in VOD Godzilla Minus One, il film vincitore di premio Oscar arrivato di sfuggita in Italia lo scorso dicembre a orari da randellate sui malleoli, ho portato il nipote a vedere l’ultimo capitolo del monsterverse americano. Non ho mai nascosto di essere una grande fan della saga iniziata nel 2014, e vi dico di più: è una serie di film che apprezzo ogni anno di più. A partire dal Godzilla di Edwards che manteneva toni sepolcrali e faceva vedere il lucertolone soltanto a tratti e soltanto dopo sei ore e mezza di dramma umano, il monsterverse ha definitivamente mollato gli ormeggi della credibilità a partire da King of the Monsters, buttando in mezzo pure Skull Island che, mi dispiace, è bellissimo e voi non lo avete capito.
Dato che negli ultimi anni ci è stata indotta l’idea dei mostri giganti come una cosa mortalmente seria, è facile dimenticare che i film di Godzilla originali, quelli dell’era Shōwa, per intenderci, erano indirizzati a un pubblico infantile, degeneravano spesso nella farsaccia co(s)mica e nessuno si è mai lamentato di questo. Certo, con l’era Heisei la faccenda si è fatta più cupa, più complessa e stratificata, e non è mia intenzione omettere che il Godzilla del 1954 era un film drammatico. Ma adesso che i giapponesi sono tornati a fare film di spessore, vincono i premi e si beccano, con ogni merito, il plauso della critica, qualcuno con ancora il desiderio di cazzeggiare deve esserci.
E qui interviene Adam Wingard, che penso abbia un sogno, ovvero quello di eliminare del tutto la componente umana dal monsterverse. Ci sta arrivando per gradi, dategli tempo. Anche perché, con il successo pantagruelico al botteghino di Godzilla x Kong, non penso che alla Legendary siano così scemi da interrompere qui la saga. E se volete il dramma umano, c’è la serie tv Monarch che non è affatto male, ve lo assicuro.
In Godzilla x Kong i personaggi umani sono lì soltanto perché ci devono spiegare quello che sta succedendo. C’è un lievissimo accenno di conflitto nella storia della dottoressa Andrews (sempre impeccabile Rebecca Hall, anche quando usa l’attrice automatica) e della sua figlia adottiva Jia, la ragazzina che parla con Kong con il linguaggio dei segni, se vi ricordate Godzilla vs Kong. Dei vecchi protagonisti dei film precedenti, sono rimaste soltanto loro due, e il podcaster complottista interpretato da Brian Tyree Henry. Fa la sua prima apparizione nel monsterverse Dan Stevens, al quale voglio un sacco bene. Wingard se lo porta dietro da The Guest ed è un piacere vederlo sullo schermo, anche quando la sua presenza è irrilevante.
Gli esseri umani qui sono visti alla stregua di moscerini. Al massimo hanno il ruolo di osservatori e spalle comiche, mentre i veri personaggi, quelli dotati di personalità, conflitti, obiettivi e tratti caratteriali sono i mostri. Kong, innanzitutto, perché è quello che dispone di un maggiore minutaggio e si porta anche sulle spalle, da solo, l’intera sezione centrale del film, muta, com’è giusto che sia. Godzilla è un po’ defilato, perché quando hai una creatura così potente non è mai semplice gestirla, ma non appena entra in scena sono solo gridolini di gioia e cuori per lui. Soprattutto quando lo vediamo dormire acciambellato nel Colosseo come un gatto.
Wingard gestisce molto bene questo baraccone di kaiju che si menano e distruggono tutto ciò che li circonda. Crollano palazzi, i monumenti di Roma si sbriciolano sotto le zampotte di Godzilla, le piramidi collassano a cazzotti e capocciate. Una festa lunga due ore. Non c’è niente di meglio per curare la tristezza che assistere alle botte da orbi tra creature gigantesche, elargite con generosità e cognizione di causa da un regista innamorato della materia. Wingard riesce anche nell’impresa di restare riconoscibile all’interno di una catena di montaggio com’è quella del Monsterverse; lo si nota in particolare nell’uso dei colori (Godzilla rosa fluo è la cosa più bella che vedrete nel 2024) e in quello delle musiche, sia di repertorio sia originali, ma anche nella messa in scena dei combattimenti, fluidi, dinamici, ma in over editing.
Teniamo presente che Godzilla x Kong è un film pieno di kaiju, spesso e volentieri tutti insieme in campo a darsele come se non ci fosse un domani; ce ne sono alcuni originali del Monsterverse, altri presi di peso dal bestiario giapponese, e c’è un ritorno così atteso e così gradito da farmi commuovere in sala. Mio nipote ha reagito con molta più dignità di me. Ma è anche vero che Godzilla è il suo preferito e lui non ha dovuto incassare la delusione di non rivedere una certa creatura in Godzilla vs Kong. Io sì, quindi sono giustificata.
Insomma, dicevamo, per dare corpo a tale sovraffollamento mostruoso, Wingard ha dovuto compiere un superlavoro nella scelta delle inquadrature per dare a ognuno dei kaiju presenti in scena il giusto spazio e la giusta considerazione. Non è facile e non è immediato. Pensate al macello del sequel di Pacific Rim.
Non voglio convincervi che Godzilla x Kong sia un grande film, sono abbastanza ancorata alla realtà da sapere che non lo è, che se hai dei personaggi umani devi dar qualcosa loro da fare, oltre a pronunciare dialoghi improbabili e spesso scemotti, che quando non si concentra sull’azione di questi esseri colossali, il film è moscio, sciatto, pure un po’ noioso. Ma all’eliminazione del fattore umano, lo abbiamo detto, ci si deve arrivare a piccoli passi, e Wingard è sulla strada giusta. Godzilla e Kong (ma anche altri kaiju) ora sono svincolati dalle loro controparti senza squame o pelliccia e hanno una vita autonoma. Godzilla non protegge l’umanità, protegge l’equilibrio della natura, che di noi moscerini tende a infischiarsene; Kong, dal canto suo, ha altro a cui pensare che cincischiare con noi merdine. Avanti così, quindi, verso un film del Monsterverse completamente muto e senza un solo personaggio umano. Io ci credo.












Wingard ha in pratica inaugurato la nuova era Showa, una decina d’anni fa, con un Godzilla cupo e drammatico sulla falsariga del primo film del 1954, dal quale poi si è portato avanti un filone decisamente meno impegnato (come appunto negli altri originali, e mettiamoci pure la blanda denuncia ambientalista di “Godzilla furia di mostri” e “Godzilla contro i giganti”): il pubblico critico potrebbe fare pace almeno su questa premessa, che chiamerei in soldoni “era Showa rifatta con i soldi (tanti)”… La Toho invece la vedo coerente con un nuovo periodo Heisei capace di venire incontro pure a quella parte di pubblico cosiddetto “serio”, e sarebbe interessante vedere come un futuro (spero) sequel di “Godzilla Minus One” porterà avanti il discorso 😉
P.S. Ad anime come sei messa? In ogni caso, ti segnalo comunque questo titolo (primo di una trilogia)… https://en.wikipedia.org/wiki/Godzilla:_Planet_of_the_Monsters
Vado settimana prossima a vedere e ti faccio sapere
Mi manca, ma mi fermo per un saluto e intanto scrivo qualcosa di “laterale” al post.
Che bello che il blog è “ritornato”…
Manco sapevo che Godzilla Minus One avesse vinto un oscar… L’ho visto e forse è diventato il mio preferito (non ne ho beccati molti con Godzilla, 7-8 penso, quasi tutti recenti). Però è proprio un altro tipo di storia, con un altro “cuore” (non migliore o peggiore, diverso), con altri obiettivi. Almeno credo, per come l’ho vissuta io. Mi sono pure commosso non poco. Talmente è diversa che non so neanche se abbia senso che “Godzilla” sia considerato il “centro”, come invece sta succedendo qui. Ma è il bello delle storie.
Per ritornare a Skull Island, secondo me è fighissimo (non è piaciuto?) e confesso il mio amore anche per il King Kong di Jackson: tutto un altro tipo di film, però… wow!
Ora cercherò di recuperare Godzilla che sonnecchia nel Colosseo…
A me l’approccio di Minus One è piaciuto molto, però devo dire che nella parte centrale più melò, mi è sfuggito un: “Troppa Trama!” come diceva il Cioni Mario in Berlinguer ti voglio bene… 😉
Io Minus One non sono riuscita a vederlo, perché a dicembre quando è uscito lo hanno messo al cinema in orari che io boh, e comunque non era il periodo migliore della mia vita, ecco, mettiamola così. Però sono contenta che esista una cosa come Minus One e che esista anche il Monsterverse.
Bene ricambiato!
concordo su tutta la linea, se questo è l’andazzo voglio almeno altri quattro film così. Però è vero, da quanto ho letto Wingard si è ispirato al proprio gatto per quella scena con Godzilla!
Godzilla è un software felino in un hardware rettiliano