The First Omen

Regia – Arkasha Stevenson (2024)

Ci togliamo subito il dente così non dobbiamo più tornare sull’argomento: credo che quello subito da The First Omen sia il peggior adattamento dei dialoghi a memoria d’uomo. O almeno a memoria mia, che mai nella vita ho ascoltato una cosa così atroce. Qualcuno potrebbe ribattere che non era facile, trattandosi della storia di una novizia statunitense, in trasferta a Roma per prendere i voti, che ha una compagna di stanza spagnola e si trova a interagire con personaggi che parlano italiano o inglese a seconda dei casi. Di conseguenza, restituire questo impasto linguistico col doppiaggio che, per forza di cose, appiattisce tutto in un unico idioma, risulta essere un’impresa impossibile. E mi sta pure bene, ma se non altro inventatevi qualcosa per non farci perdere un tassello fondamentale della trama basato proprio sull’esistenza di barriere linguistiche, altrimenti che cazzo siete pagati fior di quattrini a fare? Vi giuro, tornata a casa ho dovuto googlare, e chi ha visto il film sa a cosa mi riferisco. Se non lo avete ancora visto, è giusto che siate consapevoli di cosa andate incontro. 
Detto ciò, parliamo un po’ di Arkasha Stevenson; è dal 2018 che la aspetto al varco, dopo quella splendida terza stagione di Channel Zero. La regista ha lavorato soltanto per il piccolo schermo, firmando episodi per Legion e per Al Nuovo Gusto di Ciliegia, ma qui esordisce finalmente in un lungometraggio, cimentandosi con un compito da equilibrista: un film commissionato dalla Disney e prequel di un horror tra i fondamentali del cinema demoniaco. Tanti appuntamenti obbligati da rispettare, una major alle spalle, svariate pressioni. 

Oltre a doversi per forza inserire in una mitologia già pronta e vecchia di mezzo secolo, The First Omen fa anche parte di quel filone abbastanza recente che vede suore protagoniste muoversi in ambienti quasi esclusivamente al femminile: abbiamo visto The Nun 2 ed Hermana Muerte, mentre ancora in Italia non vi è traccia di Immaculate. Nel caso di The Nun 2, il sotto-genere è quello molto fortunato del christian horror, in cui figure ecclesiastiche o comunque personaggi dotati di fede sono praticamente dei super eroi schierati contro le forze del Male con la emme maiuscola. Hermana Muerte, da bravo film europeo, del clero dotato di superpoteri non sa cosa farsene e cambia prospettiva. The First Omen appartiene alla stessa categoria di Hermana Muerte. È un horror demoniaco, ma è lontanissimo dall’essere un christian horror. Al contrario, le gerarchie ecclesiastiche ci fanno una figura barbina lungo tutta la sua durata, i preti che tentano di fermare l’avvento dell’Anticristo sono inutili quando non dannosi, la stessa fede non è mai salvifica e anzi, spesso è indirizzata così male che risulta complice con il signor Satana. La nostra protagonista Margaret (Neil Tiger Free, bravissima) è isolata e priva di alleati degni di chiamarsi tali, tranne un solo personaggio, ma in condizioni di tale inferiorità da essere pressoché irrilevante. 

Sappiamo già come andrà a finire The First Omen, altrimenti non ci sarebbe stato The Omen: il figlio del demonio si incarna sulla terra e viene adottato da Gregory Peck. L’interesse per questo prequel deve quindi essere generato da altri dettagli, da altri espedienti estetici e narrativi; in altre parole, non importa il cosa, importa il come ci si arriva. 
Abbiamo già detto che Stevenson e il suo collaboratore fisso alla sceneggiatura Tim Smith (oltre alla nostra vecchia conoscenza Keith Thomas) è costretta a muoversi in un territorio già prestabilito, con tutto l’armamentario di numeri della bestia, sciacalli, profezie, varie ed eventuali preesistente e impossibile da modificare adesso. Ma non è soltanto questo: si tratta di roba vecchia, in un certo senso anche superata, una concezione di male e di occulto profondamente radicata negli anni ’70. E allora Stevenson sfrutta questi ostacoli e queste strettoie a suo vantaggio e gira un film degli anni ’70; lo gira in pellicola, innanzitutto, e gli conferisce un aspetto splendido, antico e sontuoso, con la pasta del 35mm che, ammirata su grande schermo, ha lo stesso effetto di un viaggio nel tempo. 

Ha a disposizione 30 milioni di dollari, e si vedono tutti, sia nella ricostruzione d’epoca, sia negli effetti speciali pratici, sia nel potersi permettere grossi nomi in piccoli ruoli, sia infine, nel poter girare quasi tutto a Roma, che se di giorno rischia spesso di diventare una cartolina, di notte rivela la sua anima più oscura e feroce, quella di una città cattiva, che al male si è comunque consacrata, nonostante l’aria di santità posticcia che con la luce del sole si respira.
The First Omen è di una bellezza che fa male agli occhi. Possono non piacervi alcune ingenuità nella trama (ma fanno parte della lore, per così dire), potete non apprezzare il modo in cui tutto ciò che concerne il soprannaturale è preso sul serio, senza un briciolo di distacco o di consapevolezza, ma a guardare le immagini messe su pellicola da Stevenson si può solo rimanere ammaliati. 
La capacità della regista di creare delle inquadrature dalla potenza inusitata era già evidente in Channel Zero, ma qui ci sono molti più soldi e, di conseguenza, molte più possibilità espressive. C’è la sequenza di un parto che penso rimarrà a passeggiare nei miei incubi per gli anni a venire e c’è, verso la fine, una citazione di Possession che mi ha fatta piangere. 

Eppure, se l’intero comparto estetico del film è degli anni ’70, le tematiche messe in campo da Stevenson non hanno nulla di vecchio o superato. The First Omen parla di una cospirazione che, per essere efficace e condurre ai risultati noti, deve per forza sfruttare i corpi delle donne, ancora una volta campo di battaglia prescelto da centri di potere maschili, ancora una volta usati per portare alla luce una forma di dominio sul mondo di natura squisitamente maschile. Per questo la parte body horror del film, molto estesa ed esplicita, gioca un ruolo chiave. Sono i corpi a subire gli oltraggi peggiori ed è attraverso la loro costante violazione che l’Anticristo può camminare insieme ai mortali. Data la conclusione risaputa della vicenda, Margaret non ha molte possibilità di difesa, ma vi posso assicurare che la sua evoluzione da novizia devota a forza della natura è il cuore emotivo del film. La sua vera ragion d’essere. 

Per quanto l’operazione prequel in quanto tale sia sempre una faccenda molto complicata, e forse anche sterile, Stevenson e gli altri sceneggiatori hanno trovato la chiave giusta per condurla in porto. Mi tocca persino complimentarmi con la Disney per la libertà creativa di cui la regista ha goduto nel corso della lavorazione. 
Ora ci aspetta Immaculate, se e quando arriverà dalle nostre parti, ma l’asticella è davvero alta. 
Intanto salutiamo calorosamente il ritorno in grande stile del nunxploitation. Lo aspettavamo con ansia. 

2 commenti

  1. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Arkasha Stevenson è una garanzia fin dai tempi di Channel Zero: nemmeno la Casa del Topo è riuscita a imbrigliarla… Anzi, c’è da davvero da sorprendersi per il grande acume dimostrato nel lasciarle il giusto spazio di manovra all’interno di una operazione così rischiosa 😉👍

  2. Avatar di SANTONIO
    SANTONIO · ·

    Arkasha Stevenson ha fatto un ottimo lavoro ma soprattutto le Attrici NELL TIGER FREE e SONIA BRAGA aggiungerei l’ottima interpretazione della debuttante Italiana NICOLE SORACE nel ruolo di “Carlita”