It’s a Wonderful Knife

Regia – Tyler MacIntyre (2023)

Dallo sceneggiatore di Freaky e dal regista di Tragedy Girls arriva lo slasher natalizio che vi aiuterà a passare indenni le feste in rapido avvicinamento. It’s a Wonderful Knife è, e lo si capisce sin dal titolo, una riedizione al sangue del film di Capra del 1946. Ormai possiamo quello dei remake horror dei classici del passato sta quasi diventano un filone a sé stante, con Michael Kennedy che pare divertirsi come un matto a raccontare di nuovo queste storie a suon di accoltellamenti e ammazzamenti vari, ma mantenendone comunque intatto il senso. Quindi sì, It’s a Wonderful Knife è un classico film di Natale, è pieno di buoni sentimenti, è a tratti di una tenerezza fuori misura e persino zuccheroso quando vuole, ma allo stesso tempo abbonda di gole tagliate, decorazioni varie usate in maniera impropria, cadaveri disseminati qua e là e, come ciliegina sulla torta, tonnellate di queerness elargite con generosità, cosa che non ha mancato di mandare in bestia i soliti noti al grido di: “Ma non possono essere sempre tutti gaaaaaay!”.
Spoiler: possiamo e voi non avete voce in capitolo.

Winnie (Jane Widdop) si appresta a festeggiare la vigilia di Natale andando a una festa con la sua migliore amica, il fidanzato e il fratello. Abita nella piccola cittadina di Angel Falls, dominata economicamente dall’avido e insopportabile uomo d’affari Henry Waters (neanche a dirlo, è interpretato da Justin Long), che vorrebbe radere al suolo le vecchie abitazioni per realizzare un enorme complesso residenziale e trova, per ovvi motivi, la resistenza degli abitanti più anziani del paesotto. Mentre i ragazzi sono intenti a festeggiare, un killer mascherato irrompe al party e fa fuori la migliore amica di Winnie, per poi accanirsi sugli altri invitati. Poco prima che anche il fratello di Winnie faccia una brutta fine, la ragazza riesce a uccidere il killer e a togliergli la maschera, rivelando che si tratta proprio di Henry Waters. 
Passa un anno e, mentre tutta Angel Falls sembra aver dimenticato quello che è successo, Winnie non riesce proprio ad andare avanti e a costruirsi una vita decente. Il fidanzato la tradisce, i genitori fanno finta di niente, la domanda di ammissione per l’università a New York viene respinta e Winnie desidera di non essere mai nata. Il resto, se avete visto o conoscete la trama de La Vita è Meravigliosa, dovreste conoscerlo. 

Winnie si risveglia in una realtà alternativa in cui lei non esiste e ha delle pessime sorprese: l’assassino è ancora in libertà e sta decimando la popolazione; il fratello, che lei aveva salvato, è invece morto, perché non c’era nessuno ad aiutarlo, la madre è alcolizzata e il padre è un uomo devastato dal dolore e dal senso di colpa; ma soprattutto, l’intera cittadina è diventata il feudo di Waters, che adesso è sindaco, ha rilevato tutte le attività commerciali (uccidendone i proprietari) ed esercita sugli abitanti un’influenza maligna, quasi demoniaca. Per tornare alla propria vecchia esistenza, Winnie dovrà smascherare il killer e ucciderlo o resterà bloccata per sempre in questo incubo distopico su piccola scala. 

It’s a Wonderful Knife è il risultato dell’alchimia tra le caratteristiche di Kennedy e quelle di MacIntyre: il primo costruisce queste trame che giocano di rimbalzo con gli elementi del cinema classico e li aggiornano per un pubblico contemporaneo; il secondo è al contrario molto bravo a infondere vita ai personaggi, a raccontare l’amicizia (che era al centro di Tragedy Girls, ma anche del suo precedente Patchwork) e a dare sì spazio ai sentimenti, ma a tenere allo stesso tempo molto saldo il timone in direzione horror. Il film non perde mai, neppure per un istante la sua identità di slasher e, anche quando punta a commuovere o a far sorridere (perché sempre di comedy si tratta), inserisce come contrappunto alle dinamiche da film natalizio tradizionale, la presenza minacciosa dell’assassino, che poi viene veicolata in maniera molto simile a Ghostface: è uno spauracchio molto umano e molto corporeo, prende diverse scariche di botte, cade dalle scale, inciampa e scivola durante gli inseguimenti con le sue vittime ed è quindi molto più figlio dell’estetica slasher anni ’90 che ’80.

Manca la componente whodunit perché noi sappiamo chi sia il colpevole sin dal prologo (anche se, pure qui, c’è un piccolo colpo di scena), e la nostra protagonista è già in partenza una final girl, quindi non abbiamo alcun dubbio su come tutta la faccenda andrà a finire, e non potrebbe essere altrimenti dato che, di fatto, è un remake. 
E tuttavia è davvero un figlio un po’ più mansueto di Scream, addomesticato per non impressionare troppo, girato senza cattiveria, leggero e anche un po’ superficiale, se vogliamo, ma per tutta una serie di motivi, capace anche di scaldare il cuore, in particolare se siete un po’ depressi e un po’ ansiosi per l’avvicinarsi di un periodo che non è facile per tantissima gente. 
Il modo in cui tratta, per fare un esempio e non rivelare troppo degli sviluppi della storia, le tendenze suicide alle porte del Natale, è di una delicatezza che mi ha fatto scendere una mezza lacrimuccia; o anche l’empatia con la quale racconta la nascita di un’amicizia che forse potrebbe e forse non potrebbe trasformarsi in amore nel corso del tempo. Sono tutti minuscoli dettagli che di solito è difficile trovare dentro a uno slasher, anche perché gli slasher natalizi si distinguono per il loro cinismo e per la loro intenzionalità nel voler mettere a nudo l’ipocrisia e le brutture del cosiddetto spirito natalizio. Il che va benissimo e avrà sempre il mio supporto. Ma ogni tanto è anche bello vedere un horror che non fa il suo mestiere, non porta cattive notizie. 

Poi, va detto che ci sono dei meccanismi nella storia non del tutto oliati, che ogni tanto si inceppa, che la parte centrale a un certo punto diventa lenta e che, nonostante duri meno di 90 minuti, tende ad andare fuori ritmo e fuori registro e persino, in alcuni punti, ad annoiare. E non riesco a capire, e lo dico sinceramente, se mi è piaciuto così tanto perché ne avevo bisogno, di un film così, o per i suoi reali meriti. Ma anche questa è una domanda oziosa: quando si guarda un film conta sempre il momento e lo stato d’animo in cui lo si guarda, funziona così, il distacco obiettivo è un’illusione.
Spero faccia lo stesso effetto anche a voi, e se non vi sta girando troppo bene, lo spero ancora di più. Da domani torniamo a essere brutti, sporchi e cattivi, ve lo prometto. 

2 commenti

  1. Avatar di alessio

    Superficiale è l’aggettivo che meglio si confà per questa comedy horror; un buon cast sprecato (Joel McHale, Justin Long) o marginalizzato (Cassandra Naud, ma soprattutto la Isabelle), e una storia che si perde man mano che procede: capisco che è Natale e il bianco della neve deve sapere di zucchero filato ma se insieme ad un po’ di rosso sangue si fosse aggiunto un pizzico (anche solo un pizzico) di cattiveria (alla Violent Night o alla Mercy Christmas) la ricetta sarebbe stata molto meno sbilanciata sui buoni sentimenti (che non fanno male, sia chiaro). E così più gustosa.
    p.s. “Ma non possono essere sempre tutti gaaaaaay!” credo che si sia notato causa debolezza strutturale del film, perché c’è davvero poco qui a parte una strizzata d’occhio al mondo queer. Scrivi invece una sceneggiatura alla Mare of Easttown e la “pancia” di Kate Winslet mentre fa sesso o l’omosessualità della figlia (svelata al pubblico indirettamente e con una naturalezza disarmante) diventano allora le gemme più belle e vere che ti fanno innamorare di una serie o di un film.

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Tyler MacIntyre come un Frank Capra natalizio alternativo, quindi? Sì, credo proprio che vada bene pure al sottoscritto… 👍