31 Days of Halloween: Day 13+14 V/H/S/85

Regia – David Bruckner, Mike P. Nelson, Gigi Saul Guerrero, Natasha Kermani, Scott Derrickson (2023)

Se per il venerdì 13 ottobre, la scelta del tema era l’unica possibile, ovvero Jason Voorhees, per oggi, la challenge richiede la visione di un found footage. Sul caro vecchio Jason sapete come la penso: il miglior capitolo della saga è il secondo e io lo rivedo e lo rivedrò sempre volentieri; per il found footage, esattamente come l’anno scorso, approfitto dell’uscita del nuovo film del franchise V/H/S per prendere i proverbiali due piccioni con una fava, ovvero portare avanti l’impresa dei 31 giorni di Halloween e non tralasciare i film più recenti che altrimenti poi mi si accumulano tutti sul groppone.  E poi V/H/S è ormai una tradizione della spooky season ed è giusto celebrarla. 
Ciò premesso, e come dice, sempre impeccabile, Sara Mazzoni, questo è uno dei migliori capitoli dell’intera saga, forse il più riuscito fino a questo momento, in particolare nei segmenti diretti da Nelson e Derrickson. 

Per chi non lo sapesse, V/H/S è una serie di film antologici (sei ufficiali più un paio di spin-off) creata dal fondatore di Bloody-Disgusting nel 2012. Di cosa si tratti lo dice chiaramente il titolo della saga: found footage realizzati con apparecchiature datate. Se i primi film avevano tutti un’ambientazione contemporanea (o non specificata), da un certo punto in poi hanno cominciato ad andare a ritroso nel tempo, e così sono arrivati V/H/S/94, V/H/S/99 e, infine questo 85, quello che si va a situare nell’epoca più remota, quella a più bassa risoluzione, quella ai primordi delle riprese amatoriali. Aspettatevi quindi immagini sgranatissime e tanta nebbia sullo schermo.
Insomma, la resa visiva è quella dei filmini delle vacanze di quando eravamo piccoli, ma è proprio questa la cosa interessante: vedere come i vari registi invitati a partecipare a questo rito annuale hanno affrontato la questione estetica e che hanno combinato con i limiti tecnici che si sono trovati di fronte. O sarebbe meglio dire con la loro simulazione, se vogliamo essere precisi. Più che altro, la domanda è: ne hanno fatto qualcosa o si sono limitati a raccontare una storia utilizzando degli strumenti desueti? Per sapere la risposta, bisogna fare come sempre si fa qui quando si parla di antologie: analizzare uno per uno i 4 episodi più cornice che vanno a comporre il film, segnalandovi che V/H/S è sempre stata una saga contraddistinta dall’uso massiccio, abbondante e svergognato di gore, e che 85 non fa eccezione, anzi. 

Cominciamo con la cornice, Total Copy, diretta da David Bruckner, regista presente nell’universo V/H/S sin dagli albori e, proprio a partire dal primo film della saga nel 2012, forte di una brillante carriera che lo ha portato, l’anno scorso, al timone del reboot di Hellraiser. Bruckner si occupa del compito forse più ingrato, quello degli interludi, presenza fissa in ogni V/H/S che si rispetti e di solito anche punto debole dei film. Non è facile avere  soltanto una manciata di minuti da spendere tra un episodio e l’altro perché il rischio è quello di fare da semplice riempitivo. Invece, Bruckner trova una chiave interessante, che è quella del falso documentario su un esperimento scientifico andato malissimo: alcuni scienziati trovano un bambino capace di imitare e assumere la forma di qualsiasi organismo con cui entri in contatto visivo, lo portano in un laboratorio segreto, lo battezzano Roy e si mettono a studiarlo per capire di quale forma di vita si tratti. Mal gliene incoglierà, e questo già lo sappiamo dall’inizio. 
Bruckner ricostruisce una trasmissione televisiva dai toni scandalistici e pseudo divulgativi di metà anni ’80 e la alterna alle riprese delle telecamere di sicurezza del laboratorio e a quelle effettuate dagli scienziati stessi per documentare i progressi del soggetto esaminato. A questo aggiunge una quantità imprecisata di tv spazzatura che i cervelloni somministrano a Roy allo scopo di fargli apprendere qualcosa sull’umanità che lo circonda. Fa quindi un bel frullato di linguaggi e stili e, data la natura documentaristica dell’operazione, riesce pure a usare la frammentarietà dello spazio a disposizione a suo vantaggio. 

Con il primo episodio vero e proprio si vola subito altissimo. Alla regia troviamo Mike P. Nelson, quello della sorpresa del 2018, The Domestics, e del tentativo di ricominciare da zero la saga di Wrong Turn, apprezzato solo da e da quattro altri matti in giro per la rete.
Diviso in due parti, No Wake e Ambrosia, il segmento di Nelson comincia nella maniera più banale possibile, con sette amici in vacanza in campeggio sul lago. Le riprese sono più che dilettantesche, sono proprio incompetenti, e quindi fate attenzione alla nausea e sappiate che è voluta: Nelson simula alla perfezione i movimenti e l’instabilità delle ingombranti e poco maneggevoli telecamere vhs dei primi anni ’80, e ci mostra qual era esattamente la loro resa quando messe in mano a una persona qualunque. Sì, i filmati della comunione di vostro cugino o dell’anniversario di matrimonio dei vostri nonni erano brutti. È ora che lo sappiate anche voi.
Per pochi minuti assistiamo alle scaramucce tra questi giovani villeggianti, ai loro scherzi, alle loro schermaglie amorose, fino a quando alcuni di loro non decidono di andare in acqua a fare sci nautico. E spunta, dalla riva, un cecchino che si mette a sparare loro addosso. Altro non vi dico perché vi rovino l’esperienza, e non vi parlo della seconda parte dell’episodio per lo stesso motivo. Ma vi assicuro che si tratta di un mini gioiellino che farà la vostra gioia, sempre che vi piacciano le mandibole disarticolate e i buchi sul cranio dal cervello esposto. 

È poi la volta di Gigi Saul Guerrero, impiegata fissa in casa Blumhouse e alla sua prima esperienza con il franchise V/H/S. Il suo episodio è ambientato a Città del Messico nel settembre del 1985, ovvero quando c’è stato un devastante terremoto. God of Death, questo è il titolo del segmento, racconta della registrazione di un programma televisivo mattutino, una di quelle trasmissioni-contenitore che fanno un po’ di informazione all’acqua di rose e un po’ di intrattenimento per casalinghe di mezza età. Il terremoto si scatena in diretta e chi sopravvive all’interno dello studio deve lasciare l’edificio insieme a un gruppo di soccorritori. A documentare tutto, il cameraman superstite che continua a riprendere perché questa è la sua unica occasione nella vita di registrare qualcosa di veramente significativo. 
A me di solito piace molto come lavora Guerrero; credo che una delle cose migliori di Into the Dark l’abbia diretta lei e mi è persino piaciuto Bingo Hell, che non è stato accolto con grande entusiasmo. Però God of Death è di sicuro il punto debole dell’antologia o se non altro quello meno sorprendente. Si lascia guardare, per carità, e ha alcuni momenti davvero feroci, ma scorre via un po’ così e non ti lascia niente addosso. 

Le cose vanno meglio con TKNOGD, di Natasha Kermani, l’episodio più breve dell’antologia, quello con meno personaggi e di certo il più sperimentale del mucchio. Kermani la conosciamo bene su questo blog a causa di Lucky. Qualche anno fa, non so se vi ricordate, l’avevo inserita in una lista che avevo fatto sulle 10 registe horror contemporanee più promettenti. Al momento sta lavorando alla trasposizione cinematografica di un racconto di Joe Hill, della stessa raccolta da cui è uscito The Black Phone. Il suo segmento di V/H/S/85 si svolge tutto sul palcoscenico di un piccolo teatro dove un’artista mette in scena una performance usando la realtà virtuale. Prima, l’artista fa una sparata tecnofobica su come la società abbia ucciso Dio per sostituirlo con un’empia divinità tecnologica; poi si infila casco e guanto e procede a evocarla, questa presunta divinità. Anche a lei, malissimo ne incoglie, con risultati esplosivi. Semplice, diretto, velocissimo, perfettamente inserito nelle fobie tecnologiche dell’epoca, è una piccola scheggia gore che vi lascerà inorriditi. In senso buono, ovviamente. 

Chiude Derrickson e, nonostante non sia mai stato tra i miei preferiti e abbia anche diretto cose discutibili, si vede la zampata del regista di enorme esperienza, che capisce il compito assegnatogli e lo porta a termine dando le piste a tutti quanti. Non solo, ma lo rielabora anche in maniera molto originale. Non è tanto la tremolante telecamera da diporto la protagonista e il punto di vista di questo episodio; è un’altra nostra vecchia conoscenza, il videoregistatore, usato qui come strumento di chiaroveggenza. Dreamkill infatti racconta di una serie di nastri spediti alla polizia e contenenti degli efferati omicidi (attenzione perché sono atroci, sul serio). C’è un po’ di giallo fulciano, un pizzico di home invasion, ma dalla prospettiva dell’assassino, e la solita tonnellata di coming of age soprannaturale che Derrickson sembra amare particolarmente. Il giovane Ghunter, interpretato da Dashiell Derrickson, figlio di Scott, è già personaggio horror dell’anno. 
Credo sarà la prima volta, quando tirerò le somme a dicembre, che un capitolo di V/H/S entrerà nella decina dei migliori horror dell’anno. Questa volta, si sono proprio superati. Lunga vita a V/H/S!

4 commenti

  1. Avatar di The Butcher

    Devo ancora recuperare questo capitolo di V/H/S. Amo i film antologici e quelli di V/H/S hanno sempre messo in mostra registi davvero interessanti e capaci. E con la tua recensione adesso lo cerco subito e me lo guardo con piacere!

    P.S. Derrickson negli ultimi tempi mi aveva deluso molto, nonostante apprezzassi tantissimo Sinister, ma a mio avviso ha recuperato tanto con quella piccola perla di Black Phone.

  2. Avatar di Daniele Artioli

    Sono andato a cercare cosa stia preparando Kermani, di tratto da Joe Hill, e ho fatto un piccolo salto di gioia: I Ragazzi Van Helsing è uno dei miei racconti preferiti della raccolta, e se Dracula, forse, ha un po’ esaurito le cose da dire c’è il caso che Van Helsing possa ancora servire come personaggio. Ma io spero sempre che a qualche pazzo venga in mente di adattare La maschera di mio padre, che è estraniante da morire e ho trovato molto suggestivo : mentre lo leggevo sentivo come in sottofondo la musica di Eyes Wide Shut, e ci vorrebbe qualche regista abbastanza fuori di testa per farne un film da incubo lucido. Avrei praticamente già il biglietto in mano!

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    E vai, si recupera pure quest’ultimo V/H/S 👍

  4. Avatar di L

    Pensa che io l’ho trovato tra i più deboli della saga finora. Ci sono idee carine, come quelle di Dreamkill e Ambrosia, ma sono poco sfruttate, e alla fine mi hanno lasciato davvero poco. Episodi come TKNOGD poi li ho trovati davvero di una banalità sconcertante, non giustificabile dal contesto temporale… I miei VHS preferiti restano i primi due, con meno gore ma molta più atmosfera…