
Regia – Pablo Larraín (2023)
Per quanto mi riguarda, Larraín è uno dei più grandi registi viventi e, sempre secondo la mia umile opinione, ha già diretto un paio di horror in carriera, nonostante non siano ufficialmente catalogati come tali: Tony Manero e Post Mortem sono pieni di elementi che rimandano al cinema dell’orrore; El Club è stata una delle esperienze cinematografiche più spaventose e angoscianti della mia vita; Spencer è, a tutti gli effetti, un horror psicologico; e poi c’è la parentesi televisiva di Lisey’s Story, tratta da Stephen King, quella sì, una serie che può essere definita, senza che nessuno si scandalizzi, horror. Tutto questo per dire che con un certo tipo di linguaggio Larraín si trova a suo agio e che era soltanto una questione di tempo: prima o poi con i codici del cinema dell’orrore più classico ci si sarebbe confrontato. Certo, lo ha fatto a modo suo, e questo anche è scontato; lo ha fatto con una commedia satirica ad alto tasso di gore e ferocia, in cui il vampirismo è una metafora, anche abbastanza ovvia, del potere vestito d’umana sembianza, per citare il poeta, e non del potere come concetto astratto e generale, ma di un certo tipo, molto specifico, di potere.
L’idea alla base di El Conde, è nota: Pinochet è un vampiro che ha finto la propria morte e ora vive isolato in una fattoria, con la moglie Lucia e il fedele maggiordomo e tuttofare Fyodor. Solo che il vecchio dittatore è stanco e ha deciso di lasciarsi morire smettendo di bere sangue, con grande disappunto della moglie, che vorrebbe essere trasformata per godersi la vita eterna con lui, e con enorme sollievo dei figli, che al contrario non vedono l’ora di ereditare una fortuna costruita tramite ruberie varie, conti segreti, tangenti e ogni forma di possibile nefandezza vi venga in mente. Per accelerare il processo, i pargoli del dittatore fanno intervenire una giovane suora, che si finge commercialista, ma in realtà è lì per esorcizzare dal maligno Pinochet e dargli una dipartita serena. Andrà tutto molto storto.
Se dovessi utilizzare una sola parola per definire il Pinochet messo in scena da Larraín sarebbe avidità. Il regista fa dell’avidità la caratterista principale del suo personaggio: tutto, anche gli eccidi di massa, discende da quello, da un desiderio non tanto di essere potente, quanto di accumulare ricchezza, una ricchezza tale che il vecchio vampiro nemmeno si ricorda di averla, l’importante è, appunto, l’accumulo. Una ricchezza che è anche fine a se stessa, in quanto PInochet non vive nel lusso sfrenato, ma anzi, conduce un’esistenza abbastanza frugale.
Il suo problema non è tanto essere indagato per i vari crimini contro l’umanità commessi, ma di essere beccato a rubare. L’assassinio non è considerato disdicevole, anzi, perdere la propria fortuna sì. Per questo ha finto la propria morte e si è ritirato in una sorta di mausoleo/monastero raggiungibile soltanto via mare. Una fattoria fredda e inospitale, di cui la regia di Larraín sottolinea a più riprese l’ostilità e l’ampiezza esagerata dei suoi spazi vuoti, come se facesse da specchio al deserto emotivo dei personaggi.
Larraín gira in un bianco e nero che guarda sia (e banalmente) ai classici della Universal sia al Nosferatu di Murnau, ma soprattutto a Dreyer, e non soltanto a Vampyr, dal quale riprende le atmosfere brumose, ma a La Passione di GIovanna d’Arco, film a cui è ispirato il personaggio della giovane suora Carmencita. Il risultato è un film sospeso tra la gestualità estremizzata del cinema muto e il gotico degli anni ’30, con tutti i giochi di luci e ombre che questo comporta. El Conde è una gioia per lo sguardo, in particolare nei momenti in cui i poteri dei vampiri si palesano e la loro natura soprannaturale entra in campo, prendendo il posto dell’umanissimo squallore cui assistiamo. Non è, infatti, un film che giustifica la mostruosità del personaggio storico di Pinochet attribuendogli caratteristiche di stampo sovrumano. Non sta nel suo essere una creatura che si nutre di sangue e sa volare la sua malvagità.
Pinochet è prima di tutto un uomo malvagio circondato da altri uomini malvagi o semplicemente sprofondati nell’abisso morale in cui non è più possibile fare distinzioni tra bene e male, come i suoi figli; sadici e privi di scrupoli, come il maggiordomo russo sterminatore di comunisti; miserabili e gretti come la moglie Lucia. Il vampirismo è un accidente che ha come risultato quello di allungare la vita a dismisura, e quindi serve a Larraín per dare questa immagine decrepita ed eterna del potere che perpetua se stesso attraverso le generazioni, infetta e corrompe tutto ciò che incontra e non è un concetto astratto, ma possiede la concretezza prosaica e, anche quella, molto umana, del denaro.
E noi che campiamo di horror da tutta la vita sappiamo più di chiunque altro che la figura contraddistinta da avidità e fame è proprio il vampiro. Non solo: il vampiro, essendo stato venduto da cinema e letteratura come aristocratico, può essere avido e affamato perché la sua classe sociale glielo permette, a differenza di altri mostri famelici, ma troppo straccioni e proletari per poter andare in giro a succhiare sangue e frullare cuori umani indisturbati.
Alla fine, e senza fare spoiler sulla voce narrante del film, la cui identità è allo stesso tempo un colpo di genio e uno dei twist più ovvi e scontati, a pensarci bene, mai messi su pellicola, la tesi di El Conde è molto chiara: la dittatura cilena è stata il braccio armato e sanguinario del neoliberalismo, la sua faccia feroce; se la dittatura finisce, il capitalismo, come i vampiri, non muore ma si rinnova, ricomincia da capo, come un virus, come appunto un contagio vampirico, attraversa il mondo e trova sempre un luogo nuovo dove attecchire.
El Conde non è l’opera migliore di Larraín, non potrebbe esserlo perché in fondo è un divertissement, è una commedia horror che in alcune scene fa anche molto ridere con il suo umorismo nerissimo, una satira spietata ma sostanzialmente lieve e accessibile, come del resto richiede anche la piattaforma su cui è stata distribuita.
Tuttavia, non lo perdete per nessuna ragione al mondo, perché ogni film di Larraín è un’occasione per imparare come si fa il cinema.
In other news: l’operazione è andata bene, mi hanno tolto due terzi dell’alieno che avevo nell’utero. Ne ho un’altra il 27 ottobre e poi, se Chtulhu vuole, è finita.












Sono contento che sia andato tutto bene! Dai, che ormai sei in dirittura d’arrivo per tornare fra noi in forma smagliante ❤❤😉👍
Quanto a El Conde, considero il suo Pinochet vampiro un ritratto assai potente e quanto mai azzeccato (purtroppo)…
Questo spero di recuperarlo presto.
Felice che sia andata bene questa prima operazione, reincrociamo tutto anche per la prossima
Felicissimo che l’operazione sia andata bene.Buon recupero!!!
Molto bene per l’operazione! La cosa più importante è questa.
Poi, di conseguenza, felicissimo di leggere le tue recensioni.
Bene!!! Ottime notizie, DAJE!!
Che bello leggere questa recensione, ne hanno parlato tutti malissimo, e quindi ero tentato (complice la mancata uscita in sala) di lasciar perdere, ma mi hai dato un buon motivo per vederlo, grazie!
PS: Madonna Dreyer, tra Giovanna d’Arco e Ordet, non saprei quello che mi ha fatto più male, altro che horror, lì proprio dolore a piene mani!
“L’operazione è andata bene” 🙂
Ora vediamo la prossima!