
Regia – Matt Angel, Suzanne Coote (2023)
Un altro tassello da aggiungere al nostro genere preferito, quello dei fasci che muoiono tra atroci sofferenze, in questo caso ancora più esaltante perché, a metterli in scacco e a macellarli, c’è una ragazzina di 16 anni, la nostra amatissima Becky, che torna a deliziarci dopo il sorprendente film del 2020. E credo che tornerà ancora, dato il finale apertissimo di questo sequel, che funge quasi da ponte per la partenza di un’eventuale saga, speriamo lunga e costellata di cadaveri di nazisti.
Per questa seconda avventura di Becky, c’è un cambio in cabina di regia e alla sceneggiatura, e di conseguenza, un cambio di rotta anche nei contenuti. Dove il primo film, oltre a essere una liberatoria e divertentissima mattanza, cercava anche di raccontare il percorso interiore di una giovane psicopatica, qui resta invariata solo la mattanza e tutta l’introspezione di cui godeva Becky viene un po’ messa da parte, o tirata fuori alla bisogna e come mero pretesto, giusto per garantire al film la durata sufficiente per essere classificato come un lungometraggio.
Avevamo lasciato Becky orfana di padre e in un istituto, e la ritroviamo, tre anni dopo, a scappare da tutte le famiglie cui viene data in affido, per approdare, insieme al suo cagnolone Diego, a casa di un’anziana signora che le offre un tetto e un minimo di stabilità emotiva. Entrambe le cose sono destinate a durare molto poco, a causa dell’arrivo in città di un gruppo di incel, suprematisti e (ma è una conseguenza naturale) stupidi come la merda, che si fanno chiamare Noble Men, ma di nobile non hanno assolutamente nulla. Volgari assassini con velleità da terroristi, hanno intenzione di assassinare una senatrice, ma prima commettono il pessimo errore di rompere le scatole a Becky e rapirle il cane.
Chi ha visto il primo film, sa che questi fragili maschietti hanno firmato la loro condanna a morte.
A interpretare Becky troviamo sempre una scatenata Lulu Wilson, che veste i panni di questa sterminatrice di fasci con grandi divertimento e consapevolezza; nel ruolo del suo principale antagonista, c’è nientemeno che Seann William Scott, il cui volto è solitamente associato a commedie un po’ sguaiate, ma che si è prestato spesso e volentieri all’horror, a partire da Final Destination, tanto per dirne uno. A differenza del personaggio di Kevin James nel primo film, che alla fine era una versione con svastica degli orchi delle fiabe, il “proud boy” di Scott ha qualche sfumatura in più, che forse ce lo rende ancora più odioso: lui e i suoi accoliti non solo hanno in mente di organizzare un omicidio politico, ma agiscono anche come se fossero le vittime di un sistema che li schiaccia. Insomma, arroganti e piagnoni, armati e pericolosi, ma sotto sotto, ragazzini viziati e convinti che il mondo debba loro qualcosa in virtù del fatto che sono nati maschi. Mi ricordano un sacco di gente che conosco e che avrebbe bisogno di una visita di Becky per riacquistare la giusta prospettiva sull’esistenza.
Com’è lecito aspettarsi da un’opera di tal fatta, The Wrath of Becky è un film ad alto tasso di violenza, e la nostra Becky è sempre molto creativa quando si tratta di ammazzare i cattivi. Forse non vengono raggiunti i picchi di poesia del motore fuoribordo nel primo film, ma c’è una sequenza che coinvolge una bomba a mano che vi farà saltare e battere le manine, e un’altra con protagoniste delle simpatiche tagliole per orsi che vi farà fare un sacco di urletti estasiati. Nel primo film, Becky era costretta a improvvisare e tutta l’azione era all’insegna dell’urgenza e del caos; qui, al contrario, la vendetta della giovane donna è pianificata nei dettagli. Si perde un po’ di tensione, perché non c’è un solo momento in cui Becky sia davvero in pericolo, ma si guadagna in dinamismo (i due registi sono molto in gamba) e si bada di più a sottolineare l’estetica della violenza, che il suo sgorgare furioso e spontaneo come nel primo film.
Anche perché, lo abbiamo già detto, qui Becky ha abbracciato la sua natura di giovane assassina e si tratta soltanto di trovare un modo per fargliela mettere in pratica.
Però attenzione: la sceneggiatura del film è abbastanza furba da dare comunque a Becky un arco narrativo che renda il suo modo di agire comprensibile e, nel finale (in cui appare per pochi minuti Kate Siegel) lancia il personaggio verso un futuro radioso.
Come moltissimi sequel, The Wrath of Becky è un film inferiore al suo predecessore, con tutti gli elementi di ambiguità morale e spessore psicologico sacrificati sull’altare dell’esagerazione e della violenza caricaturale, ma è lo stesso un B movie riuscito che vi consiglio di gustarvi in una sera di inizio estate.
Ora, se per il prossimo film mi sguinzagliate Becky e Diego a una convention di Star Wars, ve ne sarò grata per tutto il resto della mia vita.










Il primo era carinissimo e ingiustamente sottovalutato, questo contavo di vederlo oggi, ma ero un po’ scoraggiato dal cambio alla regia. Speriamo bene.
“A interpretare Becky troviamo sempre una scatenata Lulu Wilson, che veste i panni di questa sterminatrice di fasci con grandi divertimento e consapevolezza” OK a posto così, sono già salito a bordo ❤
La felice anarchia del primo Becky qui viene incanalata dentro i binari più sicuri e “istituzionalizzati” del già visto: c’è sempre ironia (molta) ma più facile, ancora cattiveria ma controllata – quasi studiata. Becky is back ma quell’energia impulsiva dell’adolescenza come magma informe che può tutto e ci spiazzava comincia già ad avere le fattezze più rassicuranti della pietra vulcanica pronta per essere modellata (così lascia presagire il finale) in borghesi monili. Si nasce incendiari ma si muore pompieri e neanche maggiorenne non vorrei che Becky rischiasse la facile strada di ornamento per il grande pubblico.
Bhe oddio non mi pare che siamo dalle parti di Ari Aster che vuol fare vedere al mondo che è l’erede di Kubrick ….(io apprezzo Ari Aster ma credo sia pure un pelino SBORONE se mi si concede il romagnolismo) … Hanno creato un personaggio direi narrativamente credibile, peraltro un franchise , per così dire , utilizzabile a lungo. È un BOOGEYMAN, anzi una boogeywoman per la quale si fa il tifo ,come fai a non fare il tifo per una squartanazi? Take It as It comes insomma. Ti dirò, paradossalmente mi farebbe pure piacere vedere l’attrice “invecchiare” col personaggio continuando ad interpretarlo. Tipo “Becky 30, la settantenne ancora SQUARTA I NAZI”. C’è mica un’età per smettere di squartare i nazi. Tanto loro esisteranno sempre e esisteranno sempre anche le squartanazi. Non è che Tina Anselmi abbia smesso di essere un esempio quando non aveva più l’età e la pedalata per fare la staffetta partigiana in bicicletta. (P.s.- Spero non la prendi come una critica. Capisco benissimo che non è fresco come il primo, pure Lucia scrive apertamente che è inferiore…Ma ammesso e concesso che diventasse una roba da “grande pubblico”… Bhe io sono contento se una Squartanazi diventa una roba da grande pubblico eh…)
Ciao rispondo qui,
mettendo da parte Ari Aster, Kubrik e Tina Anselmi (sic!) credo che nel giro di due anni siamo passati da un’opera abbastanza straniante, cattiva e divertente (il cui divertimento era questa ragazzina che scardinava il senso comune) a qualcosa di più piatto (non che il primo film fosse chissà cosa ma la trovata di un’adolescente che si mostra vendicativa e feroce e per la quale inevitabilmente tifiamo lasciandoci a disagio aveva un grande pregio: mostrarci per quel che siamo, persone piene di contraddizioni e più ciniche di quel che piace raccontarci ma, in fondo in fondo, per un momento anche spogli di ipocrisia). Tutto questo nel secondo capitolo manca, un po’ perché il personaggio lo conosciamo, un po’ perché l’espediente narrativo è meno originale (sembra una riedizione di Commando dove all’ironia steroidea di Arnie si sostituiste quella finto lolitesca di Becky e dove il tenero Diego prende il posto della cucciola Alyssa Milano). Anche la scelta di colpire la incel community (così come il finale terribile che lascia presagire una Becky istituzionalizzata) rientra in questa facile scelta; dopotutto come dici anche tu: come non si può fare il tifo per una squartanazi? Ciao
Tagliato anche questo per il rated R come il primo film per non scandalizzare le menti deboli degli Z gen coi loro smartphone del cazzo ? Mai uscito uncut il primo alla fine.
Non c’è nessun dolore al mondo che la gioventù non possa curare.