Play Dead

Regia – Patrick Lussier (2022)

È divertente scorrere i titoli di testa di questo B movie di ambientazione ospedaliera, anzi, mortuaria, per guardare ai nomi coinvolti con il sorriso di chi riconosce qualche parente particolarmente simpatico, di cui il resto della famiglia magari non parla troppo bene, ma che a noi suscita un immediato moto di affetto e di tenerezza.
Play Dead è diretto da Patrick Lussier, che dovreste conoscere sia come montatore di Wes Craven da Nightmare – Nuovo Incubo a fine carriera, sia come regista di My Bloody Valentine 3D (tra le altre cose) e del bellissimo Trick, del 2019. Già così, la sensazione è quella di sentirsi a casa, ma andiamo a vedere chi ha scritto il film: Simon Boyes e Adam Mason, una coppia di sceneggiatori e registi britannici che esordiscono nel 2006 con l’allucinante Broken, un film che, se ve lo ricordate, fece parecchio rumore in un’epoca di assuefazione al torture porn. Il pezzo grosso, tuttavia, ce lo riserviamo per la produzione: Johannes Roberts, anche lui inglese, e da queste parti idolatrato dai tempi di F. Sono una delle poche persone al mondo disposte a morire per difendere il suo Resident Evil: Welcome to Raccoon City. Per non parlare di 47 Metri, che ritengo il miglior film di squali dell XXI secolo.
Come vedete, c’è tanto di cui essere contenti, anche se Play Dead, per come è concepito, rischia di entrare a far parte della schiera dei film che piacciono solo a me. Anzi, a guardare la sua media su Letterboxd, già ne fa parte. 

Protagonista di Play Dead è la giovane Chloe (Bailee Madison), studentessa di medicina forense con una sfiga cosmica: il padre è morto suicida e l’assicurazione non ha quindi pagato il premio, di conseguenza, lei e il fratello, rimasti soli, rischiano di essere buttati fuori di casa. Il fratello minore si fa venire in mente l’idea geniale, per ovviare all’inconveniente, di organizzare una rapina con l’ex di Chloe. Va tutto a puttane, ma il ragazzo riesce a scappare, mentre il suo complice viene ucciso durante l’azione. Nonostante i due avessero il volto coperto, sono stati entrambi così intelligenti da pianificare la rapina tramite messaggi. E il telefono del morto sta all’obitorio, nella sala delle prove, in attesa che arrivi, il giorno dopo, lo sceriffo a raccogliere tutto a farlo analizzare. A Chloe non resta che iniettarsi un farmaco che la manda in morte apparente, farsi recapitare tipo pacco all’obitorio e sottrarre il telefono alla polizia. Niente di più facile, giusto? Peccato che il medico legale (Jerry O’Connel, signori) sia un losco figuro coinvolto in un giro di traffico di organi, un psicopatico a cui piace far del male alla gente e, ultimo ma non meno grave, anzi, forse di più, uno convinto di avere la missione di eliminare i parassiti della società americana, quelli che, signora mia, non hanno voglia di lavorare, non si mettono in gioco, campano alle spese dello stato, insomma, un elettore del fu terzo polo. 

Quando il coroner si accorge della presenza di Chloe, viva e vegeta nel suo obitorio, parte il classico gioco al massacro e si ha la deliziosa impressione di essere tornati nel 2011 e dintorni. Play Dead è un film girato sporco, tutto macchina a mano che segue a schiaffo le azioni dei personaggi; ha un aspetto livido, illuminato com’è dai neon dei corridoi spogli della morgue, dalle luci sparate dei lettini operatori, dai fanali gialli delle auto della polizia nel cortile esterno. È un film tutto cemento e metallo, senza la sporcizia che di solito associamo al torture porn, perché l’ambiente in cui si svolge è asettico e freddo, come il suo antagonista. E a tale proposito, Jerry O’Connel, invecchiando, è sempre più predisposto a questi ruoli da figlio di puttana cui si presta con sardonico divertimento, per la nostra immensa gioia. Secondo me, secco secco, e spogliato dell’aria da bravo ragazzo americano, con qualche rughetta a segnargli il volto, è anche più bello. 

Lussier, che da ex montatore è uno molto bravo a gestire il ritmo, realizza un film sempre teso, sempre sotto pressione e col fiato corto. Si assiste a Play Dead in apnea, perché, al netto dell’assurdità della premessa, il personaggio di Chloe è ben costruito e Madison, già vista all’opera nel secondo capitolo di The Strangers, ha tatuate in fronte la parole final girl: determinata, piena di risorse, coraggiosa, disposta a tutto per salvare se stessa e suo fratello, capace anche di sparare quel paio di battute fulminanti che starebbero bene in bocca a un eroe di film d’azione, si destreggia con abilità in un ruolo molto fisico, prende un sacco di botte, gliene capitano di tutti i colori, e ribatte colpo su colpo, specialmente nel confronto finale con allegata citazione da una delle scene più famose di Jason X.

Quello di Lussier (ma anche di Roberts) è un cinema molto grezzo, che non smussa gli angoli, non si fa incantare da sirene d’autore, magari un po’ povero di ambizione ma che va dritto al punto e intrattiene senza annoiare neppure un istante, anche se il film si assesta sulla durata non proprio amichevole di un centinaio di minuti. Ma in realtà non pesano affatto, anzi, quasi non ci si fa caso, perché la sceneggiatura trova sempre nuovi espedienti per portare avanti la storia, nuove difficoltà da far affrontare a Chloe, nuovi stratagemmi da parte del luciferino medico legale per metterla in scacco. Non ci si ferma mai e manca il tempo materiale per pensare o farsi domande, che è poi il modo migliore per gestire una vicenda che, se confezionata in un altro modo, rischia di non stare proprio in piedi.

A dire la verità, e conoscendo la carriera dei suoi due sceneggiatori (ma anche del regista e del produttore), potrebbe persino essere un vecchio copione riesumato dal 2009 o giù di lì, ripulito nella resa estetica e rimpolpato un po’ di temi come la lotta di classe e le storture e le ingiustizie di un capitalismo trionfante, che nell’horror contemporaneo sono diventati quasi imprescindibili. Una quindicina d’anni fa, il medico legale sarebbe stato un emulo di Jigsaw; ora è un distinto signore di estrazione alto borghese che non vuole insegnare a nessuno ad apprezzare il vero valore della vita, ma si limita a staccare pezzi dalle classi inferiori per venderli a chi se li può permettere, e si giustifica tramite un confuso e velleitario spiegone sui parassiti, ma si capisce perfettamente che gli interessano soltanto i soldi. A farne le spese, sono sempre poveracci: una studentessa squattrinata, un paio di rapinatori maldestri, un sottobosco di tossicodipendenti utilizzati come parti di ricambio quando si resta a secco, e via così. Il male è sempre più rappresentato dall’agiatezza economica, ma la perfidia e la noncuranza con cui si affetta la gente, quella è roba del decennio scorso. 

4 commenti

  1. Avatar di alessio
    alessio · ·

    Mi piace molto dedicare tempo (ahi, il tempo!) a film che hanno come protagonisti dei fratelli, specificamente un fratello e una sorella: probabilmente per motivi puramente biografici avendo una sorella coetanea alla quale sono legatissimo; purtroppo in Play Dead non c’è la profondità del legame che è lo scheletro di un Oculus o di un When I Consume You, poco male si dirà: qui la fratellanza è più un mero pretesto per raccontare altro (un po’ come accade per Would You Rather, che tutti ricorderanno solo per Sasha) tuttavia faccio parte di quella lunga teoria a cui il film non è piaciuto (o forse peggio: è scivolato via senza neanche la sensazione di un più che discreto passatempo. Curiosamente la cosa più simpatica è una morte che ricalca pari pari una delle tante proposte in The Price We Pay). Jerry O’Connel è un colpo al cuore… ultimamente ho visto Winona Ryder in Gone in the Night e se aggiungiamo che Mena Suvari è passata dal ruolo di Teenage Dirtbag a quello di mamma devo confessare che il vero orrore è – ahimè – il tempo (ahi, il tempo!) che passa. Per tutti.

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Mi piace il tuo ritratto del personaggio di Jerry O’Connell come discreto facsimile di uno stronzo terzopolista 😉 Di nomi interessanti coinvolti ce ne sono, eccome, ora mi resta da vedere come siano riusciti a rendere interessante il film…

  3. Avatar di Fabio
    Fabio · ·

    Mazza,ma allora Patrick Lussier aveva diretto altri film dopo il folle “DRIVE ANGRY 3D”!(posseggo con gioia il blu ray,ma mi piacerebbe avere fra le mani anche la mitica pistolazza “spegni-anime” maneggiata da Nick Cage e Amber Heard).Onestramente neanche sapevo di “TRICK” del 2019,mi sa che non sono arrivati doppiati in italiano questi suoi ultimi lavori,credo! P.S.-informandomi ho letto che questo suo ultimo film a come grande assente quell’adorabile scoppiato dello sceneggiatore Todd Farmer,peccato,mi ero così tanto abituato a vederlo nelle vesti sia di sceneggiatore che di attore,nella parte del “tizio che muore male”!

  4. Avatar di Frank La Strega

    “Trick” è bellissimo! 🙂