Man Finds Tape

Regia – Paul Gandersman, Peter S. Hall (2025)

Oh no, un altro found footage! Purtroppo, come dico spesso ai miei gatti quando do loro del cibo che non gradiscono: questo c’è, questo ve tocca.
Posso tuttavia assicurarvi che Man Finds Tape è un’opera interessante e, mi si perdoni il termine, originale, non nel senso di raccontare una storia che nessuno ha mai raccontato prima, ma nel senso di riuscire a sorprendere per le direzioni inaspettate che i due registi e sceneggiatori le fanno imboccare, con grande sprezzo del pericolo, tra l’altro.
Non farò spoiler nel corso dell’articolo che state per leggere, ve lo assicuro, sarebbe un delitto, ma vi dico subito che Man Finds Tape si va a inserire in territori dal sapore lovecraftiano o cosmico, se preferite tenervi sul generico.
Lovecraft e il cinema hanno una relazione intensa e complicata, e lo abbiamo detto qui tante volte: portare sullo schermo le storie dello scrittore è un affare che è riuscito a pochi, fare del cinema ispirato a Lovecraft è invece cosa molto comune.

Il found footage lovecraftiano è, secondo il mio umile parere, il modo migliore per dare vita sullo schermo all’immaginario scaturito in primis dalla mente dell’autore, e poi espanso in miriadi di rivoli nella cultura (popolare e non) di ogni parte del mondo. Il motivo, molto banale, è che il found footage, per sua stessa natura, presuppone una prospettiva limitata: degli orrori ciclopici presenti (forse) in scena, a noi è dato di vederne soltanto dei minuscoli frammenti; è la soggettiva a creare questo effetto di visione sempre parziale e, anche quando non assistiamo a un found footage propriamente detto, ma un misto di found footage e mockumentary, come nel caso di Man Finds Tape, la pretesa di riportare fedelmente i fatti, tipica di un documentario, si va a scontrare con il recinto rappresentato dal nostro sguardo, che taglia fuori grosse porzioni di mondo.
È più o meno quello che capita, in narrativa, quando si passa dal narratore onnisciente alla prima persona o alla terza limitata. Ed è esattamente quello che provoca la lettura di un racconto dell’orrore di Lovecraft: pezzettini, residui, corpuscoli di un qualcosa di talmente enorme da non poter essere abbracciato dai nostri occhi.

Man Finds Tape è un mockumentary che racconta di un found footage, e già qui ci sarebbe tanto da dire, perché nel 2025 è un’operazione fatta con grande consapevolezza della storia di questo genere; per analizzare il contenuto di questo filmato sbucato dal nulla, si avvale di un misto di media diversi, e anche provenienti da epoche differenti: dalle riprese sgranate, in pellicola, del presunto big foot del 1967, a stralci di una trasmissione televisiva degli anni ’90, passando per le riprese casalinghe dello stesso periodo, per poi arrivare all’altissima definizione delle interviste per il documentario vero e proprio nel 2023, e tornare a quella bassissima delle immagini delle telecamere di sicurezza. A tutto ciò vanno aggiunti i social, che hanno nel tessuto del racconto, un ruolo dirimente, e quindi via con YouTube, Instagram, Tik-Tok, Reddit e compagnia brutta.
Il documentario mira a riscostruire la verità dietro a un nastro trovato in cantina dal protagonista Lucas: si tratta di un video di pochi minuti in cui un misterioso individuo si introduce in una casa ed entra nella stanza di un bambino che dorme, lo osserva per un po’, e poi fa qualcosa di inspiegabile.
La casa è quella dove tutt’ora vive Lucas, e il bambino a letto è Lucas più o meno all’età di dodici anni. Lucas non ricorda nulla di tutto questo ed è visibilmente sconvolto da ciò che ha visto. Tuttavia, usa la vecchia cassetta per dare vita a una serie di video virali, chiamati, appunto, Man Finds Tape.

Lucas diventa una star dei social, con un grosso numero di follower divisi equamente tra chi crede che il filmato sia vero e chi lo accusa di averlo manipolato e di raccontare una serie di cazzate. Lui, dal canto suo, di cazzate ne dice parecchie, fino ad arrivare a pestare i piedi alla persona sbagliata, il reverendo Endicott Carr, noto personaggio televisivo ed eminenza grigia del buco di culo di paese allo sprofondo del Texas in cui si svolgono i fatti, Larkin.
Costretto a confessare di essersi inventato tutto, Lucas perde tutta la credibilità che aveva conquistato. Ma c’è, anche sotto la coltre di alterazioni e bugie da lui creata, un fondo di verità in quel filmato, e in altri che vengono recuperati, smontati e analizzati nel corso del film. Toccherà alla sorella di Lucas, la documentarista Lynn, tornare nella cittadina natale per dare una mano al fratello, indagare insieme a lui e provare a sbrogliare un’intricatissima matassa.
Mi sono un po’ dilungata con la trama, perché non è proprio la trama, è l’antefatto di un film che dura meno di novanta minuti e riesce a darci in pasto questa quantità enorme di informazioni ancora prima che l’indagine vera e propria cominci, mettendoci addosso un sacro terrore tramite alcune immagini che sono davvero difficili da togliersi dalla mente.

Man Finds Tape si muove sempre sul confine, molto labile in questi anni ’20 del XXI secolo, tra realtà e manipolazione, tra ciò che i nostri occhi percepiscono come vero, e le infinite possibilità di manomettere le immagini per creare contenuti, suggerendo che è proprio su questo confine che finiscono per annidarsi i mostri, e che in ogni caso, la verità è un concetto a sua volta malleabile, astratto, i misteri esistono, ma non sempre esiste la loro soluzione. 
L’oggetto principale del film, oltre al video trovato da Lucas, è rappresentato da una serie di filmati che gran parte dei personaggi non riesce a vedere, ed è questa la vera trovata geniale dei due registi: un found footage che non può essere guardato, o meglio, che noi spettatori abbiamo la facoltà di smontare e analizzare il più possibile, ma del quale i protagonisti (esclusa Lynn) possono soltanto ipotizzare la natura.
Come potete vedere (scusate) è Lovecraft in purezza, ovviamente attualizzato all’oggi: sguardo limitato, frammenti sparsi di una cospirazione che ha soggiogato un’intera città, ma che, per quanto ne possiamo sapere, potrebbe essersi diramata anche altrove, e nel profondo, esseri ostili e a malapena visibili che brulicano e si agitano con l’intento preciso di farci del male. 

Si parte dall’infinitamente piccolo, un ragazzo che trova una cassetta nella sua casa d’infanzia, nel contesto classico del small town horror, per poi approdare a un mistero che coinvolge l’intero cosmo e, di conseguenza, non ha una spiegazione. Ciò che succede a Larkin non è del tutto chiaro, neanche quando i titoli di coda cominciano a scorrere; l’intero campionario di immagini si rivela fallace proprio in quello a cui dovrebbe servire: portare a galla la verità. Forse perché non c’è, forse (ed è l’ipotesi più plausibile e anche più spaventosa) perché è troppo grossa e le sue dimensioni non possono essere contenute da un fotogramma, in qualsiasi formato esso sia. 
Man Finds Tape mette in discussione l’atto stesso del vedere, arrivando così a negare la sua natura. 
È un film bellissimo, il punto di arrivo del linguaggio che ha caratterizzato l’horror del XXI secolo più di ogni altro. Da qui, sarà molto difficile tornare indietro. 

2 commenti

  1. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · · Rispondi

    Ti dirò, l’avevo già adocchiato, e la tua rece di oggi conferma la mie impressioni positive a riguardo. Ora, non vorrei parlare troppo presto, ma mi sembra che, tra mockumentary e found footage (anche laddove si vogliano usare delle formule “ibride” fra i generi), si stia rendendo un buon servigio a Lovecraft di questi tempi (penso ad altri titoli come Strange Harvest)…

    1. Avatar di Lucia

      Non solo, è anche uscito da poco Dream Eater che va nella stessa direzione. Vedrò di parlarne prossimamente

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