
Regia – Wes Craven (1989)
La categoria per il ventiquattresimo giorno di challenge è “Gli serve un remake”, ovvero una delle più soggette all’interpretazione personale di ogni partecipante.
Io, con i remake, ci ho fatto pace da parecchio tempo, e non credo sia un sacrilegio rifare un film, qualunque esso sia, ma rimango convinta che sia meglio quando a subire il trattamento è un film sfortunato e non del tutto riuscito. Non necessariamente brutto, perché non credo che Sotto Shock sia un film brutto. Eppure è un horror con delle grandi potenzialità rimaste inespresse per diversi motivi, tra cui anche delle specificità tipiche dell’epoca in cui è stato realizzato. Mi sembra perfetto per il tema di oggi, e mi aiuta anche a infilare nella challenge Wes Craven, che in qualche modo, ci va piazzato ogni anno, altrimenti mi sento in colpa.
Se esiste un film per cui calza a pennello la definizione di occasione mancata, quello è Sotto Shock.
Sappiamo bene che Craven era abbastanza piccato per essere stato estromesso, creativamente ed economicamente, dai seguiti di Nightmare, anche perché, dopo l’enorme successo di Fred Krueger, la sua carriera non era andata come ci si aspetterebbe da un autore che aveva portato nelle casse della New Line la bellezza di cinquantesette milioni di dollari, a fronte di un budget che a stento arriva al milione.
Eppure, con Craven le cose prendono sempre una direzione sorprendente, nel bene e nel male. In questo caso, nel male. Il film successivo a Nightmare è il tanto atteso quanto fallimentare sequel de Le Colline Hanno gli Occhi, cui seguono Dovevi Essere Morta nel 1986 e Il Serpente e l’Arcobaleno nel 1988. Se il secondo è forse il vero capolavoro di Craven, il primo è un delizioso pasticcio, ma nessuno dei due può definirsi un successo. Craven si lascia dunque alle spalle le grosse produzioni e firma, come il suo collega Carpenter, un contratto con la minuscola Alive per due film, ottenendo piena libertà creativa.
Nelle intenzioni, Shocker doveva essere l’inizio di una serie di film destinati a soppiantare la saga di Nightmare (arrivata nel 1989 al quinto capitolo). Al serial killer elettrico Horace Pinker (Mitch Pileggi) toccava essere il “nuovo Freddy”, anzi, secondo le stesse dichiarazioni di Craven durante le riprese, doveva proprio surclassare Freddy, per come era diventato nei sequel, nel cuore degli spettatori.
Non è proprio andata così.
A differenza di altre circostanze in cui le vicende produttive di un film ti aiutano a individuare i responsabili di un disastro, nel caso di Shocker non è per niente facile. La Alive non si è messa in mezzo se non nella decisione di dare al film una colonna sonora metal, che è poi diventata un oggetto di culto e, per molti (tra cui la vostra affezionatissima), uno dei motivi per cui vale la pena di guardare il film. A fare da supervisore musicale troviamo nientemeno che Desmond Child, anche autore del brano Shocker, suonato dal super gruppo The Dudes of Wrath, che ancora oggi è una presenza fissa in ogni mia playlist. Craven avrebbe preferito un accompagnamento orchestrale, ma la Alive si è imposta e ha pure avuto ragione a farlo.
Per il resto, ha fatto tutto Craven: il set è stato tranquillo e le riprese sono andate avanti senza particolari intoppi. Tutti se la ricordano persino come un’esperienza divertente. La censura ha apportato parecchi tagli al montato finale e non esiste ancora una versione integrale del film, che comunque è già abbastanza lungo, quindi va bene così, grazie.
Craven non era soddisfatto degli effetti speciali della seconda parte del film, quella in cui Pinker diventa un essere fatto di elettricità: Shocker ha avuto una post-produzione molto frettolosa e i vfx sono stati realizzati nel giro di due settimane. Quando Craven, nei primi 2000, si è messo alla produzione di diversi remake dei suoi film anni ’70, avrebbe voluto rifare anche Shocker, ma non ne ha mai avuto la possibilità.
A parte queste minuzie, il pastrocchio che è stato presentato al pubblico per Halloween 1989 non è stato rovinato in corso d’opera da nessuno. È stato concepito così.
Shocker, e sia messo agli atti, è uno slasher bellissimo per i primi tre quarti d’ora: Pinker è un perfetto assassino dalla malvagità priva di spiegazioni o scopi che non siano far fuori quante più persone possibili, famiglie, nello specifico, sterminate mentre dormono, bambini compresi, che Horace non si formalizza su queste cose.
A tentare di porre fine alla carriera da omicida di Pinker, troviamo il giovane Jonathan (Peter Berg, poi diventato famoso come regista), a cui il killer ammazza madre e fratelli adottivi, e poi la fidanzata Alison. Jonathan ha una connessione speciale con Pinker: lo vede in una serie di sogni premonitori, che sono messi in scena da Craven con la sua consueta capacità di saper cogliere il lato più misterioso e inquietante dello stato onirico, ovvero non riuscire a distinguere tra i due piani. Esattamente come in Nightmare, Craven non mette alcun confine tra il sonno e la veglia, e così noi siamo disorientati quanto Jonathan.
Questa è la sezione di Shocker che regge e funziona meglio, in parte perché resta nel solco della tradizione dello slasher, ma con qualche tocco di follia che Craven inserisce per tenerci sempre in stato di allerta massima; in parte perché è coerente da un punto di vista narrativo, compatto nella stesura del racconto e coeso per quanto riguarda il registro utilizzato.
La parte ambientata in prigione, e in particolare la sequenza dell’esecuzione di Pinker sulla sedia elettrica, sono un altro pezzo di bravura di Craven e di Pileggi lasciato allo stato brado.
Io capisco cosa voleva fare lo zio Wes, non è né assurdo né troppo velleitario: quella a cui assistiamo fino alla morte fisica di Pinker è una vera e propria origin story di un super cattivo, che non avrà il carisma sinistro di Krueger, ma funziona per il suo completo disprezzo di qualsiasi regola di convivenza civile, per la sua sfrontatezza, per le arie da smargiasso che si dà, e perché stacca a morsi le dita delle guardie carcerarie e poi ci ride sopra.
Solo che, dopo l’origin story, il film prosegue, e lì cominciano i dolori.
Shocker cambia genere, passando dallo slasher al film di possessione, e fin qui non ci sarebbe nulla di male, se non si trasformasse anche in un intruglio tonale che non ha idea di cosa vuole essere, se un horror sovrannaturale serio o una commedia autoreferenziale con l’antagonista consapevole di trovarsi dentro a un film dell’orrore. Sì, anche qui ci sono i prodromi di Scream.
Si guarda ancora con un certo divertimento (e una crescente incredulità), anche se perde mordente e, ogni tanto, scivola nel puro kitsch sentimentale, però bisogna proprio voler bene a Craven per arrivare fino in fondo senza pensare di star sprecando il proprio tempo.
C’è ancora spazio per un colpo di genio, tra l’altro tipico di Craven: l’inseguimento di Horace e Jonathan attraverso i canali televisivi, un bellissimo concentrato di tv spazzatura, di violenza elargita a ore pasti alle famiglie americane, di immagini di repertorio di guerre e massacri vari, con qualche vecchio classico in bianco e nero (quelli che i diritti potevano consentire di utilizzare) a fare da tendina ogni tanto.
Craven frulla la cultura popolare americana e ci fa passare attraverso i suoi due personaggi, che in quella confusione passano quasi inosservati, fanno parte del paesaggio confuso e convulso dello zapping serale, che non distingue tra notizie, fiction, documenti storici e spettacolo triviale.
La televisione, si sa, per Craven ha sempre rappresentato il male, in ogni suo film in cui è presente, anche soltanto come mero oggetto di scena. Lungi dall’essere un semplice espediente per movimentare il finale del suo film: il fatto che Pinker scelga proprio la televisione come luogo da abitare, è indice dell’alto valore di contagio dell’apparecchio e di ciò che al suo interno appare.
Pinker, di mestiere, fa il tecnico televisivo e, per metterlo fuori combattimento, viene creato un blackout che spezza l’ipnosi degli americani seduti in salotto e li fa uscire di casa a guardare le stelle.
Didascalico, certo, ma comunque interessante.
Un remake, oggi, cambierebbe il mezzo di diffusione virale dello spirito elettrico di Horace, forse presterebbe più attenzione a mantenere uno stile e un tono uniformi, e potrebbe davvero lanciare un nuovo villain, chi lo sa. Ci vedrei bene un Wingard a dirigerlo o anche un Kitamura. Basta che non si azzardino a togliere il metal dalla colonna sonora.












Giorno Lucia,per oggi ho scelto un film che,nonostante i suoi difetti,non riesco proprio a volergli male,ma che lo si possa migliorare ne sono convinto,sto parlando di “Detective Stone”,voglio bene a questo B-Movie scellerato tipicamente anni 90,ma se lo rifacessero,asciugando la trama,eliminando tutta quella roba sui segni zodiacali ecc ecc,e limitandosi ad una bestia mutata nelle fogne e bassifondi di quella Londra semi sommersa,braccata dal polizziotto impazzito di turno,è investendo qualche soldo extra sulla creazione del mostro,sarei contento.Ma anche così il film con Rutger Hauer mi diverte ogni volta….ma si può migliorare ecco!.
Non amo molto i remake e i sequel ; credo che la storia del cinema horror sarebbe stata più bella se capolavori come “Halloween” e “Nightmare” fossero rimasti”figli unici”( una delle rare eccezioni”La casa 2″ di Raimi ,bello quanto il primo…). Però ipotizzare un remake per un film con del potenziale,ma non riuscito completamente,ha molto più senso. Io indico “The Dark” di John Fawcett del 2005, folk horror che avrebbe avuto tutto per essere un piccolo classico ( tra Annwn e changeling), ma c’è qualcosa che non va per il verso giusto, così finisce per risultare solo un discreto film( che poi,per carità,non è poco)…
A dire il vero changeling in senso lato ; qui si parla di adolescenti, non neonati…
Englund vs Pileggi: un confronto dall’esito tutt’altro che sbilanciato nei confronti di Horace Pinker, villain con le carte in regola, ma appena agli inizi nel cimentarsi a modo suo su di un campo da gioco (onirico) che il collega veterano Freddy Krueger conosceva bene già da anni. Nonostante i cambiamenti subiti da Freddy nel corso della saga, evidentemente il pubblico non era poi così pronto (come zio Wes sperava) a mollarlo per “salire sul carro” di Horace…
Un film a cui servirebbe un remake? Anche se, almeno in parte, ai tempi era già stato visto come tale la mia scelta cade comunque su “The Thing” del 2011 (pur se Harbinger Down, volendo, lo si poteva già considerare come remake non ufficiale).
Bel film sottovalutato che guardo con occhio nostalgico del tempo che fu.