Nuovi Incubi Halloween Challenge Day 22: La Morte Corre sul Fiume

Regia – Charles Laughton (1955)

Il Day 22 è dedicato agli horror in bianco e nero, e voi capite che il ventaglio di scelte a disposizione, nel cinema classico e in quello contemporaneo, è immenso. Ho avuto più di un paio di problemi a decidere il film, e poi ho visto la luce, il Signore mi ha parlato, mi ha raccontato una buffa storia di odio, amore, mani sinistre e destre e mi ha fatto capire che, su queste pagine, ancora non era mai apparso The Night of the Hunter, titolo originale (La Morte Corre sul Fiume non mi dispiace, ma sembra un western) del capolavoro southern gothic di Laughton. Essendo del 1955, questo è anche un mezzo complehorror.
Ultimamente, le recensioni su Letterboxd mi hanno un po’ stufato, perché pare diventata una gara a chi fa la battutina più sagace. Si trovano, tuttavia, ancora delle perle sparse, come per esempio una relativa proprio a questo film, che dice più o meno così: “Immagina dirigere un unico film ed è il miglior film mai fatto”.
Al di là dell’affermazione iperbolica, mi pare sintetizzi alla perfezione cos’è The Night of the Hunter.

Laughton è stato infatti un grandissimo attore, anche molto presente nei classici horror Universal e RKO degli anni ’30: era tra i protagonisti di The Old Dark House e ha interpretato il dottor Moreau in Island of Lost Souls, tra le altre cose. In generale, ha avuto una lunga e proficua carriera davanti alla macchina da presa, anche se è scomparso a soli 63 anni.
Da regista, ha firmato soltanto il film di cui parliamo oggi: non sarà il “miglior film di sempre”, ma La Morte Corre sul Fiume fa parte di quel ristretto gruppo di opere che qualsiasi appassionato di cinema, critico o addetto ai lavori inserisce nelle  classifiche personali. Gran parte dell’horror contemporaneo gli deve qualcosa, sia essa una suggestione estetica, narrativa o di atmosfera. La sua presenza, nel cinema che è arrivato negli anni successivi alla sua uscita, è così pervasiva da essere diventata quasi subliminale: c’è, ma non te ne accorgi perché il film non ha soltanto influenzato, ha definito il linguaggio dell’orrore, dell’incubo, del gotico rurale, soprattutto di ambientazione sudista, ma non solo. Non se pensiamo a quanto il personaggio del predicatore Powell (Robert Mitchum), quello della vedova Harper (Shelly Winters) e i due bambini in pericolo siano ormai sedimentati in un immaginario che abbiamo imparato a definire “kinghiano”.

Il film è tratto dal romanzo omonimo di Davis Grubb a sua volta vagamente ispirato alla vita di Harry Powers, accusato di aver ucciso almeno sette persone all’inizio degli anni ’30 e condannato a morte nel 1932. 
Racconta di un predicatore assassino (oggi sarebbe definito serial killer) che, durante la Grande Depressione, se ne va in giro per il West Virginia  a sedurre, sposare e poi uccidere vedove non propriamente facoltose, ma abbastanza benestanti da avere da parte un gruzzolo di cui lui si può appropriare. 
Lo arrestano per un furto d’auto e si ritrova a dividere la cella con Ben Harper, condannato a morte per rapina a mano armata e omicidio, che lascia due figli e una giovane moglie, e soprattutto non ha mai rivelato a nessuno dove ha nascosto i soldi del bottino. 
Powell si presenta così, dopo l’impiccagione di Ben, nella cittadina dove vivono sua moglie e i suoi due bambini, John e Pearl, con l’intenzione di insinuarsi nella vita della giovane vedova e scoprire il luogo in cui si trova il denaro. 

C’è un elemento fondante, nella struttura narrativa di The Night of the Hunter, che allontana il film dai territori del noir o del thriller e lo trascina a fondo, negli abissi oscuri del cinema dell’orrore: Powell non è un semplice cacciatore di dote. Certo, per lui i soldi sono importantissimi, gli servono per campare e per continuare a fare ciò che più gli piace: uccidere donne innocenti e un po’ sprovvedute, che lui vede come la perfetta incarnazione del peccato. Powell è un uomo avido, ma prima che avido, è malvagio. Come poi si dirà anche di un altro cattivo eccellente interpretato da Mitchum, il Max Cady di Cape Fear, Powell non è del tutto appartenente a questo mondo, è una creatura di confine, dai tratti quasi demoniaci: è un orco, un uomo nero, un’ombra della strega un quarto di secolo prima di Michael Myers e di tutti i suoi esimi colleghi.
E, in effetti, The Night of the Hunter è un horror gotico fiabesco, non soltanto per l’ingombrante presenza di uno spauracchio come Powell, ma anche perché gran parte degli eventi cui assistiamo sono filtrati dallo sguardo dei due bambini protagonisti, i due orfanelli erranti inseguiti da un mostro. 

Mitchum capisce alla perfezione il compito assegnatogli da Laughton, e interpreta il personaggio con evidente soddisfazione. Ha l’aria di un grosso felino che gioca con le sue vittime, è affascinante, sensuale (“Non puoi vendere Dio, se non sei sexy”, pare abbia detto Laughton a chi gli sconsigliava Mitchum per la sua carica erotica), addirittura simpatico, quando vuole. E poi, in un lampo, si trasforma nel più sadico e feroce predatore che abbia mai calcato il suolo terrestre. 
Verso la fine, quando viene colpito dalla fucilata della signora Cooper (Lillian Gish), emette dei versi che non sembrano neanche umani.
A fargli da ottima spalla, almeno finché il suo personaggio resta in vita, troviamo Shelley Winters, che ha sempre ricordato questa come uno dei ruoli più intensi della sua carriera. 
Laughton, sul set, era molto insicuro, molto gentile, molto aperto ai suggerimenti, e gli piacque l’idea di Winters di interpretare la vedova Harper come una mosca attratta dal ragno che sta per divorarla. 
Il concetto del ragno tornerà poi nella sequenza più onirica del film, quella della fuga in barca lungo il fiume di Jack e Pearl. 

E, a proposito di andamento onirico, The Night of the Hunter è girato come un sogno: Laughton, che da attore non ne sapeva poi tanto di macchine da presa, obiettivi e pellicole, comunicò al suo direttore della fotografia, Stanley Cortez, che aveva intenzione di restaurare la nitidezza e i contrasti tipici del cinema muto. Lo stile del film è quindi espressionista, in un momento storico in cui il cinema hollywoodiano si stava muovendo in una direzione diametralmente opposta.
Angolazioni sghembe, piani che sembrano sempre tagliati ai lati per simulare la visione parziale dell’ambiente da parte di un bambino, silhouette stagliate nel cielo o proiettate sulle pareti, fonti di illuminazione anti naturaliste, e persino un uso concettuale della luce che remava contro la percezione dell’epoca: la scena in cui la signora Cooper aspetta con il fucile in grembo che arrivi Powell, è concepita al contrario: lei è in ombra, il bene, Powell invece è sotto la luce, il male.
Ce ne sono un’infinità di questi dettagli sparsi nel corso del film, che testimoniano un approccio al racconto per immagini rivoluzionario e originalissimo: se si guarda il film togliendo il suono, che è comunque un peccato perché ha un accompagnamento musicale divino, la trama risulta perfettamente chiara, senza neanche l’ausilio dei dialoghi. È una storia narrata dalle inquadrature, dalla disposizione dei personaggi in campo, dalla gestione dello spazio, del fuori fuoco, dei piani che si alternano. 

Ci sarebbero milioni di cose da scrivere ancora su questo capolavoro: il bellissimo ritratto della capacità dei piccoli di resistere ai colpi inferti dalla vita, la differenza tra una persona di fede sincera come la signora Cooper e il fanatismo malato di Powell, la maestosa e conturbante bellezza di alcune inquadrature, quella sott’acqua in testa a tutte, ma anche quella di Winters sdraiata sul letto poco prima che Mitchum la uccida, la satira della piccola borghesia e dei suoi valori biechi e reazionari, rappresentati dall’altra villain del film, Icey Spoon, l’uso incredibilmente efficace della musica, in due scene soprattutto, quella già citata dei due bambini sul fiume, col canto di Pearl che passa da diegetico a extradiegetico con una morbidezza ipnotica, e quella da pelle d’oca della signora Cooper che armonizza l’inno cantato da Powell. 
E ho appena grattato la superficie. 
Quando uscì, The Night of the Hunter fu un insuccesso, di pubblico e critica, così doloroso per Laughton da farlo decidere di abbandonare la regia. A oggi, è al secondo posto, dietro Citizen Kane, nella classifica dei 100 film migliori di sempre dei Cahiers du Cinéma, a imperitura memoria di quanto siano volatili i nostri giudizi e di quanto riusciamo a essere irrimediabilmente stupidi. 

6 commenti

  1. Avatar di Fabio

    Giorno Lucia,per la challenge di oggi mi sono particolarmente divertito,dato che ho rispolverato fuori dalla mia libreria,un vecchio film della universal,tecnicamente appartenente al genere avventuroso,ma che al suo interno un elemento inquietante c’è l’ha eccome,amo i film sui continenti scomparsi o le civiltà perdute,e le creature all’interno di questo film,direi che valgono come mostri universal,per qui ho scelto gli inquietanti uomini talpa del film “The Mole People” del 1956,di qui si vociferava un paio di anni fà la voce di un remake in cantiere,chissà…..

  2. Avatar di Frank La Strega

    Wow! Filmone!

    Day 21: “Ma come si può uccidere un bambino”

    Day 22: “Frankenweenie” (ma i primi B/N che mi vengono sempre in mente sono “Ed Wood”🩷 e “Freaks”🩷)

    😘

  3. Avatar di Christian Princeps
    Christian Princeps · · Rispondi

    “La morte corre sul fiume ” grande film davvero ! Per la challenge di oggi opterei per “la città dei morti”( 1960) di Moxey, classico perduto,primo( e di gran lunga migliore) film della Amicus. Opera veramente inquietante e suggestiva,che ruba uno dei suoi aspetti più perturbanti( la ragazza bella e spigliata , che sembrerebbe la protagonista del film , uccisa quasi a metà pellicola) allo “Psyco” hitchcockiano. Un appello affinché lo editino in dvd o blu ray anche in Italia…

  4. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · · Rispondi

    Che autentico capolavoro sei andata a ripescare e ottimamente recensire (un vero peccato che il flop di allora abbia scoraggiato Laughton dal proseguire e affinare le sue doti nella regia)…

    la mia scelta in bianco e nero per oggi è La Maschera del Demonio 😉

    1. Avatar di Lucia

      Che è sempre la scelta migliore, in ogni circostanza

  5. Avatar di Luca

    Capolavoro ENORME

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