Found Footage: The Making of the Patterson Project

Regia – Max Tzannes (2025)

Ormai vi sarà venuto a noia, ma io continuo a ripeterlo: sono i piccoli film inattesi, quelli che spuntano dal nulla senza annunci roboanti fatti mesi prima, senza fanfare, senza martellante pubblicità sui social, che continuano a tenermi agganciata all’idea di scrivere qui sopra. Tutte le volte in cui penso di smettere, che non ne valga la pena, che cosa cazzo ci sto a fare a perdere tempo alla mia età, arriva all’improvviso un micro horror e io mi sento in dovere di parlarvene.
In questo caso particolare, devo ringraziare un’amica, perché mi ha ricordato dell’esistenza di Found Footage (lo abbrevieremo così, se non vi dispiace). Io me lo ero procurato col pensiero laterale e poi lo avevo lasciato in un angolo ad ammuffire. Tra l’altro, vi consiglio di seguirla, si chiama Simona Tell ed è bravissima.
Fatti i debiti omaggi, cosa è esattamente Found Footage?
In parte lo dice il titolo stesso, in parte il titolo stesso è ingannevole. Mettiamola giù il più semplice possibile: è una horror comedy che racconta la realizzazione di un minuscolo film indipendente, autofinanziato e girato tutto in una sola settimana. Il film è un found footage, dall’inequivocabile titolo di The Patterson Project, e ciò a cui noi assistiamo è il suo backstage, dalle prime fasi di pre-produzione alle riprese vere e proprie.

Dei documentaristi francesi stanno lavorando a una serie dedicata ai piccoli filmmaker indipendenti e contattano un aspirante regista, Chase (Brennan Keel Cook) per stargli appresso mentre tenta di girare il suo esordio, un found footage su tre a loro volta aspiranti filmmaker che si imbattono nel bigfoot.
Si comincia con la ricerca dei finanziamenti, si passa poi al piano di lavorazione, ai provini e poi, tra mille difficoltà e momenti di sconforto in cui sembra che sia tutto finito ancor prima di cominciare, si arriva sul set, una cabin in the woods di proprietà dei genitori dell’assistente alla regia, nonché fidanzata di Chase. Quello che non sappiamo, è che la accogliente e perfettamente adatta allo scopo baita, è in realtà una comproprietà e ha una stanza segreta. I nostri la aprono non appena arrivano e la usano per metterci l’attrezzatura. Peccato che, così facendo, evochino un demone.
E qui la faccenda si fa interessante, perché come si fa a distinguere un’infestazione demoniaca dai casini normali che capitano nel corso delle riprese di un film a micro budget? Esatto, non si può.

Prodotto, tra gli altri, anche dai Radio Silence, che prima di diventare le potenze che sono oggi, si sono fatti un discreto mazzo nel fango e nella polvere delle produzioni miserabili, Found Footage è un delizioso ed efficacissimo ibrido tra parodia, lettera d’amore e horror vero e proprio, pure abbastanza brutale, quando decide di esserlo.
Fa un uso superbo di tutti i meccanismi tipici del found footage e del mockumentary, sia da un punto di vista narrativo sia da un punto di vista meta-linguistico, con risultati sempre esilaranti: le soggettive, gli attori che devono anche essere operatori, la costruzione degli spaventi, l’ombra lunga di The Blair Witch Project che si estende su ogni operazione basata su filmati ritrovati, le telecamere traballanti, l’effetto mal di mare, i dialoghi improvvisati. Tutto è giocato sul filo sottile tra la presa in giro, anche spietata, anche cattiva, e un sincero e profondo rispetto per un filone che ha segnato l’horror del XXI secolo come pochi altri.

 Tuttavia, è a un ulteriore livello che Found Footage fa davvero breccia, e temo che non sia un livello così immediato o così comprensibile per chi non si è mai messo in testa di girare un film a basso o zero budget. Tzannes racconta con sincerità, passione, autoironia e consapevolezza le imprese di chi, armato soltanto di una fede cieca e di un coraggio suicida, decide di fare cinema senza avere alle spalle una produzione vera. C’è dell’eroismo in questa decisione, e nella sua messa in pratica, un elemento di epica che spesso viene associato a chi lavora con grandi mezzi, ma è presente anche (e soprattutto) in questi progetti a metà tra l’amatoriale e l’ambizioso. Si tratta di un’epica miserabile, che a volte sfocia nel ridicolo, nell’arrangiarsi con il pochissimo che si ha a disposizione, nel fallimento e nella rinuncia. Ma quando poi, dopo tutta la fatica, i disastri, i piccoli drammi quotidiani, hai in mano un film che è tuo, anche se magari non è riuscitissimo e soffre di ogni singolo limite di una realizzazione povera e disperata, l’orgoglio che ne deriva non è spiegabile e non credo sia neppure misurabile.
Più che essere una parodia affettuosa del found footage, il film di Tzannes è un’ode a questo tipo di esperienza così ristretta e così specifica, ed è quasi commovente per la precisione e l’amore con cui la mette in scena.

In particolare, traspare fortissima l’idea che fare un film non sia, dopotutto, una cosa seria, ma chi lo sta facendo la prende molto seriamente. È da questo contrasto che scaturiscono le scene migliori del film, dall’impossibile contraddizione tra l’impegno profuso e il risultato, tra l’ardore e, perché no, l’arroganza di un regista esordiente, e la realtà che non ne vuole sapere di piegarsi ai suoi desideri. Bisogna capire che, quando vi sedete a guardare un film costato meno di un milione (di dollari, di euro, non ha importanza), assistete a un miracolo, a un qualcosa che non doveva essere, che ha lottato per venire alla luce, e se è arrivato a voi un po’ sbilenco, non è colpa di nessuno, perché l’universo gli ha cospirato contro sin dal concepimento.
Tra espedienti da saltimbanchi, vere e proprie truffe ai danni di anziane finanziatrici, acrobazie con la telecamera per portare a casa una ripresa, infortuni, amori che finiscono e altri che cominciano, The Patterson Project viene portato a termine, e lì si scatena l’inferno, nel senso più letterale del termine.

La parte horror è, anche quella, perfetta, spaventosa, violenta e ad alto tasso di gore e spargimenti di sangue. Più che in zona strega di Blair, entriamo nei territori cari a Sam Raimi e al suo caos demoniaco di urla e corpi ridotti a grotteschi manichini posseduti da entità malefiche e, di conseguenza, da esse distrutti.
In meno di un’ora e mezza, Found Footage riesce a essere una commedia, una riflessione meta-cinematografica e un film dell’orrore potente e dal ritmo esplosivo. Difficile chiedergli qualcosa di più, eppure lui lo fa lo stesso, regalandoci una piccola galleria di personaggi e di relazioni tra loro, indimenticabili.
Forse è un po’ troppo settoriale per fare davvero breccia nel grande pubblico, ma credo che Tzannes e i suoi collaboratori lo sappiano e non se ne facciano un grande cruccio.
Per il momento, e aspettando un paio di titoli pesanti in arrivo a fine anno, è il miglior found footage del 2025, ma proprio a mani basse.

4 commenti

  1. Avatar di Blissard

    Interessante; l’avevo intravisto in giro ma il poster mi aveva scoraggiato

    1. Avatar di Lucia

      Guarda, è davvero un gioiellino. Non me lo sarei aspettato neanche io.

  2. Avatar di Giuseppe

    Me l’hai venduto! Ragion per cui mi metto seduta stante a pensare di lato anch’io 😉

  3. Avatar di meticulous8ee8436bd0
    meticulous8ee8436bd0 · · Rispondi

    Grazie per la segnalazione. Visto oggi, una vera chicca. Sottoscrivo ogni parola della tua recensione, che ho rigorosamente letto solo dopo la visione del film. L’empatia che la pellicola esprime nei confronti dei suoi protagonisti è commovente. Persino nei momenti più perfidi e parodistici il rispetto per la loro passione non viene mai meno.

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