Hallow Road

Regia – Babak Anvari (2025)

È arrivato quel momento dell’anno in cui la vostra affezionatissima si innamora di un film e procede, instancabile, a mo’ di rullo compressore, a stressare l’anima a chiunque conosca perché lo veda, causando poi svariati traumi in amici e parenti vari.
Qui a Babak Anvari si vuole bene dal 2016, l’anno in cui è uscito Under the Shadow. Da allora ha diretto altri due film e un episodio della bellissima serie Monsterland, di cui è stato anche produttore esecutivo. Non è mai, tuttavia, esploso per davvero, questa tendenza sembra continuare, dato che Hallow Road non se lo stanno filando in tanti. Da noi è da poco arrivato a noleggio su varie piattaforme, con il sottotitolo “Corsa contro il tempo”, che non c’entra nulla con le atmosfere del film e fa pensare a un action thriller come se ne vedono tanti in giro.
E invece no: non è un thriller ma un horror, che per comodità definiremo psicologico, e di azione non ce n’è neppure un grammo, dato che tutta la vicenda si concentra in ottanta minuti di telefonata in tempo reale.

Sentire lo squillo del cellulare nel cuore della notte è, credo, una paura condivisa da tutti, perché non può portare altro se non cattive notizie. È esattamente ciò che accade a Maddie (Rosamund Pike) e Frank (Matthew Rhys) quando, dopo una lite dovuta a motivi che capiremo in seguito, ricevono una telefonata, a tarda ora, dalla loro figlia Alice.
La ragazza dice di aver appena investito una persona con la macchina, di non sapere se la vittima dell’incidente sia viva o morta, e di trovarsi in una strada sperduta in mezzo al bosco, la Hallow Road del titolo.
Com’è logico, i genitori si affrettano a raggiungerla, rimanendo collegati con lei in viva voce durante l’intero tragitto.
Dopo un brevissimo prologo ambientato a casa di Maddie e Frank, si entra quindi in macchina, ci si mette in viaggio e dall’abitacolo non si esce più fino alla fine del film, e Hallow Road è tutto qui: siamo chiusi, confinati in questo spazio ristretto, ad assistere ai tentativi dei due protagonisti di tranquillizzare Alice, a guardarli mentre cercano soluzioni per tirarla fuori dall’enorme guaio in cui si è cacciata, e a farcela addosso quando le cose iniziano a prendere una piega bizzarra.

Hallow Road è un film all’apparenza molto semplice: due persone e una voce all’altro capo del telefono, una macchina in movimento, il navigatore che segnala la distanza che ancora manca all’arrivo; però lo sappiamo bene che più i film sembrano semplici più sono in realtà molto complicati da gestire, soprattutto se sono così statici, se i due personaggi principali non si muovono. Si spostano su un veicolo in movimento, certo, ma loro se ne stanno seduti tutto il tempo e, a parte quello iniziale, al quale neppure assistiamo, non ci sono avvenimenti di rilievo. Il problema principale di un’impostazione di questo tipo è che il nucleo della storia si sta svolgendo altrove, su Hallow Road, appunto, mentre noi ci troviamo a chilometri di distanza dal luogo. La nostra unica guida è la voce di Alice, della quale conosciamo il volto soltanto attraverso la foto presente sullo schermo del cellulare di sua madre; siamo inchiodati al punto di vista dei genitori, abbiamo di conseguenza una percezione molto parziale dei fatti: sappiamo solo quello che Alice sceglie di raccontare.
Quando, per qualsiasi motivo (la ragazza si allontana un istante, c’è un problema nella ricezione, si entra con la macchina in una zona senza campo) la comunicazione si interrompe, siamo all’oscuro di tutto.

Anvari, per ovviare ai diversi limiti che le scelte radicali della sceneggiatura (scritta non da lui, ma da William Gillies) impongono alla messa in scena, si affida innanzitutto a due attori in forma straordinaria, che devono reggere da soli l’intera struttura del film e gestire due personaggi complessi, a tratti poco gradevoli e respingenti, alle prese col dilemma morale peggiore della loro vita e con due soluzioni opposte al problema. Pike (ma non penso sia una novità) e Rhys sono annullati nei rispettivi ruoli, si portano a spasso il film con una classe e una presenza che sbalordiscono a ogni scena, a ogni battuta, a ogni minima espressione del volto. Più nervoso ed esasperato Rhys, sin dai primi minuti; sempre misuratissima Pike. Vederla perdere progressivamente il controllo, sgretolarsi sul sedile del passeggero, tra gli scoppi d’ira del marito e la disperazione della figlia, è davvero uno spettacolo.
E qui permettetemi una piccola lamentela: non capisco come sia possibile che una delle attrici migliori della sua generazione non sia ancora la più famosa e amata sulla faccia della terra. Rosamund, dai retta a me: fai altri film dell’orrore che qui il tuo talento immenso sappiamo riconoscerlo.

Ho già detto tante volte che il montaggio non è soltanto attaccare le figurine, ma rappresenta il respiro del film, il suo andamento, ciò che di solito determina se vi annoiate o vi divertite a vedere quanto accade sullo schermo. Ecco, in un film così statico, il montaggio ha un ruolo fondamentale, perché sono gli stacchi a dare il ritmo e ad agire in maniera tale da non far percepire allo spettatore l’assoluto immobilismo della situazione; un ulteriore elemento di difficoltà è anche dovuto al fatto che, trovandoci all’interno di un abitacolo, la macchina da presa stessa non ha troppa libertà di movimento. E tuttavia, non la puoi risolvere mettendoti a tagliare come un pazzo, a far durare pochissimo le inquadrature. La suspense richiede dei tempi precisi, delle attese che scatenino reazioni emotive ben definite. È quasi una faccenda di ingegneria applicata al cinema. E il montaggio di Laura Jenning (già all’opera in un altro film in cui la scansione e il ritmo erano la chiave di tutto, Edge of Tomorrow) è perfetto, di una precisione millimetrica. Per esempio, guardate con attenzione una delle prime sequenze in auto, quando Maddie, che di mestiere fa la paramedica, cerca di far rianimare a distanza la vittima a sua figlia, e fate caso a come stacca sul volto di Pike, sulle sue mani, sui piani d’ascolto del marito, sulla strada riflessa nello specchietto, e poi sul cruscotto da cui proviene la voce di Alice. Fate caso alle durate, alle accelerazioni, a come il passaggio da un’inquadratura all’altra vi provoca ogni volta un sussulto d’angoscia.

Anvari poi, ci mette tutta la sua capacità di porre i propri protagonisti davanti al lato più oscuro e peggiore di loro stessi, anche se questa volta la sceneggiatura non è opera sua, è impossibile non notare la ricorrenza dei temi che gli sono cari dai tempi di Under the Shadow.
In Hallow Road, il soprannaturale se ne sta un po’ nascosto tra le pieghe di una storia che è terribilmente realistica, ma ha sempre lo stesso ruolo di portare a galla la vera natura dei personaggi o della società che li circonda, un ruolo di svelamento e agnizione. In questo caso, Anvari lo inserisce a tradimento, completamente inaspettato, sempre che di soprannaturale sia lecito parlare: non ci saranno infatti spiegazioni o chiarimenti di sorta, sempre perché il nostro punto di vista è legato a quello, limitatissimo, dei due protagonisti.
Bisognerà accettare ciò che accade senza pretendere per forza che vi sia una logica a noi comprensibile. Ma, se siamo appassionati di cinema horror, e quindi di stranezze, non penso sarà un problema.
Abbiate fiducia in Anvari e godetevi il viaggio in macchina e la telefonata più angoscianti della vostra vita.

Piccola comunicazione di servizio: lunedì non ci sentiremo perché questo fine settimana sarò al Birranthology a parlare di David Lynch insieme alla mia co-host di Nuovi Incubi Marika Paracchini, e al Conigliastro del podcast Carcassa.

4 commenti

  1. Avatar di Imma

    Grazie per aver parlato di questo piccolo gioiello che altrimenti non avrei mai cercato. Però adesso devo farmi una camomilla.

  2. Avatar di Lucia

    Una delle cose più stressanti dell’anno. Che ansia micidiale

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Dalla tua rece ricavo l’impressione di una storia avvincente “ai confini della realtà” (alla Rod Serling, per intenderci), il che è uno sprone ulteriore a intraprendere a mia volta questo poco tranquillo viaggio in macchina 😉

  4. Avatar di Frank La Strega

    Micidiale.

    Bravissimi tutti. Edge of Tomorrow, che citi, è un film fantastico.

    Per questioni mie mi trovo spesso a riflettere sulle relazioni. Anche mentre le vivo. Anche con la famiglia. In questo film è molto forte anche il modo in cui scopriamo come sono i protagonisti, che relazioni e dinamiche ci sono tra di loro ed è tutto davvero realistico, fragile e umano. Questo film è una mazzata e al tempo stesso è anche molto “sensibile”, complesso… Spero di essermi spiegato.😅

    Molto bello!