The Ugly Stepsister

Regia – Emilie Blichfeldt (2025)

Mia nonna era solita dire che chi bella vuole apparire, molte pene ha da soffrire. Non so se il proverbio usi proprio queste esatte parole, ma il concetto è quello; mia madre le andava dietro a ruota, e quindi sono stata sottoposta a svariate torture per poter apparire bella, cosa che in realtà non mi è mai riuscita benissimo. Dopo un po’, mi sono rassegnata. Mia nonna mai, mia madre credo a questo punto sì, ma non ne sono convinta.
Che poi, bella per chi? Bella come? Bella secondo quali parametri? Ero piccola, però un paio di domande me le facevo. Sta di fatto che ho passato il 90% della mia esistenza a sentirmi inadeguata. Non è colpa di mia madre o di mia nonna, perché anche a loro è toccata la stessa sorte. È una specie di tara ereditaria che si trasmette da generazioni.
Per questo motivo credo che The Ugly Stepsister non vada preso a cuor leggero: bussa un po’ troppo vicino casa.
Che sia una rilettura della fiaba di Cenerentola, raccontata però dal punto di vista di una delle due sorellastre, Elvira, lo sappiamo più o meno tutti, quindi è inutile raccontarvi la trama. Utile è invece raccontarvi quello che succede a Elvira. 

Elvira (Lea Myren) arriva in una casa non sua, in un ambiente ostile, con quella gran culo di Agnes, poi Cenerentola, che fa parte del ristretto e selezionatissimo gruppo di persone naturalmente belle. La famiglia di Elvira non ha un soldo; sua madre ha sposato il padre di Agnes sperando di fare il colpaccio, ma quando l’uomo muore, la sera stessa delle nozze, si viene a sapere che era uno spiantato squattrinato pure lui. Bloccata nel fatiscente castello, Elvira si deve accollare la sopravvivenza della sua famiglia, che significa trovare un marito facoltoso. Ma ai futuri mariti facoltosi, soprattutto se principi, le ragazze come lei non piacciono: è grassottella, porta l’apparecchio, ha il naso troppo grosso, è goffa. Ha anche in testa una quantità pericolosa di idee sull’amore romantico ed è innamorata, senza averlo mai visto, del principino locale. Sì, quello che dà il famoso ballo.
Per Elvira, ma anche per sua madre e per la sua sorellina più piccola, che è ancora troppo giovane per accasarsi, è l’occasione della vita. Solo che a Elvira, per renderla presentabile e appetibile, tocca dare una sistemata.
E qui comincia una sequenza di torture medievali per rendere l’aspetto di Elvira quello giusto. Torture cui lei si sottopone con stoica sopportazione, pur in mezzo a indicibili sofferenze.
Ovviamente, dato che di Cenerentola parliamo, siamo consapevoli di come andrà a finire. Il che rende tutto il film ancora più triste.

Non è tanto il cambio di prospettiva, che abbiamo già visto parecchie volte in ambito di rivisitazioni cinematografiche fiabesche, a rendere The Ugly Stepsister uno degli horror più interessanti del 2025; è più una questione di come la regista esordiente gioca con il concetto di bellezza, con la sua assenza e con quello che siamo disposte a fare a noi stesse per raggiungere un ideale che in realtà si allontana quanto più ci si illude di avvicinarsi a esso, per il semplice fatto che non è reale, non esiste, è un trucco, un escamotage per tenerci al guinzaglio. 
Ed è anche una preziosissima merce di scambio, una base su cui fondare colossali fortune in denaro: dal rudimentale chirurgo plastico che “aggiusta” Elvira, alle due megere che addestrano le ragazze per essere leggiadre e accalappiare quanti più buoni partiti possibili al ballo. Tutti hanno qualcosa da guadagnarci, tranne la povera Elvira, che spera di trovare il grande amore, e al massimo si becca una tenia. 
Insomma, io lo so che il film è stato paragonato da più parti a The Substance, perché ci va giù con la mannaia sul body horror, però, come impianto concettuale, mi ha ricordato parecchio The Neon Demon.

Racconta infatti un mondo in cui la bellezza “non è tutto, è l’unica cosa”, e in cui conquistarla diventa l’obiettivo principale dell’esistenza della protagonista, secondo lo schema privo di sfumature della storia originaria, cattiva perché brutta e invidiosa; secondo la lettura che ne fa Blichfeldt, impossibilitata ad agire altrimenti, condannata a essere invisibile (e povera, non dimentichiamolo, perché è fondamentale) o a modificarsi per essere accettata.
È anche molto buona l’intuizione di presentarci Elvira, nelle scene iniziali del film, come una creatura gentile e affabile, ma soprattutto sana; non avrà il nasino alla francese, ci sarà qualche rotolo di troppo sulla sua pancia, e l’apparecchio la farà vergognare di sorridere, ma sta bene. Non appena inizia il processo di trasformazione, il suo corpo inizierà a cedere, a marcire dall’interno, quasi che questo sospirato, irraggiungibile, fondamentale ideale di bellezza sia un parassita che se la divora viva.
Nel calvario di Elvira, Cenerentola è poco più che una comparsa, un elemento di disturbo che se ne sta lì a rovinare i piani della sorellastra, un accidente, un cataclisma naturale. 
Ha molta più agenda il personaggio della sorella minore, Alma, ragazzina che reagisce con sacro terrore all’arrivo delle sue prime mestruazioni perché sa cosa la aspetta da lì in poi, e unico essere dotato di raziocinio e bussola morale dell’intero mucchio. 

Dicevamo che The Ugly Stepsister non va preso a cuor leggero, non solo per le implicazioni dolorose a livello emotivo e psicologico, ma anche perché è un film volutamente ripugnante. Blichfeldt non ci consente mai di distogliere lo sguardo dalle procedure inferte a Elvira e da quello che accade al suo corpo nei mesi precedenti il ballo e nel giorno a esso successivo. Essendo un film molto concentrato sulla sua protagonista e il suo universo interiore, le sequenze splatter non sono tante, ma sono dettagliate e non hanno alcuna pietà di noi. Sul finale poi, c’è un momento così insistito, lungo, disgustoso, che ho dovuto coprirmi gli occhi con una mano, e se è vero che io sono una cagasotto, non sono una persona impressionabile. Quindi statevi ben accorti che il film mena. Se avete problemi con tutto ciò che concerne cibo, vomito e parassiti intestinali, pensateci due volte, e in ogni caso, guardatelo lontano dai pasti. 
Anche perché Blichfeldt è precisissima nella messa in scena, geometrica e quadrata. La sua macchina da presa se ne sta lì, piantata a terra, e non vi concede mai il taglio misericordioso. Al contrario, va a fondo, non stacca, indugia e resiste fino a quando diventa insostenibile. 

Sono rimasta piacevolmente sorpresa da quanto poco Blichfeldt utilizzi il linguaggio fiabesco per raccontare questa storia che da una fiaba è tratta: è relegato giusto a un paio di sequenze di natura onirica (film mentali che si fa Elvira sul coronamento del suo sogno d’amore) e c’è una bellissima citazione da Il Labirinto del Fauno, ma per il resto, il film è cupo, ruvido, molto parco nell’uso dei colori e con un’anima squisitamente gotica. 
Credo si sia capito che la vostra affezionatissima, anche quest’anno, si è innamorata.
Chiuderei ringraziando Shudder di esistere: è grazie a questa piattaforma se un piccolo film norvegese ha riscosso tanta attenzione a livello internazionale. Shudder lo ha portato in sala negli Stati Uniti e adesso in streaming. Sta facendo un lavoro, sull’horror non americano, davvero enorme. 

13 commenti

  1. Avatar di Austin Dove

    Potrei vederlo. Sembra molto interessante

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Mi sembra un’ottima “fiaba” nera con più di uno spunto di (tristissima) riflessione, ragion per cui lo metto immantinente in lista…

  3. Avatar di Jack

    appena ho visto il trailer mesi fa ho pensato “in attesa che Lucia recensisca” 🙂

    ma per recuperarlo??

    1. Avatar di Lucia

      Sta su Shudder, che per fare l’abbonamento devi superare una serie di prove tipo L’ultima crociata. Altrimenti, pensiero laterale!

  4. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Belle considerazioni. L’ho recuperato senza sapere cosa aspettarmi e ancora non l’ho visto, la tua rece mi invoglia molto

    1. Avatar di Lucia

      A me è piaciuto tantissimo, ci sto ancora pensando, ma non mangerò per i prossimi tre mesi.

    2. Avatar di Jack

      sono in affannata ricerca posso chiederti dove?

      1. Avatar di Lucia

        Allora, io a Shudder sono abbonata, però mi dicono uccellini vari che il film è facilmente reperibile nei torrenti.

        1. Avatar di Jack

          grazie provo

        2. Avatar di Jack

          Trovato e visto, devo riprendermi

  5. Avatar di alessio

    C’è anche una via di mezzo quando si sceglie di rielaborare i topoi di una fiaba: una terza scelta tra un terremoto come quello che generò nei Settanta Angela Carter o, se ti chiami Disney, gettando al cesso 200 mln per scontentare tutti e non raccontare niente se non additare il tuo pubblico come un povero scemo. Insomma, c’è una via che è a metà strada tra rivoluzione e stupidità ed è quella che abbiamo visto praticare a Perkins o, adesso, alla Blichfeldt: rivisitare una storia, guardando all’attualità e utilizzando formule linguistiche, formali ed espressive originali senza trattarci da trogloditi reazionari adepti della cancel culture. In questa versione di Cenerentola c’è anche un po’ di Family Dinner (depurata della componente folk) e Starry Eyes (ma a digiuno del demoniaco): una versione e idea di favola molto distante da quella che ci ha raccontato Garry Marshall o con cui ha vinto l’Oscar Baker ma altrettanto affascinante e difficile da dimenticare.

    1. Avatar di Lucia

      Secondo me, ma è un’impressione, magari sbagliata, Perkins mantiene ancora qualche elemento fiabesco nel suo film, Blichfeldt, al contrario, li abbatte uno dietro l’altro, relegandoli alle ingenue visioni di Elvira. Quello che rimane è lo scheletro originario della fiaba, nudo e crudo.

      1. Avatar di alessio

        Un po’ sì e un po’ no; la scena del ballo che poteva essere presentata come la presentazione e debutto nella società delle ragazze, magari raccontato con gli occhi di Elvira (come accade per Natasha in Guerra e pace) e che poteva dargli una parvenza di elemento fiabesco, ma solo perché filtrata così dall’esperienza vissuta da Elvira, mi sembra si sia invece voluta raccontare con elementi fiabeschi veri e propri. Poi è vero, il fiabesco è relegato a brevi inserti, c’è questo gioco della Blichfeldt, che inserisce alcune scelte sia visive che narrative (ci metto anche il gioco meta di Elvira che legge il libro di poesie) per ricordarci che siamo sempre dentro una fiaba, caso mai lo dimenticassimo; e credo che in questo rientri la scelta di concludere il film con la parola “fine” come ogni vera fiaba richiede.