
Regia – Ryan Coogler (2025)
Aiutatemi voi a dire quanto è bello Sinners perché a me manca la favella. E pensare che non avevo idea di cosa fosse, perché il trailer è decisamente ingannevole e lo fa sembrare un action coi vampiri che ha, come unica particolarità, il fatto di essere ambientato nel Sud degli Stati Uniti negli anni ’30. Già di per sé, questo non è poco, chiariamo: è il motivo per cui sono andata a vederlo, data la mia nota debolezza per tutto ciò che può essere definito Southern Gothic. Ma niente vi può preparare a Sinners, neanche se io ci scrivessi un saggio sopra, cosa che non sono in grado di fare perché mi mancano gli strumenti culturali.
Per rendere la cosa più semplice possibile, nella seconda parte, diventa un film di John Carpenter, un western d’assedio violentissimo coi vampiri che spuntano da ogni angolo; c’è persino la scena del test de La Cosa, però con uno spicchio d’aglio come discriminante per capire chi è infetto e chi no.
Potrei chiuderla qui, dirvi di andare a vederlo e di non considerare niente altro sia nelle sale in questi giorni, ma non basta, perché, prima di arrivare alla fase carpenteriana di Sinners, c’è un’ora abbondante di film. Ed è la parte migliore.
Sinners è la storia di due fratelli gemelli, Smoke e Stack, entrambi interpretati da Michael B. Jordan, che tornano sul Delta dopo aver passati anni a Chicago lavorando per Al Capone. Acquistano una vecchia segheria con l’intenzione di aprire un juke joint e inaugurarlo la sera stessa del loro arrivo. Assistiamo quindi a tutta la preparazione per la notta di alcol, musica e festeggiamenti, e poi al momento in cui i due gemelli, un gruppo di vecchi amici e parenti raccattati nel corso della giornata e la nutrita clientela, aprono finalmente il locale. Fila tutto liscio fino a quando non si presentano all’ingresso tre individui che chiedono di entrare. E voi lo sapete che quando qualcuno non può entrare senza permesso, c’è puzza di succhiasangue lontana un miglio.
L’intero film si svolge nell’arco di ventiquattro ore: dall’arrivo dei gemelli in città, all’alba del giorno successivo e ci fa entrare in contatto con una galleria di personaggi incredibili, raccontandoci, nel frattempo, la storia e la cultura di un popolo (anzi, più di uno) attraverso la sua musica.
Sì, perché in Sinners l’elemento musicale, inteso sia come musica diegetica che come colonna sonora di commento, è fondamentale, è il cuore di tutto il film.
Il centro del juke joint dei gemelli è il palco, sul quale si alternano vari musicisti, il chitarrista Sammie “Preacher Boy”, figlio del pastore locale e cugino di Smoke e Stack, il pianista e armonicista Delta Slim (Delroy Lindo), la cantante Pearline, e altri che scandiscono il ritmo della serata, dando corpo alla sequenza più bella e ambiziosa del film, un momento che di horror non ha nulla, ma è cinema fantastico in purezza: la musica che squarcia il velo tra presente, passato e futuro, mette i personaggi in contatto diretto con i loro antenati e con chi verrà dopo di loro, creando una sinfonia che fa dialogare tra loro persone distanti secoli attraverso i corpi che danzano, gli strumenti, le voci. Una scena così intensa, così ricca di dettagli, di colori, di movimenti e suoni che ti fa capire quanto il cinema abbia ancora tante cose da dire, quanto sia davvero l’arte popolare per eccellenza, in grado di sintetizzare in pochi minuti dei concetti che a parole richiederebbero volumi. Per questo i film hanno e, nonostante le varie aggressioni subite in questi anni da questa forma d’arte, continueranno ad avere un potere enorme.
Non è un caso se Sinners sta incassando uno sproposito negli Stati Uniti, smentendo per l’ennesima volta i pena funebri sul triste destino delle sale cinematografiche; basta che si dia al pubblico qualcosa per cui vale la pena di muovere il culo. Un tipo di esperienza che soltanto al cinema si può fare, e soltanto in una sala piena di persone, un qualcosa di collettivo e intimo allo stesso tempo.
Ecco, Sinners è esattamente questo.
Che Coogler fosse un ottimo regista, era chiaro dai tempi di Creed. Poi c’è stata la parentesi ostaggio della Marvel, ma lui è stato bravo e non si è lasciato stritolare da quell’ingranaggio come è invece accaduto ad altri suoi colleghi; anzi, lo ha sfruttato a suo favore, ha usato il credito ricevuto da parte degli studios per gli incassi di Black Panther e ha fatto il suo film, originale e complesso, un film che, se non ci fosse stato dietro il suo nome, non potrebbe mai essere finanziato. E non solo, si è pure assicurato lo sfruttamento dei diritti dopo un certo periodo di tempo. Oltre a essere un’opera splendida da ogni punto di vista, Sinners potrebbe anche rappresentare un punto di svolta nelle politiche produttive del cinema statunitense, una risposta alla crisi che comunque, è inutile negarlo, è presente, e anche un esempio per gli autori per rivendicarsi come tali, anche all’interno della catena di montaggio hollywoodiana. E infatti, se notate come riviste del calibro di Variety stanno parlando del successo del film, vi accorgerete che la reazione è di sospetto, condito anche da un certo allarme e dalla volontà di sminuire il trionfo commerciale di Sinners. Era dal 2019 che un film originale non andava così bene nel fine settimana d’apertura. L’ultimo era stato Us di Jordan Peele, e non credo sia una coincidenza.
Girato in pellicola (65mm, per la precisione) e usando due formati diversi, Sinners è costato circa 6o milioni di dollari e ha tutte le caratteristiche del blockbuster d’altri tempi: budget alto, ma non da prodotto interno lordo di un paese di medie dimensioni, grandissimi attori in campo in tutti i ruoli, anche quelli di contorno (la divina Wunmi Mosaku, al solito, si becca la parte più bella), una struttura ambiziosa, ma in grado di comunicare con qualsiasi spettatore e a più livelli di fruizione, altissima caratura tecnica e una sceneggiatura perfetta. Non è né un film di nicchia né un colosso che deve il suo successo al fatto di sedersi comodo su un qualcosa di preesistente e di già noto. È un’opera che si prende i suoi rischi, ha il coraggio compiere delle oscillazioni estetiche e narrative che di rado si vedono nel cinema di cassetta, eppure mantiene sempre un’identità fortemente popolare.
Funziona proprio per come riesce a racchiudere al suo interno tante anime diverse, tante esigenze diverse e ad amalgamarle in due ore di rara coerenza e compattezza. Già solo l’idea di usare un’ora intera soltanto per introdurre contesto e personaggi, ha un sapore radicale all’interno di un cinema contemporaneo che tende a sacrificare la narrazione pura e semplice per lo spettacolo muscolare e un po’ fine a se stesso, o all’ammiccamento a un pubblico consapevole.
Non che lo spettacolo muscolare manchi, anzi: arriva soltanto al momento giusto, quando si ha avuto il tempo di innamorarsi dei personaggi, di comprenderli a fondo, di conoscere questo mondo, e di capire per quale motivo valga la pena di lottare per preservarlo. Solo allora Coogler fa entrare in scena gli antagonisti soprannaturali (ci sono anche quelli naturali) del film, e scatena un’altra ora di azione violentissima e viscerale, con litri di sangue, un morto ammazzato e prosciugato ogni due secondi, spari, paletti nel cuore e il caro, vecchio terrore di un qualcosa di molto più grande e potente di te.
Ma, anche quando non si dovrebbe avere il tempo per riflettere o la nostra attenzione dovrebbe essere rivolta totalmente alla carneficina in campo, Coogler mantiene sempre fisso il fuoco sui personaggi e sul loro dramma, che è individuale e collettivo allo stesso tempo, il dramma di una comunità che tenta di preservare ciò che le appartiene contro una serie molto specifica e caratterizzata di aggressioni e appropriazioni varie. In questo, il vampirismo è una metafora perfetta. E persino i “cattivi”, possiedono una loro forma di complessità e di disperazione che li rende stranamente umani, stranamente vicini alle loro vittime, e a noi.
Non solo Sinners è la dimostrazione pratica che è ancora possibile fare un cinema viscerale, sensuale e caldo (infuocato, addirittura, in alcune scene), ma che la gente vuole vederlo, questo cinema.
Se non andate in sala vi vengo a prendere uno a uno.












Non gli avevo dato peso, ma incuriosito dalle tue 5 stelle su letterboxd sono andato ieri e non me ne sono pentito, grazie!!
Non mi divertivo così tanto sul delta del Mississipi dal duello di chitarre di crossroads
Vero che è una meraviglia? Horror dell’anno
Probabilmente il miglior film del 2025, un Dal tramonto all’alba ma che vuole e riesce a restituire un’atmosfera intesa come milieu, un ambiente come fattore ineliminabile e determinante anche in senso culturale. Personalmente, per quanto distante dalla nostra cultura, Coogler davvero è stato capace di trasmettere a noi qualcosa di lontano e consegnarcelo per darci così la possibilità di respirarlo (come era successo – per me – con Il Serpente e l’arcobaleno, Angel Heart o il Calhoun Day di Sharpen Object). Ma chissà quante cose che noi europei (e bianchi) non abbiamo colte (scrivendo di Stack e Mary Coogler non avrà forse pensato all’addio di Miles Davis a Juliette Greco?)… Perkins ci fa ballare con la morte Coogler con il diavolo. E allora balliamo!
Infatti ci mancano gli strumenti culturali per capirlo e discuterne fino in fondo. possiamo solo esseri contenti che questo film sia stato fatto e sia addirittura arrivato in sala da noi
Visto ieri. Ci sono andato praticamente al buio e sinceramente speravo in qualcosa di diverso dai vampiri, per i quali non impazzisco. Mi è piaciuto molto e la lunghezza non mi ha pesato affatto. La parte preparatoria, come tu sottolinei, è necessaria. La sequenza che giustamente esalti mi ha fatto piangere come un bambino. Non vedevo qualcosa di così coinvolgente e commovente al cinema da secoli. Però è l’unica mirabilmente fedele alla premessa di partenza, quello del musicista blues come potente medium, evocatore di spiriti passati, presenti e futuri. Anche la parentesi musicale all’esterno del locale mi ha fatto venire i brividi. In definitiva l’ho trovato un film comunque imperfetto e forse un’occasione persa, perché l’opera aveva un potenziale enorme che non credo abbia sfruttato appieno, perché ho trovato un po’ slegato il discorso musicale da quello horror, quello storico-razziale. Rimane un ottimo film, che vorrei rivedere in lingua originale.
Sì, anche io vorrei rivederlo in inglese perché secondo me il doppiaggio lo ha proprio ammazzato. Appena ne avrò l’occasione lo farò
Non mi aveva ispirato il trailer, ma ora gli voglio dare una chance
Certo che, se è così, allora il trailer ha proprio qualcosa di sbagliato. Non avevo nemmeno capito il genere.
In effetti, il trailer poteva portare fuori strada. Una strada che, invece, si dimostra del tutto degna di essere di essere percorsa (e bravo Coogler) 😉👍
Per la cassa di una chitarra resofonica piena di birra irlandese, liquore di mais, cotone, sangue e proiettili! Cosa ho appena visto al cinema!!!
Storia, intrattenimento, sesso, sangue, riflessioni, musica… Wow!
Crossroads transita per Vampires, per poi girare verso Fratello dove sei fino a qui…
Che figata! 🙂
Ciao, non so se ne sei già a conoscenza, ma hanno “scritto” un libro facendo vari copia e incolla dal tuo blog. Vorrei segnalartelo privatamente, ma non sono riuscito a trovare altri canali di comunicazione.
Ciao, innanzitutto, grazie della segnalazione. Poi se vuoi puoi scrivermi in privato su Instagram. Mi trovi come lucpatrizi