
Regia – Thortud Palsson (2024)
Ero convinta, quando è uscito The Witch ormai la bellezza di 10 anni fa, che dopo il successo dell’esordio di Eggers sarebbero arrivati nelle sale generici e convenzionali horror in costume in quantità industriale fatti alla maniera di. Mi sbagliavo, non è successo. Gli horror ambientati in tempi remoti sono sempre pochissimi, in parte per questioni di budget: la ricostruzione d’epoca è una cosa rognosa, ma la si può aggirare, proprio come fece Eggers nel 2015, scegliendo una location isolata e mettendo in campo pochi attori; il vero problema è che imitare Eggers è difficile, mentre è decisamente più comodo sistemarsi nel territorio di Ari Aster, e infatti i folk horror di ambientazione contemporanea, con grossi drammi di famiglia allegati, sono in piena proliferazione.
Un settore dove, al contrario, gli horror (o pseudo tali) in costume hanno conosciuto una certa fioritura è quello Nord europeo.
Qui abbiamo infatti un regista islandese, anche se in co-produzione con Irlanda, Regno Unito e Belgio, che ha un’ottima idea di partenza, non la sfrutta sempre nel modo migliore, ma a differenza di quanto leggerete in giro, non ha niente a che spartire con Eggers e con il suo modo estremamente caratterizzato di fare cinema.
In realtà, The Damned è molto più vicino a Carpenter, e in particolare a The Fog e a La Cosa.
Siamo nel XIX in una baia in mezzo al nulla, lontanissima dalla civiltà, e sede di una stazione di pesca gestita dalla giovane vedova Eva (Odessa Young). L’inverno è micidiale e c’è a stento del cibo per nutrire i pescatori lì residenti. Una mattina, mentre gli uomini preparano le barche per uscire in mare, una nave si va a infrangere su delle scogliere antistanti alla baia e chiamate “I Denti”. I pescatori, Eva e la governante Helga assistono impotenti al naufragio, e poi si trovano a dover prendere una decisione difficilissima: accendere dei fuochi di segnalazione sulla spiaggia per guidare i superstiti da loro o ignorare la cosa per preservare le scarse risorse. Scelgono la seconda opzione e non solo: il giorno dopo, la risacca porta a riva una cassa piena di carne di maiale ed Eva chiede ai pescatori di recarsi sul luogo del naufragio per vedere se ci sono altre provviste. Verrà fuori che di provviste non ce ne sono, ma in compenso ci sono dei sopravvissuti abbarbicati alle rocce. Finirà malissimo.
Oltre a essere un apologo morale che mette i suoi protagonisti di fronte a un problema che, di fatto, non ha soluzione, The Damned è un horror soprannaturale che mette in scena una creatura del folklore islandese, norvegese e, in generale, presente in quasi tutto il corpus mitologico dell’Europa del Nord. Si tratta del draugr, una sorta di morto vivente vendicativo, con diverse abilità magiche, tra cui quella di cambiare aspetto e di entrare nella mente delle sue vittime e costringerle a commettere atti violenti, contro gli altri e contro loro stessi.
La governante Helga mette in guardia Eva e gli uomini da questa entità malevola: la responsabilità nella morte dell’equipaggio della nave affondata li ha esposti alla vendetta dei morti, che trasformati in draugr, vagano per la baia e li uccideranno uno a uno.
Il draugr non ragiona, non ci si può venire a patti, è mosso soltanto dalla rabbia e non avrà pace finché non avrà ottenuto giustizia.
Insomma, siamo nella merda.
Il film, che è un esordio molto interessante anche se a volte un po’ soporifero, non specifica mai se la stazione sia infestata dal draugr o se la serie di eventi che seguiranno il naufragio sia soltanto un riflesso del senso di colpa delle persone. Gli stessi protagonisti oscillano in continuazione tra credulità e scetticismo, a seconda dell’età, della loro fede religiosa o delle rispettive gradazioni di pensiero razionale presenti in ognuno di loro: Helga, l’anziana governante, è la prima a parlare di draugr e morti viventi, mentre Eva, che è più giovane, non vuole neanche che la cosa venga diffusa tra gli uomini, già abbastanza scossi senza ci si mettano di mezzo creature soprannaturali. Il resto, però, lo fanno l’isolamento, la fame, i sospetti reciproci; andarsene da lì è impossibile fino al disgelo, con i pescatori che cominciano a stare male e a morire uno dopo l’altro, diventa anche molto complicato uscire a pesca per procurarsi da mangiare: “Nessuno si fida più di nessuno, ormai. E siamo tutti molto stanchi”, direbbe MacReady.
A differenza degli abitanti di Antonio Bay, che avevano deliberatamente causato il naufragio di Blake e compagni, i poveri disgraziati di The Damned, da un punto di vista morale, si trovano in una posizione con più sfumature, ma si sa che né il senso di colpa né le creature soprannaturali prestano attenzione alle sfumature. La nostra coscienza ci dice che abbiamo causato la morte di non si sa quante persone, le abbiamo derubate e, come se non bastasse, quando ci siamo resi conto che qualcuno di loro era ancora vivo, lo abbiamo lasciato annegare (e gli abbiamo anche dato una roncolata in fronte, a scanso di equivoci); il draugr, se diamo per acquisita la sua esistenza, è ancora più netto e draconiano, ma l’aspetto più riuscito del film è non dimenticare mai che in tempi disperati si fanno scelte disperate. Di conseguenza non c’è alcun compiacimento nell’osservare l’orribile destino di questa gente.
Nonostante l’ambientazione fredda, è un film molto partecipe e molto vicino a tutti i suoi protagonisti.
Molto bello esteticamente, con una regia che valorizza i luoghi spettrali e ostili in cui la storia si svolge, The Damned soffre di qualche problema di ritmo. Dura appena 90 minuti, ma la durata percepita è almeno di 190. Alterna sprazzi di violenza allucinata davvero efficaci, a momenti in cui si pianta lì e non va da nessuna parte. Forse il motivo è che la vicenda è, di base, davvero esile e Palsson, che è ancora inesperto, non è riuscito a rinforzarla abbastanza.
Si tratta comunque di un film che consiglio, soprattutto per tornare a valorizzare un po’ l’horror europeo, e perché il suo nucleo etico è davvero meritevole di tante riflessioni.
Riesce poi a essere piacevolmente sinistro senza mai scadere nello spavento a buon mercato. Odessa Young è bravissima e c’è pure il Mastino in un piccolo ruolo. Provate a dargli un’occasione.












Film molto debitore del Carpenter di Fog anche se l’assedio qui si dipana più come una metafora per rappresentare un conflitto interiore e il senso di colpa. È vero, il film zoppica un po’ nell’incedere ma è ben curato; ho trovato interessante la scelta di far guidare questa comunità di pescatori a una donna e farle prendere una decisione necessaria (?) ma poco compassionevole che, in fondo, per un certo immaginario, giudicheremmo più come una scelta di tipo “maschile”.
Il film è molto ben curato e ben recitato. Credo che soffra un po’ nel suo non voler mai andare full horror. Però il regista è promettente
Azz Lucia,90 minuti di durata…percepiti 190,davvero non saprei se questo dettaglio mi invoglia,se dovessi dargli una possibilita’,mi sa che dovro’ vederlo quando saro’ bello fresco,altrimenti il rischio sonno e’ alle porte!.
Io lo consiglio, anche perché magari quello che annoia me non annoia gli altri. Oggettivamente è molto ben fatto e ha una bellissima atmosfera.
Ho sempre trovato affascinante la figura del Draugr (ricordo che Roald Dahl, nell’antologia “Il libro delle storie di fantasmi”, aveva incluso il racconto Elias e il Draug), ragion per cui i 90 minuti effettivi di The Damned non dovrebbero arrivare a sembrarmi più dilatati di tanto 😉
Ach, mi son visto -i dannati- di Minervini invece! Scanta baucchi.
Beh, è affascinante anche lui.