Terrifier 3

Regia – Damien Leone (2024)

Non è vero che chi incassa ha sempre ragione: è una menzogna che vi raccontano quando vogliono farvi ingoiare merda e dire pure grazie. Però gli incassi hanno sempre un significato, e soprattutto bisogna considerare da dove si parte quando si arriva a totalizzare certe cifre impressionanti.
Noi Art il Clown qui lo seguiamo dal 2018, in ritardo rispetto alla sua nascita cinematografica, avvenuta ufficialmente nel 2008 con il corto The 9th Circle, ma prima che diventasse l’unica vera icona dell’horror contemporaneo. È inutile che scuotete la testa (vi vedo): Art è come Freddy Krueger ormai; arrivato al terzo film, con un quarto già annunciato, credo sia qui per restare. Non è una meteora come Victor Crowley, con il quale condivide parecchie cose, è un punto fermo nel variegato bestiario del nostro genere preferito.
Questo dipende da parecchi fattori, il più importante dei quali è, secondo me, lo sdoganamento dell’horror verso un pubblico più ampio che ha caratterizzato gli anni ’20: ai tempi di Hatchet, arrivare nelle sale e incassare la bellezza di 82 milioni di dollari era impossibile. Oggi si può. Non è quindi tanto una questione di numeri, ma di arrivarci, alla portata di così tanta gente, di non restare chiuso in un recinto ma di uscire dalla nicchia e diventare un prodotto culturale di massa.
Pur considerando quanto è cambiato il discorso intorno all’horror solo nel giro di cinque o sei anni, va detto che Leone è riuscito in un’impresa che ha del miracoloso. 

In questo terzo capitolo, ritroviamo Sienna (sempre interpretata da Lauren LaVera), cinque anni dopo i fatti del secondo, alle prese con le conseguenze dello scontro con Art. Siamo sotto Natale e la nostra final girl esce da un ospedale psichiatrico e va a vivere con gli zii e la cuginetta, mentre il fratello Jonathan ora è al college. Nel frattempo Art, dopo la rocambolesca resurrezione alla fine di Terrifier 2, si va a ibernare in compagnia di Vicky in un edificio abbandonato, ma è pronto a dare sfogo a tutto il suo proverbiale sadismo per un altro paio d’ore di mattanza.
Da un punto di vista narrativo, Terrifier 3 è tutto qui: uno slasher classico ma molto più violento della media. Poi ci sono tutti quegli elementi della mitologia di Art (e di Vicky e della Pale Girl) che Leone ha deciso di inserire col contagocce in ogni film, rendendo la faccenda molto confusa e rifiutandosi categoricamente di dare risposte definitive. È evidente che si tratti di lavori in corso: nessuno pensava che Art avrebbe avuto un tale successo da costruirgli intorno la bellezza di tre sequel, e quindi ci si arrangia per dare alla sua vera natura, alle sue origini e a quelle di Sienna, una lore un minimo stratificata, ma senza un progetto preciso. Non è una critica, anzi, fa parte di quel tornare ai personaggi dell’horror degli anni ’80, quelli senza un canone da rispettare a ogni costo, la cui storia veniva modificata di volta in volta a seconda delle esigenze del momento. 

Da un punto di vista estetico, Leone ha fatto dei giganteschi passi avanti rispetto al film precedente; certo, due milioni di dollari di budget sono parecchi di più dei 250.000 di Terrifier 2, e si vedono tutti, ma è proprio lui a essere migliorato tecnicamente. La sua regia non è più amatoriale: è rozza, sì, ma se non altro Leone dimostra di aver appreso i rudimenti della messa in scena e, avendo a disposizione qualche soldino, si diverte a costruire sequenze che non mi azzarderei mai a definire eleganti, ma di sicuro elaborate e interessanti. Prendiamo, per esempio, la scena migliore del film, quella ambientata al centro commerciale, in cui Art si spaccia per il tipico Babbo Natale da supermercato e comincia a distribuire doni ai bambini: c’è un senso di attesa del tutto assente nei capitoli precedenti, c’è un tentativo di costruire il racconto in maniera più sottile del solito, c’è una disposizione degli attori in campo un minimo studiata e geometrica. In altre parole, c’è vita oltre gli smembramenti. 
E non significa soltanto aggiungere personaggi o piazzare lì qualche allucinazione come aveva fatto in Terrifier 2, ma di avere la maturità di dare al pubblico qualcosa da guardare al di là delle sempre efferatissime e prolungate sequenze di omicidi. 

Leone ha fatto qualche piccolo progresso anche al montaggio, e non soltanto perché siamo scesi dai 138 minuti del secondo ai 124 di questo: il film cammina meglio, gli ottimi tempi comici dell’attore David Howard Thornton non sono l’unica cosa che tiene in piedi la baracca, ma vengono supportati da degli stacchi che, questa volta, sono abbastanza efficaci.
Basta pensare a quando Art origlia la conversazione di due ragazzi e reagisce alle loro battute. Devo ammettere di aver riso di gusto, e non solo perché Thornton è, al solito, bravissimo, ma perché le sue reazioni arrivavano al momento giusto.
Poi, il ritmo interno alle singole scene è sempre micidiale, i piani d’ascolto sono una tortura, le situazioni sono sempre reiterate allo spasimo. L’ho capito, Damien, che Sienna vede i suoi amici morti mentre cena con la famiglia, ma non è che ci devi perdere 10 minuti per farmelo capire, anche basta.
Resta la sensazione di un regista così innamorato del proprio materiale da non voler tagliare mai niente. Continuo a pensare che Leone abbia disperatamente bisogno di un montatore, e mi offro volontaria per Terrifier 4.
Te lo faccio gratis e ti esce fuori una scheggia di 90 minuti, Damien, te lo prometto. Ora toglimi le catene e fammi uscire dalla cantina, grazie.

In questo terzo capitolo, Art è molto più simpatico e divertente, e anche in questo è accostabile a Freddy Krueger, nel suo passare dallo spauracchio detestabile del primo capitolo all’adorabile canaglia di questo. Poi, a me terrorizza sempre, ma perché sembra fatto apposta per andare a grattare tutti i miei nervi scoperti. Il suo giocoso sadismo mi disgusta, la sua assoluta indifferenza nei confronti della vita umana mi mette in seria difficoltà: è come un bambino che smonta dei pupazzi, solo che questi pupazzi sono fatti di carne, e la sua malvagia finzione di innocenza l’ho sempre trovata raggelante.
È davvero un Buster Keaton venuto dall’inferno, Art, e c’è poco da fare gli schizzinosi: nell’inventarsi questo personaggio che percepisce gli esseri umani come oggetti da scomporre e ricomporre in grottesche deformazioni di ciò che resta dei loro corpi, Leone è stato geniale. Ha colto in pieno l’essenza di un’icona horror calata nel XXI secolo, quando il male, nella sua faccia più rivoltante e oscena, diventa un semplice materiale di consumo.
Art non uccide perché si sta vendicando di qualcosa, come Krueger, non uccide perché è un bamboccione un po’ rimbambito mai cresciuto come Jason. Art uccide perché non dà peso all’enormità dell’omicidio. Al di là tutto, e con la certezza che non sia proprio una cosa intenzionale, fotografa molto bene la percezione della violenza dei nostri tempi.

Sono tuttavia convinta che la saga di Terrifier non sarebbe stata così dirompente senza Sienna. È stato con il suo ingresso che il film è passato dall’essere un oscuro slasher ultraviolento al fenomeno che oggi conosciamo. Sienna e Art si bilanciano alla perfezione: se Art è l’uomo nero puro, liberato da qualsiasi vincolo umano, Sienna è l’idea platonica di final girl, incarnata da LaVera con un trasporto e un’abnegazione che aumentano a ogni film. Si potrebbe dire che la vera trilogia di Terrifier comincia con il secondo capitolo, seguendo il classico schema che vede prima una traballante vittoria del bene, poi il suo ridimensionamento e, infine, il suo trionfo. Vedremo se con il quarto capitolo sarà così. Non vi nascondo di essere decisamente curiosa.
Per quanto riguarda infine la violenza, infine, Terrifier 3 è leggermente meno traumatico del suo diretto predecessore. Non c’è niente che sia paragonabile a quella scena del secondo film. Avete capito quale; ci va giù comunque pesantissimo, ma con minore insistenza e dando più respiro e spazio alle vicende personali di Sienna e Jonathan, per cui c’è un contrappeso al sadismo esasperato e alle creative violazioni della carne operate da Art in collaborazione con Vicky. Si alza l’asticella per le soluzioni fantasiose utilizzate da Art, per la varietà di strumenti di morte nelle sue mani, perché non c’è un omicidio che somigli a un altro e perché Art non si preoccupa di far fuori i bambini (e un topo. Art, non si fa!). Ma tutto è più spensierato e leggero, forse anche per la presenza invasiva di lucine natalizie e canzoni in tema con il periodo. Resta il fatto che potrebbe darvi fastidio e lasciarvi con un senso di nausea alla fine delle interminabili due ore di visione. 
Credo che l’unico limite da porre alle invenzioni di un regista, quando si tratta di horror, sia la consapevolezza di ciò che si sta facendo. Leone è molto consapevole di cosa maneggia e sa come maneggiarlo; in tutta sincerità, fatico a comprendere chi ne fa una questione morale. Non chi non ama questo genere di horror o chi lo trova eccessivo o non riesce a sopportarlo. Io per prima, dopo un Terrifier a caso, ho difficoltà a dormire, non è quello il punto: non stiamo qui a fare prove di coraggio o a dover dimostrare chi ha lo stomaco più forte. Il problema è proprio la china che si può prendere quando ci si lancia sullo scivoloso terreno della liceità di alcune scelte, narrative o estetiche poco importa. 
Dovremmo essere soltanto felici se un horror indipendente arriva al grande pubblico, esce in sala, persino in Italia, e fa grossi incassi senza avere alle spalle una macchina pubblicitaria non dico del calibro della Disney, ma neanche della A24. Il successo di Art è importante ed è positivo per il genere. Lunga vita a lui e allo slasher trucido e ripugnante. 


13 commenti

  1. Avatar di Fabio

    Buongiorno Lucia,al momento non ho ancora avuto voglia di vedere questo terzo film,probabilmente e’ stato di peso,la mia non proprio piacevole esperienza col secondo film,che al contrario dello scarnissimo,sfizioso ed elementare primo film,mi aveva ripugnato ed annoiato in egual misura,dispersivo fino allo sfinimento.Posso solo essere contento per Damien Leone,che con Art the Clown a trovato una piccola gallina dalle uova d’oro,quando ne avro’ voglia,provero’ a recuperare questo nuovo film.👋

  2. Avatar di alessio

    Quando alla fine del secondo capitolo Sienna/Diana e la sua Ammazzadei (o Ammazzademoni) ci porta ancora a immaginare che possiamo sconfiggere quel male del quale non troviamo origine né spiegazione capiamo che non ci libereremo facilmente di Art (e non è detto che sia un bene). Il capitolo migliore resta il primo, anarchico, distruttivo; dadaista senza bisogno di voler dare spiegazioni (che dal secondo capitolo arrivano col “contagocce” e confuse nel tentativo di creare una mitologia per allungare il brodo; e la durata del minutaggio). Qui non è questione di farne un discorso di morale (dopotutto di questa predilezione di Leone al granguignolesco e nell’infliggere dolore al malcapitato e che, dallo schermo arriva ai nostri occhi di fruitori, c’è da riflettere: almeno nella misura in cui, oltre al raccapriccio, piantandosi nei nostri volti – quasi specchio di Art – la sofferenza della vittima si mostra in guisa di nostro sghignazzo soddisfatto): molti di noi lo facevano con le lucertole da piccoli; né di mostrarsi iconoclasta facendo finta di far fuori i bambini (sempre fuori scena: solo Breaking Bad ha avuto il coraggio di mostrarci un omicidio di questa fattura apertamente, e non è perché ce lo sbatteva in faccia senza filtri che quella scena scuoteva e traumatizzava – come invece non riesce a fare un solo minuto di Terrifier 3: si dirà, non è quello il suo obiettivo): il problema è che c’è veramente poco, e che quel poco (a parte effetti speciali artigianali da applausi) purtroppo va avanti per più di due ore! Sara un caso ma anche per me la scena al centro commerciale è la migliore e purtroppo David Howard Thornton è l’unica cosa che tiene in piedi la traballante baracca (Art è decisamente più vicino all’Augusto, il clown rosso: anarchico, trasgressivo; a momenti goffo e la cui cifra è il black humor): non sarà che c’è davvero troppo poco (Sienna è un’eroina tormentata e anodina)? Se è vero che non sempre chi incassa ha ragione (però ha le sue ragioni) e se è vero che eravamo in coda all’anteprima qualcosa vorrà dire però quando Eno ricorda che il primo album dei Velvet Underground vendette solo trenta mila copie in cinque anni e però “ciascuno di quei 30.000 che l’hanno comprato ha fondato una band” evitiamo di dare a Leone quello che non è di Leone, è come affermare che il cinepanettone ha finalmente portato la comicità al grande pubblico.

    1. Avatar di Lucia

      Solo per dire che Carpenter lo ha fatto prima, e meglio, di Breaking Bad.

      1. Avatar di alessio

        Distretto 13 è uscito quando sono nato, certo non si può fare una colpa a BB essere arrivato dopo (tra l’altro quella scena è proprio debitrice di Carpenter, ecco debitrice più che “peggiore”). Però Carpenter è un autore decisamente più di nicchia rispetto a quel che è stato BB, dunque la mia riflessione era proprio su questo (dal momento che parli di “grande pubblico”): ovvero il coraggio di girare una scena difficilissima ma in un prodotto rivolto al largo consumo. Più la considerazione dell’efferatezza (fine a se stessa per me, che per più di due finisce per stancare): la scena di apertura iniziale lascia furbescamente intendere che Leone non risparmierà nessuno ma è una sequenza (tra l’altro girata molto bene) che aprirà a una teoria di scene disturbanti e basta: la morte della bimba (o del ragazzo in BB) quelle sì che non fanno dormire la notte.

  3. Avatar di Saraemmez

    Qui per dire che a me la saga di Terrifier non piace, per cui non la guardo (dopo aver visto un pezzo del primo film), però che trovo Art il clown una bomba come personaggio e interpretazione.

    1. Avatar di Lucia

      Art sì, è una bomba e credo sia il motivo per cui Terrifier ha sfondato il muro della nicchia. Però è anche importante che a lui ci sia un contraltare, altrimenti non ci sarebbero stati gli sbocchi narrativi per farne una saga.

      1. Avatar di Saraemmez

        Certo! Io non ho mai raggiunto la svolta in cui ha effettivamente un contraltare, ma mi fido di ogni sillaba che hai scritto.

  4. Avatar di Luca

    Ma per guardare il secondo, devo ricordarmi bene il primo? Perchè lo vidi anni fa (quando ancora non se lo filava nessuno detto schiettamente) e mi fece abbastanza cag4re.

    1. Avatar di Lucia

      No, non è necessario. Devi solo ricordare vagamente un personaggio presente nel primo, Victoria

  5. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Il richiamo che fai alle saghe slasher anni 80 è perfetto: Leone non si fa troppi problemi a proporre una trama che sta in un foglio di carta o a disinteressarsi delle accuse di scarsa coerenza interna e linearità narrativa. Però devo confessare che questo terzo capitolo mi è piaciuto meno dei due precedenti. Questi i miei 2 cents:

    Scientemente insensata e a tratti inopinatamente noiosa, Terrifier 3 è una mostra di atrocità cucite insieme alla bellemeglio attorno ad una trama alquanto evanescente che banalizza l’innovativa svolta fantasy del capitolo precedente e manca di offrire significative informazioni in grado di ispessire la mitologia inerente Art e la Bambina Pallida.
    Leone dietro la mdp è sempre più bravo e su singola scena il film funziona, non soltanto perchè gli effetti speciali fanno il loro (sporchissimo) lavoro, quanto per via di parentesi onirico/grottesche (che rimandano alle saghe di Nightmare e Hellraiser) gestite in maniera sorprendentemente oculata, vedasi i regali ai bambini, la cenetta a casa di zia Jess, il confronto tra Sienna e Gabbie.
    E’ nel complesso che però l’opera appare lacunosa; il montaggio sembra avere sacrificato alcune parti (che forse verranno recuperate nel già anticipato director’s cut), le scene di raccordo sono modeste e l’accumulo di brutalità sempre più gratuite anestetizza invece di incrementare la carica perturbante, senza parlare di un finale che sarebbe riduttivo definire semplicemente “irrisolto”.
    Bravo ad ogni modo David Howard Thornton e molto bello il brano strumentale vagamente ipnagogico sui titoli di coda.

    1. Avatar di Lucia

      Il pezzo sui titoli di coda, la cosa più suggestiva del film. Per il resto, concordo, anche se mi è piaciuto più del secondo.

  6. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Visto che hai giustamente citato le saghe slasher anni ’80 mi chiedo se, pur essendo passati decenni e mutati i gusti del pubblico, per Art ci possa essere il rischio di una “deriva” cartoonesca simile a quella di Freddy. Non che per me sia un problema, a dirla tutta, dato che avevo trovato divertente anche il Freddy con i Demoni del Sogno del ’91 (quindi un’analoga strada presa da Art il Clown non mi farebbe gridare allo scandalo, ecco)…

    1. Avatar di Lucia

      La deriva cartoonesca è cominciata col secondo capitolo, col terzo è proprio andata fuori controllo, ma anche quello fa parte del gioco.