Nuovi Incubi Halloween Challenge Day 15: Repo! The Genetic Opera

Regia – Darren Lynn Bousman (2008)

Oggi si parla di musical, ed essendo argomento difficoltoso, lo potete anche prendere alla larga, ovvero estenderlo anche a horror che parlino di musica, come Deathgasm e Red Room.
Il musical è un genere con il quale sto facendo pace da poco tempo, più o meno da quando ho visto il West Side Story di Spielberg, perché se Spielberg fa un musical, allora io devo mettermi lì e capirli, i musical. Non dico di esserci venuta del tutto a patti, però insomma, si può dire che non fuggo a gambe levate quando sento la gente che canta.
Essendo un genere che può andare sopra le righe in un attimo, credo che con l’horror abbia un rapporto privilegiato, e infatti quasi tutti gli horror musical sono manifesti del camp e degli eccessi dell’epoca in cui sono usciti.
Repo! The Genetic Opera non fa eccezione e l’ho scelto perché si tratta di uno di quei film sui quali ho cambiato opinione nel corso degli anni. Sono partita detestandolo e adesso lo rivedo una volta l’anno e conosco tutte le canzoni a memoria. Ma, prima di metterci ad analizzare il film, cerchiamo di capire cos’è.

Repo è un musical che nasce per il palcoscenico nel 2002; è scritto da Darren Smith e Terrance Zdunich e viene modificato in corsa, aggiungendo pezzi di trama, personaggi e canzoni, fino ad assumere la sua forma definitiva nel 2005. A quel punto, Bousman, fresco del successo dei primi seguiti di Saw, gira un cortometraggio di 10 minuti ispirato all’opera rock gotica, e lo mostra alla Lions Gate che decide di allungargli 9 milioni di dollari per farne un film.
Repo arriva in sala nel novembre del 2008 e incassa, in tutto, meno di duecentomila dollari, mentre la critica si diverte ad avventarsi sul film come se fosse una carcassa da cui estrarre tutti gli organi. 
Ma la storia di Repo non termina qui: Bousman porta il film in tour, spinto da un gruppetto di fan agguerriti, che, come accade ancora oggi con The Rocky Horror Picture Show, assistevano alle proiezioni vestiti dai personaggi principali. Il termine tecnico è shadow cast. Le repliche di questi spettacoli vanno avanti quasi ininterrottamente fino al 2014. Da qualche parte, credo le facciano ancora. 
E quindi la vicenda di Repo scorre in realtà su due binari paralleli: da un lato ci sono il flop al botteghino e le stroncature ricevute durante la sua breve permanenza ufficiale nei cinema; dall’altro un fenomeno di culto nella scena goth di inizio secolo. D’altronde, un film con l’estetica di Repo poteva parlare soltanto a un gruppo molto ristretto di persone. 

Ambientato nel 2056 (praticamente domani), Repo racconta di un’epidemia che ha portato al malfunzionamento degli organi interni (tutti, non state a sottilizzare) e ha sterminato gran parte della popolazione. Sulle macerie di questa tragedia, si erge la GeneCo del magnate Rotti Largo (Paul Sorvino), a cui viene l’idea di creare un sistema di prestiti a rate per avere gli organi sostituiti. Non ti funziona più il cuore e non puoi permetterti un trapianto? CI pensa la GeneCo, con un piano dilazionato in pagamenti mensili (con gli interessi). E se salti qualche rata? Arriva il Repo Man a riprendersi gli organi di proprietà della GeneCo e te li strappa via senza neanche farti la cortesia di anestetizzarti prima. 
Questo lo scenario in cui si muovono i protagonisti: i tre figli di Rotti impegnati a disputarsi l’eredità, dato che il padre è terminale, il Repo Man in persona (Anthony Head) e sua figlia Shilo, malata e orfana di madre, il bellissimo Grave Robber, narratore onnisciente del film, e Blind Mag, la voce della GeneCo, al suo ultimo spettacolo prima di ritirarsi. 
La trama del film è terribilmente ingarbugliata e il più delle volte non ha senso. Ma non è molto importante: è la classica faida familiare che affonda le proprie radici in un passato fatto di sangue e avidità. 

Che il rapporto di Bousman con la società contemporanea e con la sua tecnologia fosse, a voler usare un eufemismo, conflittuale, lo si era capito sin da Saw II; anzi, quella tecnofobica e reazionaria è proprio la dimensione che lui ha dato alla saga, e che raggiunge il culmine nel 2009 con Saw VI, grosso successo al botteghino dopo il calo con Saw V, e film in cui Bousman non ha alcun ruolo. Viene infatti estromesso dal franchise dopo il quarto capitolo e ci torna soltanto di recente, con Spiral. Io non so se Repo c’entra qualcosa con l’allontanamento di Bousman da quella che era la sua creatura tanto quanto (e forse di più) lo fosse di Wan e Whannell, però è singolare che Saw VI e Repo affrontino, ognuno con il suo stile, temi molto simili.
Un confuso anticapitalismo populista è presente in ogni seguito di Saw, ma con il VI si va ad attaccare il sistema di assicurazioni sanitarie. Il cattivo del film è proprio il dirigente della compagnia che rifiuta di coprire le cure per il terminale Kramer.
Una versione esasperata dell’assicurazione sanitaria è proprio ciò che permette alla GenCo, in Repo, di dominare il mondo. 
Quella di Repo è una distopia in cui neanche i pezzi del tuo stesso corpo ti appartengono più e possono essere reclamati non appena non hai le possibilità economiche di pagare una rata. Ancora peggio, la GenCo produce una droga che ti fa diventare dipendente dalla chirurgia, e a sua volta, vende il trapianto di organi come l’ultima moda per chi vuole essere al passo con l’alta società. 

I ricchi, nel mondo di Repo, vanno in giro tutti rattoppati e pieni di cicatrici dalle numerosi operazioni cui si sono sottoposti; il personaggio di Paris Hilton è una drogata di chirurgia (Addicted to the knife, canta il Grave Robber) che finisce per sfigurarsi. Sul finale del film, le cade letteralmente la faccia. E. a proposito di facce, suo fratello ne cambia una al giorno, in una versione à la page di Leatherface. C’è tanta di quella grottesca mostruosità anatomica, in Repo, da renderlo uno dei film più luridi di un decennio già luridissimo di per sé. Eppure, è anche un film estremamente patinato, lezioso, sopra le righe come la più becera delle farse, e drammatico e declamatorio neanche avesse la statura di una tragedia shakespeariana. Ha un senso dell’umorismo distorto e osceno, è ironico soprattutto nel tratteggiare i cattivi, ma prende con una serietà imbarazzante tutta la parte dedicata alla sua protagonista e al di lei padre. Insomma, è una bestia strana, nonché l’unico possibile erede de Il Fantasma del Palcoscenico di De Palma. 

Poi è talmente ovvio che mi vergogno a sottolinearlo: Bousman, poverino, non è De Palma e Repo non può avere la stessa potenza di Phantom of Paradise. Però non è un discorso di qualità, è un discorso di linguaggio: entrambi i film parlano una lingua molto specifica e riconoscibile, quella dei weirdo della propria epoca. Repo è il Twilight delle scoppiate, se vogliamo sintetizzare al massimo, e forse è il motivo per cui molti film bro lo schifano per principio, senza averlo mai visto.
È un’opera new metal con protagonista emo, ha ogni inquadratura così piena di luce bianca che sarebbe meglio guardarlo con gli occhiali da sole, ha dei costumi e del trucco che richiamano a tutta una scena di gruppi musicali e rispettivi videoclip. Roba che, se la colonna sonora l’avessero scritta i My Chemical Romance, nessuno avrebbe notato la differenza. Di quella cultura si prende affettuosamente gioco e, allo stesso tempo, la esalta e le offre un unico e irripetibile film contenitore. Se Tim Burton fosse nato nel 1982, avrebbe diretto una roba simile. 
Come si fa a disprezzare qualcosa fatto con così tanto amore?

Un’opera rock futurista, con smembramenti da torture porn e teatralità grottesca di un’adolescente che vuole spiegarti la vita. Non c’è alcun corrispettivo di Repo nel cinema contemporaneo, anche perché non si tratta di cinema underground, ma della produzione di uno studio medio-grande che, dopo l’exploit di Saw, aveva vinto la sua dose di Oscar ed era diventato il simbolo dell’horror da cassetta contemporaneo. In Repo ci sono le star come Paris Hilton, ci sono i grandi attori, ci sono le icone del cinema dell’orrore come Bill Moseley.
È comunque povero per essere un musical dei tempi d’oro, e gran parte dei 9 milioni di budget temo se li sia intascati Hilton per i pochi minuti in cui è presente in scena, però non è un film da cortile: ha le comparse, le scene madre, i grandi momenti corali con tanto di coreografie. 
Ed è pieno, ma proprio pieno zeppo, di sangue. 
Ci sarebbe ancora tanto da aggiungere su questo bellissimo disastro, perché alla fine è comunque un disastro, ma mi taccio qui. Spero che vogliate rivalutarlo, perché quando vi ricapita di vedere Anthony Head che canta mentre estrae gli intestini da un poveraccio e poi usa il suo corpo tipo marionetta? 
Precipitatevi su Tubi, grazie.

6 commenti

  1. Avatar di Frank La Strega

    Da recuperare assolutamente!

    Il mio Day 15 è “The Happiness of the Katakuris” di Takashi Miike. Wow! Tutto è possibile…

    Besos! 😘

    1. Avatar di Lucia

      Un film completamente folle. Bellissimo

  2. Avatar di Fabio

    Buongiorno Lucia,per la challenge di oggi “Musical Horror”,ho fatto scarse ricerche,per via del fatto che non sia esattamente una tipologia di horror movie che seguo con regolarita’,cosi ho rivisto a distanza di anni,”Sweeney Todd” di Tim Burton.👋😊

    1. Avatar di Lucia

      Mi pare un’ottima scelta

  3. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Parlando di scelte “Musical”, vedo con piacere che la mia e la tua coincidono (quando, invece, io pensavo che mi avresti preso a pedate nel culo se solo mi fossi azzardato a nominarlo, Repo) 😉

  4. Avatar di alessio

    Il Fantasma dell’Opera con Lon Chaney, un Jim Carrey tragico quasi antesignano dei futuri artisti performativi. (E poi la scena in cui Christine toglie via la maschera a Erik ha fatto scuola).