
Regia – M. Night Shyamalan (2004)
Lo so che sto per dire una cosa da anziana, ma io vent’anni fa c’ero, e mi ricordo perfettamente di come venne accolto The Village, la sensazione di incredulità generale che circondò la sua uscita in sala. Era, per l’epoca, un film così anomalo, così alieno e distante rispetto alle tendenze del cinema contemporaneo che nessuno, e mi ci metto in mezzo pure io, riuscì a farsene una ragione. A me non dispiacque, ma ho dovuto rivederlo parecchie volte per apprezzarlo fino in fondo. Adesso, lo considero il miglior lavoro di Shyamalan, quello più personale, una vera opera d’autore che si confronta con la mentalità americana post 11 settembre con un candore, un romanticismo e una sincerità fuori del comune.
Con The Village, Shyamalan perde per la prima volta il favore della critica che, fino ad allora, lo aveva sempre sostenuto con entusiasmo. Tanto per fare un esempio, Roger Ebert aveva dato a Signs 4 stelle su 4, ma inserisce The Village tra i peggiori film del 2004 e gli appioppa una sola stellina, scrivendone peste, corna e vituperi. Con il film successivo, ovvero Lady in the Water, il regista indiano viene dato per spacciato e, da lì in poi, la sua carriera subisce un declino inarrestabile, almeno fino a quando non è arrivata la Blumhouse a riesumarlo nel 2016. Il resto, come si suol dire, è storia. Tra una settimana esce Trap e io non sto nella pelle. E tuttavia, sarà difficile rivedere Shyamalan lavorare ancora con budget faraoinici e porsi come il vero erede di Spielberg.
Non è tanto “colpa” di Lady in the Water, che comunque dovrei rivedere. Credo che tutto cominci proprio con l’incredulità che ha accolto The Village.
Il film è stato girato nell’autunno del 2003 in un set costruito in Pennsylvania. Come tutti i progetti a firma Shyamalan, The Village era avvolto dalla più totale segretezza, anche se qualcosa è trapelato e parte della sceneggiatura è finita online con le annesse speculazioni da parte dei fan.
Quando è arrivato nei cinema, il 30 luglio del 2004, The Village è stato presentato come se fosse un horror in costume coi mostri. I trailer lo vendevano come se si trattasse di un film spaventoso, creando ovviamente delle aspettative bel pubblico, poi non soddisfatte.
Intendiamoci, The Village è un horror, perché la definizione di horror dalle nostre parti è molto elastica e perché non ho mai pensato che la “missione” di un horror fosse spaventare. È un horror perché è un film sulla paura e sulle conseguenze nefaste che essa ha sulla vita delle persone. Ovvio che se ci si aspetta di vedere un film in cui delle creature mostruose sgranocchiano villici nel XIX secolo, si resta delusi.
Capisco anche che era difficile presentarlo al pubblico in maniera diversa, a patto di non rivelare sin da subito il primo dei due colpi di scena interni al film. Eppure, sapete che vi dico: The Village funziona meglio se si conosce in anticipo la rivelazione sulla natura degli esseri che impediscono ai protagonisti di uscire dal villaggio e addentrarsi nel bosco, perché ci si gode l’ambiziosa architettura narrativa di Shyamalan e se ne individuano con più facilità le sottigliezze. The Village è un film che cresce a ogni visione.
La prima volta si resta abbagliati dalla sua bellezza estetica, dalla fotografia autunnale di Deakins (prima e ultima collaborazione con Shyamalan), dalla miglior colonna sonora mai composta da James Newton Howard, e da come Shyamalan muove la sua macchina da presa in maniera solenne e quasi mistica.
La scena in cui Lucius (Joaquin Phoenix), torna indietro a prendere Ivy (Bryce Dallas Howard) che lo aspetta tendendo la mano sulla soglia di casa durante l’attacco delle creature, con quel ralenty e quel dettaglio delle mani giunte tra i due personaggi, è un saggio di regia matura ed emozionale. Se non vi trema il cuore, è solo perché non ne avete uno.
Quando però lo si rivede, sapendo già tutto e concentrandosi sui dettagli, se ne coglie tutta la potenza metaforica, il racconto di una società che preferisce chiudersi in se stessa, assecondando le proprie peggiori paure così tanto da fabbricarle, cullandosi nell’illusione di preservare una fittizia innocenza, di lasciare all’esterno violenza e morte.
Non esiste un ritratto più potente e impietoso dell’America dei primi anni 2000 di quello realizzato da Shyamalan in The Village, e forse è questo il motivo della perplessità (per usare un eufemismo) con la quale è stato accolto.
Ma, a prescindere dal momento storico a cui il film appartiene, il concetto di voler vivere in un passato idealizzato, inventandosi un nemico inesistente e scaricando sulle generazioni successive tutte le responsabilità, è molto aderente anche all’anno del Signore 2024. Di paure indotte, avversari immaginari e passato idilliaco, ne sappiamo qualcosina pure noi.
Però, ed è il motivo per cui Shyamalan è un autore con una poetica unica, tutta sua, riconoscibile anche nelle opere meno riuscite, The Village non è un film cattivo con i suoi personaggi, nemmeno con quelli che hanno una connotazione negativa o commettono azioni esecrabili, nemmeno con gli anziani del villaggio, colpevoli di aver negato la verità ai propri figli.
“The world moves for love. It kneels before it in awe.”
Questo è Shyamalan, questo è sempre stato: un romantico e un ingenuo, uno convinto sinceramente che alla fine il mondo si pieghi di fronte all’amore. È ciò che rende il suo cinema unico, grande, commovente, persino quando non è centrato e si perde in elucubrazioni di stampo messianico, persino quando fa recitare i suoi attori in stato letargico e si dimentica di cosa sia il ritmo. Va bene lo stesso, ha ragione lui, può sbagliare un film, ma la granitica coerenza dell’impianto concettuale del suo cinema si trova di rado in altri registi.
Forse soltanto in Spielberg, appunto.
È una società malata, quella di The Village, ma che ha al suo interno gli strumenti per la guarigione: nella dichiarazione d’amore di Lucius a Ivy seduti sul portico, che forse è la mia scena romantica preferita in assoluto, nel coraggio di Ivy che attraversa da sola il bosco per salvare la vita al suo futuro marito, nella gentilezza del ranger che fa poche domande e va a prendere le medicine, persino nello stesso circolo di anziani quando scelgono di lasciarla andare, anche a costo di perdere tutto ciò che hanno costruito. La redenzione, la possibilità di cambiare, sono sempre a portata di mano. È da Il Sesto Senso che è così: sono a portata di mano anche quando la vita è giunta al termine.
Per questo, ogni volta che arriva un nuovo film di Shyamalan, corro a vederlo in sala. Ci sono grosse probabilità che non sarà un buon film, che avrà degli scivoloni imperdonabili, che collasserà sotto il peso del suo sentimentalismo. Ma io corro lo stesso, perché al regista di The Village bisogna sempre dare fiducia.












Secondo me il “problema” di Shyamalan è Il sesto senso. E’ un film talmente seminale e ricco di turning point e scene iconiche che era impossibile replicarne la formula e il successo; peccato però che a quel punto il pubblico si aspettava qualcosa di altrettanto sconvolgente e nuovo dal “regista de Il sesto senso” (perchè così si identificava ai tempi), ed è rimasto deluso.
Quando è uscito Il senso senso avevo 18 anni, e ricordo bene come dopo averlo visto la gente portava gli amici al cinema per vedere la loro faccia quando si arrivava al colpo di scena finale, e nel frattempo lo rivedeva con piacere per gustarsi tutti i dettagli alla luce di quanto sapeva già. Un pò come hai appena scritto sulla seconda visione (e terza, ecc…) di The village, solo che ricordo che la rivelazione di quest’ultimo ha un pò deluso tutti al tempo. La gente diceva disillusa: alla fine i mostri erano abitanti del villaggio travestiti :(.
Detto questo a me Shyamalan piace a tratti, a parte la trilogia sui “supereroi”. Mi piace Lady in the water (bello fiabesco), The visit (che trovo eccellente e di cui amo il ragazzino) e Old (che ha il respiro di una vita). L’ultimo con Bautista “meh…”, ma di base quando esce un suo film lo guardo con curiosità e affetto, forse non corro in sala, ma so che in quelle due ore mi darà qualcosa di unico. E non mi sembra poco.
Anche a me piace a tratti. Preferisco Unbreakable a Il sesto senso, perché credo che Il sesto senso viva quasi esclusivamente sul colpo di scena, mentre invece i film successivi sono più bilanciati. Lady in the Water me lo devo rivedere e Old mi ha delusa molto quando sono stata a vederlo in sala. Trap andrò a vederlo il primo giorno di programmazione con la bandierina e lo striscione: Go Night, Go!
Pensa che figata chiamarsi Night, certa gente ha tutte le fortune… Io invece è gia tanto che non mi chiamo Calogero ;(
Se ti chiami Night è il minimo che tu finisca a girare film dell’orrore. C’è poco da fare. Come Mia Goth.
Un ottimo Shyamalan dei primi anni del nuovo millennio, forse troppo carico di metafore per essere apprezzato a dovere quando uscì nelle sale: ammetto di essere stato fra quelli che si aspettavano una rivelazione differente circa la reale natura dei mostri ma, alla fine, questo è stato un altro aspetto che ho metabolizzato nel tempo, comprendendo la (giusta) scelta fatta dal nostro M. Night …
Ah si, il messaggio politico/sociale di The village ai tempi passò decisamente in sordina per il sentire comune, semplicemente credo perchè “ci si aspettava altro”. Poco importa, ogni cosa a suo tempo.
Sbaglierò ma secondo me The Village, come anche V for Vendetta, è un film sull’11/9…
A me The Village piacque molto.
Trap penso l’andrò a vedere, l’idea mi intriga
E’ anche il mio preferito di Shyamalan. Per la fotografia, le musiche, per bryce dallas howard e anche per la storia in se.
Col senno di poi, un reale “declino” secondo me non lo ha mai avuto. Ha fatto un paio di grossi passi falsi consecutivi che lo hanno fatto pensare (penso a The Happening e Avatar), ok, ma a conti fatti di suo mi è piaciuto quasi tutto, anche se a livelli diversi.
Io devo ancora fare pace con Old e soprattutto The Happening. I due film grossi hollywoodiani che ha fatto non li prendo neanche in considerazione, però questo ha una filmografia di tutto rispetto e non vedo l’ora sia giovedì per Trap
Wow! Film bellissimo e umanissimo, con dei momenti davvero fughi ed emozionali.
Ricordo che lo vidi all’uscita e intuimmo quasi subito la situazione del film rimanendo per niente sorpresi dai colpi di scena: forse non sono nemmeno delle vere rivelazioni.
È uno dei film di Shyamalan che mi arriva più forte e “pulito” da pesi ideologici espliciti e questo mi piace molto.
Talvolta i suoi film hanno “qualcosa” che mi arriva male e che mi allontana un po’, qualcosa “di troppo”. Non qui.
Anche Lady in the water è molto figo e umano.
Devo confessare che Old mi è piaciuto (tranne il finale) e che adoro The Happening.😅
Besos!
Faccio un discorso molto personale:quando penso a un film perfetto penso proprio a The Village: ogni passaggio della storia è calibrato al millimetro, non c’è una battuta d’arresto, un dialogo o una scena che ti facciano dire “poteva farla meglio”.
“(……) uno straordinario film che è stato presentato come un horror e che invece si rivela essere molto di più. Un thriller psicologico, certamente, ma anche e soprattutto una favola gotica, una racconto filosofico sull’uomo e le sue paure più profonde, il suo desiderio di fuggire dal male e al tempo stesso la sua incapacità di sfuggire a un qualcosa (il male appunto) che è parte rinnegata ma inscindibile dell’animo umano.”
Lo stralcio qui sopra è tratto dalla recensione che scrissi un po’ di anni fa.
Condivido ovviamente delle cose che hai scritto.