
Regia – Nikhil Nagesh Bhat (2023)
Sdoganiamo anche il cinema indiano su questo blog (magari lo abbiamo già fatto, ma io non me lo ricordo, e quindi per me è la prima volta) e parliamo di quello che è, a metà anno, il film d’azione migliore del 2024. Si muove anche in un territorio contiguo all’horror, perché in quanto a violenza esplicita e gore, non ha niente da invidiare ai nostri massacri preferiti.
Il mio consiglio è di non farvi ingannare dal titolo molto generico e da una prima mezz’ora altrettanto generica e preparatoria. Kill è un film che ti inganna, ti fa sedere tranquillo e poi ti colpisce a tradimento, passando da (non saprei come altro definirlo) un action romance quasi per famiglie a una impressionante carneficina a base di crani spappolati e giugulari tagliate nel giro di un battito di ciglia. È anche difficilissimo scrivere senza rivelare snodi fondamentali che conducono a questo repentino cambio di rotta, quindi fate la cortesia: smettete di leggere, guardate il film e poi tornate qui.
Amrit (Lakshya) è un militare innamorato della bella Tulika (Tanya Maniktala), che però, essendo figlia di genitori ricchissimi e importanti, è promessa a un altro uomo. I due stanno progettando di fuggire insieme, ma la nostra Tulika viene caricata dal padre su un treno notturno diretto a Nuova Delhi per celebrare il suo fidanzamento. Amrit, accompagnato dall’amico e collega Viresh, la segue. Essendo un viaggio di lusso, il treno è abbordato da una banda di rapinatori che salgono per accaparrarsi tutti gli oggetti di valore dei passeggeri. Le cose degenerano e Amrit si trova, praticamente da solo, a dover affrontare una quarantina di banditi a suon di calci, pugni e coltellate.
In pratica è The Raid su un treno. O Train to Busan coi rapinatori al posto degli zombie, se preferite. Ma il paragone con The Raid funziona meglio, perché era dai tempi del film di Gareth Evans che non vedevo così tante mazzate e così ben dirette e coreografate. Con così tanto sangue e così tanto dolore.
Come dicevo in apertura, non fatevi condizionare dal primo atto di Kill, che tra storia d’amore e film di botte sembra tanto sbilanciato sul lato storia d’amore. In realtà è soltanto una presentazione dei personaggi che serve a distribuire i pesi del racconto nei punti giusti, a dare la giusta rilevanza a tutta una serie di relazioni che, in seguito si riveleranno fondamentali. Anche il fatto che non calchi sin da subito la mano su violenza e ossa spezzate, è interessante e determina il carattere di Amrit e la sua statura di eroe: quando il registro del film cambia, ci accorgiamo che, per 45 minuti, il nostro protagonista ci è andato volutamente piano, non ha ancora liberato tutto il suo potenziale distruttivo, perché è un bravo ragazzo a cui non piace ammazzare la gente a caso.
Ma non bisogna farlo incazzare.
A scatenare la sua ferocia, è un adorabile sociopatico di nome Fani, che ha la faccia da ceffoni di diritto e rovescio e la grazia di un ballerino (l’attore, Raghav Juyal, è in effetti un ballerino), ed è capace di crudeltà così estrema e spietata da farti desiderare, per lui, la più atroce delle morti.
Quando il film sbrocca (e ultimamente sono tanti i film che, da un certo punto in poi perdono il senno), il momento in cui la follia prende piede e non lascia spazio a niente altro, è segnato dall’ingresso in campo del cartello con il titolo. Sì, 45 minuti esatti dall’inizio della storia. È da lì che l’atto di uccidere, da parte del nostro eroe, diventa lecito e pure auspicabile.
Fani commette un gesto di perfetta e gioiosa cattiveria, che ha il potere di modificare in un istante la struttura stessa del film, nonché la sua ragion d’essere, e ancora meglio, di conferire a tutta la vicenda un’ossatura morale interessantissima.
A quel punto, si scatena la carneficina e il regista Bhat ci fa vedere come si mettono in scena una serie di sequenze ad alto tasso di dinamismo, violenza e corpi in collisione, nello spazio ristretto dei vagoni di un treno, inventandosi ogni volta una cosa nuova, alzando a ogni scontro il livello di difficoltà e di pericolo per il povero Amrit e trovando sempre un’idea diversa per infierire nel modo più doloroso possibile su un corpo umano.
C’è, al solito, un lavoro gigantesco da parte degli stunt e un altrettanto gigantesco sforzo creativo da parte di direttore della fotografia, operatore, coreografi vari, per rendere chiare e non confuse delle scene in cui ci si mena uno contro dieci all’interno di pochi centimetri. L’azione, a partire dalla calata del titolo, non si ferma mai, non c’è un secondo di respiro o di riflessione, e nemmeno c’è posto per sottolineare quanto sia cool e distaccato il nostro protagonista mentre dispensa morte a mani nude (o con un estintore o una tavoletta del gabinetto); nell’universo narrativo di Kill fa tutto male, ci sono sudore, fatica, sofferenza, rabbia, paura. È per questo che funziona e tiene incollati allo schermo in apnea.
A livello narrativo, Kill non fa niente che già non sia stato fatto: è un revenge movie e del revenge movie segue la struttura fino alle note conseguenze. Solo che non parte come revenge movie, lo diventa in corso d’opera, lo diventa a metà film (spero abbiate seguito il mio consiglio iniziale, se non lo avete fatto, problema vostro) e questo mette Amrit sotto una luce diversa: vediamo prima il professionista che vuole difendere i passeggeri e liberarsi dei rapinatori senza fare davvero troppo male a nessuno. Insomma, tira dei buffetti più che dei veri cazzotti, cerca di contenere i delinquenti in attesa che la comica e ridicola sicurezza del treno si svegli e chiami la polizia, contiene i danni e cerca di proteggere la sua amata e la di lei famiglia.
Poi diventa una belva, perde i suoi connotati da essere umano, non pronuncia più neanche mezza battuta, si esprime solo tramite gestualità. È, in estrema sintesi, un corpo che picchia e che viene picchiato. In questo senso, Kill si avvicina molto all’horror e ha pieno diritto di cittadinanza su questo blog.
Io mi sono molto divertita con Kill, ma devo ammettere che mi ha anche lasciata scossa come pochissimi film d’azione sanno fare. È un’opera feroce e nerissima e non propriamente gentile nei confronti della natura umana. Di fatto, è una tragedia. Vi piacerà.











