The Devil’s Bath

Regia – Severin Fiala, Veronika Franz (2024)

Vi avevo detto, qualche settimana fa, che ci sarebbero stati un paio di film molto pesanti e complicati. Il primo, I Saw the Tv Glow, ce lo siamo tolto praticamente subito; per il secondo ho procrastinato fino a quando il senso del dovere non mi ha schiacciata. Un giorno dovrò parlare alla mia terapista di questa cosa. Ma per il momento ho bisogno di dichiarare guerra all’Austria per il trauma provocatomi da The Devil’s Bath. Sempre l’anima della festa, Fiala e Franz.
Che poi, sapete qual è l’aspetto peggiore del loro cinema? Sono beffardi. Ogni film su cui hanno messo la firma si chiude come un macabro scherzo ai danni di personaggio principale e poveri spettatori. Li immagino a ridersela sotto i baffi mentre dispensano così tanto dolore. L’ho già detto a proposito di The Lodge, perché lì era proprio evidente come ispirazione, ma sono sempre più convinta che questi due, tutte le volte, realizzino una versione seriosa e intellettuale di Tales from the Crypt, con tutto il carico sardonico e un po’ sadico che i vecchi fumetti della EC si portano dietro. Possono negarlo e ripetere allo sfinimento che sono due autori impegnati, ma io li ho scoperti, i maledetti. 

The Devil’s Bath si ispira agli studi della storica Kathy Stuart sul cosiddetto suicidio per procura nell’Europa centrale del XVIII secolo: se una persona si toglieva la vita, non riceveva sacramenti, il suo corpo finiva in una fossa comune senza alcun rito funebre e il destino della sua anima era la dannazione eterna. C’era però una scappatoia, ovvero commettere un crimine che comportasse la pena capitale. In quel modo, prima dell’esecuzione ci si poteva confessare e ricevere l’assoluzione. Secondo le ricerche di Stuart, la maggior parte delle persone che hanno utilizzato il suicidio per procura erano donne. Quasi tutte soffrivano di depressione, che ai tempi veniva chiamata con altri nomi, tra cui, appunto, Des Teufels Bad, titolo originale del film. Le vittime principali erano bambini, un po’ perché erano a portata di mano (compito della donna era figliare e accudire la prole), un po’ perché le loro anime erano innocenti e, di conseguenza, avevano il paradiso garantino. 
La pratica del suicidio per procura era talmente diffusa che le autorità cercarono di limitarla, dapprima rendendo le esecuzioni più dolorose, e poi arrivando a non comminare più la pena di morte per infanticidio. Eppure, se ne riscontrano casi fino agli inizi del XIX secolo. 
 Vi si è già rallegrato il fine settimana, eh?

The Devil’s Bath si apre con una donna che uccide il figlio di pochi mesi e poi si consegna spontaneamente alle autorità, per finire decapitata subito dopo. Terminato il prologo, conosciamo la nostra protagonista Agnes, tutta contenta perché sta per andare in sposa a un uomo di un villaggio limitrofo, per pentirsene mezz’ora dopo aver pronunciato i voti.
Il marito Wolf non è una cattiva persona, ma è evidente che gli piacciano le donne, e infatti non tocca Agnes neanche con un dito; la mamma di lui, amabile come uno sciame di zanzare,  si piazza praticamente a ogni ora del giorno e della notte a casa degli sposini e pretende di forgiare Agnes a sua immagine e somiglianza, dicendole come deve cucinare, che disposizione dare ai mobili e ai vari utensili, criticando ogni gesto, mossa o parola della nuora e facendola sentire una nullità e una fallita perché non resta incinta; la vita di Agnes si svolge tutta tra una pozza d’acqua fetida in cui i villici vanno a pescare e la catapecchia buia e fredda in cui vive con Wolf e l’adorabile suocera. 
Il minimo che può succedere è ammalarsi di depressione. E puntualmente, ciò accade. 

Sto cercando di scrivere di questo film con un certo grado di leggerezza perché altrimenti mi metto a urlare. The Devil’s Bath dura due ore ed è dettagliatissimo nel descrivere in maniera minuziosa il calvario di Agnes. A interpretarla troviamo una musicista austriaca molto nota in patria, Anja Plaschg, che si getta su questo ruolo con un ardore e un abbandono assoluti. Non voglio fare facili paragoni, ma ho pensato più volte a Björk in Dancer in the Dark, e non soltanto perché, in entrambi i casi, abbiamo due musiciste che passano momentaneamente alla recitazione, ma perché in The Devil’s Bath si sente molto forte la presenza del cinema di Von Trier, ma filtrato attraverso una sensibilità superiore: l’accanimento sadico sulla protagonista è lo stesso, la mancanza di pietà è identica. Con la differenza che qui c’è, almeno, una profonda partecipazione alla sorte di Agnes, unita alla volontà di far emergere un frammento di storia poco conosciuto. Dopotutto, chi se ne frega delle donne depresse del ‘700. Se pure di bassa estrazione sociale, il chi se ne frega raddoppia.
Poi comunque il finale è una citazione quasi alla lettera di Dancer in the Dark, quindi non credo di averlo fatto solo io, questo parallelismo da cinefila di basso cabotaggio. 

Lo stile di Fiala e Severin è sempre lo stesso: ritmo dilatato, momenti di struggente bellezza alternati ad altri in cui sembra che l’inquadratura sia posseduta da uno spirito malvagio, un incubo che ti si siede addosso nel cuore della notte e ti toglie il respiro. L’ambientazione in costume, nell’Austria rurale aumenta l’angoscia, l’isolamento, la disperazione senza via d’uscita che vive Agnes e che viene trasmessa a noi senza fare uso di dialoghi esplicativi, ma solo tramite il volto, molto espressivo e sofferente, di Plaschg, e uno studio attento sugli interni spogli e lugubri e sugli esterni che ci raccontano di una totale indifferenza della natura per le minuzie della vita umana. 
Nessuno verrà mai in aiuto di Agnes: non può sperare che i suoi compaesani la capiscano e non esiste alcuna presenza soprannaturale, benevola o malevola non ha importanza, in grado di alleviare il suo dolore. 
A differenza di molti horror recenti, in cui l’intervento di ciò che il sistema patriarcale percepisce come maligno diventa al contrario salvifico, The Devil’s Bath non fornisce ad Agnes questa via di fuga. Giuro che ci ho sperato, in una conclusione alla The Witch. 

Al che riparte l’annosa questione: è un horror, The Devil’s Bath? 
Se vogliamo piegarci alla mera tassonomia, è un dramma storico con qualche elemento perturbante che affiora qui e lì. Dopotutto ci sono decapitazioni, arti mozzati, un paio di infanticidi e una procedura “medica” che mi ha fatto stare male più di tutti gli omicidi di In A Violent Nature messi insieme. Ma non è tanto la presenza di dettagli gore e atti violenti di varia natura, a mio parere, che permette di ascrivere il film alla famiglia allargata del cinema horror; è il linguaggio dei due registi ad appartenere intimamente al genere. Puoi togliere due registi come Fiala e Franz dall’horror, ma non puoi togliere l’horror da loro. Di conseguenza, ogni scena è costruita come se ci fosse qualcosa acquattato nell’angolo del fotogramma e pronto a balzarti addosso. Come se il dolore, l’angoscia e la malattia di Agnes non bastassero, c’è un costante e quasi persecutorio senso di minaccia. 
Insomma, si tratta di 120 minuti difficili, lunghi, abbastanza ostici e neppure benedetti da una qualche forma di catarsi, giusto perché sappiate a cosa andate incontro. Però si merita tutta la vostra attenzione e, anche se guardarlo sarà faticoso, come lo è stato per me, vi resterà marchiato a fuoco addosso per molto tempo. 

16 commenti

  1. Avatar di Fabio

    Sarò sincero con te Lucia,la coppia Fiala & Franz non mi è mai piaciuta,”Goodnight Mommy” era di una freddezza assoluta,davvero respingente,per quanto riguarda “The Lodge” devo ancora riprendermi dall’assoluta deprimenza che mi mise addosso….voglio dire un ragazzino è una bambina freschi di lutto intenti a fare certe cose boohh,eviterei il padre,vero vincitore del concorso “scemo dell’anno”,l’unico accenno di sorriso me lo diede rivedere Alicia Silverstone,sensazione vagamente positiva durata pochissimo,ci hanno pensato Fiala & Franz a togliermela,farò un ultimo tentativo con questo “The Devil’s Bath”,ma dati i precedenti,non so se cambierò idea su questa coppia!.

    1. Avatar di Lucia

      A me Goodnight Mommy non aveva entusiasmato. The Lodge invece mi era piaciuto molto. Questo è in linea con i film precedenti, quindi magari non ti piacerà.

  2. Avatar di L

    Mi erano piaciuti molto sia Goodnight Mommy che The Lodge. Anche questo mi ha convinto, anche se forse un filo meno. Non so cosa mi sia mancato. Certo é che alcune sequenze restano comunque ben impresse…
    Seguendo il paragone con Dancer In The Dark, forse la differenza fondamentale tra i due è in quel briciolo di speranza che Von Trier finge di darti ad un certo punto. Qui c’è solo melma fin dall’inizio.
    (se posso dire la mia, in generale (in questo caso lo avevo già visto), i riferimenti troppo espliciti ai finali dei film andrebbero evitati o messi sotto spoiler. Non serva che ci sia lo Shyamalan twist del caso, anche quando il finale è abbastanza palese a me leggere di come va a finire un film che voglio vedere disturba, e a volte compromette la visione)

    1. Avatar di Lucia

      Non ho fatto spoiler e non ho rivelato nulla sul finale. Di solito segnalo sempre. Ho solo detto che sul finale c’è una citazione diretta a un altro film, senza specificare quale. Potrebbe essere qualsiasi cosa.
      Se scorri nei vari post, ogni spoiler è sempre segnalato, a meno che non si tratti di film vecchi di parecchi anni.

      1. Avatar di L

        Secondo me dire che “Il finale è una citazione quasi alla lettera di Dancer in the Dark” è diverso da dire che c’è “una citazione nel finale”, che in quel caso potrebbe essere anche solo una canzone. Ma non voleva essere una critica, so che di solito segnali sempre lo spoiler, è solo l’effetto che quella frase avrebbe avrebbe avuto su di me se avessi letto la recensione prima di vedere il film.

  3. Avatar di alessio

    Grazie a Fiala e Franz per questo nuovo gioiello, per aver dissepolto una storia dimenticata, le nodose radici dalle quale veniamo; ma soprattutto dato voce a chi voce non ne aveva. Personalmente non credo che, a meno che non si parli de I Soliti sospetti o Il Sesto senso, si possa parlare propriamente di uno spoiler; dopotutto in American beauty il protagonista a inizio film ci spoilera già il finale ma in una storia credo conti il come non il cosa.

    1. Avatar di L

      Aspetta, è diverso. In American Beauty non spoilera il finale, che riguarda anche gli altri personaggi, ma fornisce solo la premessa per raccontare la storia… Il finale di AB non è certo “lui muore”, no?
      Che poi in film come Il sesto senso o I soliti sospetti la rivelazione finale sia fondamentale per la visione del film, e in altri film no siamo d’accordo. Prendi proprio Dancer In The Dark (mi pare di capire che anche per te la frase nella recensione abbia praticamente raccontato il finale). La sequenza finale, straziante, avrebbe avuto la stessa forza se qualcuno me l’avesse raccontata prima di entrare in sala? Il coinvolgimento, l’empatia verso la protagonista, lo sperare e soffrire con lei, sono gli stessi, se sai già che fine farà? La seconda visione è uguale alla prima? Secondo me, no. Secondo me, in generale al cinema, sapere più del necessario crea distacco.
      Poi l’importanza che si vuole dare a questo aspetto ci sta che sia soggettiva, che per me sia fondamentale e ad altri possa fregare meno lo capisco, ci mancherebbe.

      1. Avatar di alessio

        Ciao, a me sembra di ricordare un soliloquio di Kevin Spacey in cui ci dice che morrà, certo non è uno spoiler come sarebbe svelare il finale de Il Sesto Senso ma sempre di spoiler (della trama) si tratta… Ad ogni modo proprio perché conta “come” si arriva al finale (più avanti usi l’espressione “forma”) definire spoiler (che sostanzialmente ci potrebbe stare, ma bisogna anche mettersi d’accordo: “il linguaggio presuppone un’esperienza condivisa”) vero e proprio l’accostamento col finale di Dancer in the Dark lascia il tempo che trova perché 1) è palese già a metà film come andrà a finire e, soprattutto, 2) quel finale ha quella forza solo alla luce della fruizione integrale del film, lo prendi come visione singola e quella scena perde gran parte della sua drammaturgia (a me accade anche riascoltando le colonne sonore dei film fuori contesto, raramente tornano a emozionarmi altrettanto).

        1. Avatar di L

          Forse mi sono spiegato male. Si, in American Beauty il personaggio di KS inizia dicendo che è stato ucciso. Ma il fatto che sia una cosa che accade nel finale non rende questo aspetto “il finale” del film, che riguarda a quel punto gli altri personaggi (e la scoperta dell’assassino). Nessun film può iniziare raccontandoti “il finale”, al massimo può anticiparti qualcosa che accadrà nella parte finale della sceneggiatura, e se lo fa, lo fa in modo funzionale alla struttura del film e del suo finale, che privato di un contesto non funzionerebbe.
          Quanto poi la conclusione possa essere prevedibile, per quanto mi riguarda, è assolutamente secondario, senza contare che quanto qualcosa sia prevedibile è molto soggettivo. Che poi ad una seconda visione un finale possa perdere la sua intensità è inevitabile, ma a maggior ragione per me una prima visione deve essere libera da preconcetti e nozioni completa e vicina possibile a come pensata dal regista. L’esempio che fai tu delle colonne sonore è calzante. Sono state pensate e composte per essere viste con il supporto delle immagini, e in momenti specifici, dopo determinate note e risvolti nella sceneggiatura. Ascoltarle fuori contesto può essere piacevole o meno, ma sarà inevitabilmente diverso.

          1. Avatar di alessio

            Purtroppo non è questa la sede, cmq per chiudere mi sembra di capire che anche tu convieni che alla fine conta il “come” e anticipare, diciamo così, un’agnizione non è poi un vero spoiler (posto che ci si trovi d’accordo su cosa si intende per spoiler); così come resti marginale (nell’economia e bellezza della stragrande maggioranza dei film) la prevedibilità del finale (che sia soggettiva questa prevedibilità invece ho i miei dubbi: in The Devil’s Bath da un certo momento in poi diventa chiaro in quale direzione si dirige il film, a meno di non fare un torto agli sceneggiatori e imputargli mancanza di coerenza narrativa; perché qualcuno immaginava forse che Agnes si sarebbe sottratta al suo destino?).

        2. Avatar di L

          Però non è proprio quello che ho detto. Non ho detto che conti solo il “come”, e anticipare un azione che avviene nel finale non sia uno spoiler. Solo non lo è sempre, perchè non sempre il finale ruota attorno ad una singola azione, e non lo è se (come in AB) è una scelta narrativa dello sceneggiatore metterti al corrente di un avvenimento e poi far svolgere la storia in un flashback. Mi sa che stiamo andando un po’ fuori tema… 🙂
          Ho solo detto che secondo me, uno spoiler così “importante” sul finale di un film, in generale (questo film lo avevo già visto), per come vivo io la visione di un film, un po’ la compromette. E che, sempre in generale, sia meglio evitare di anticipare parti della sceneggiatura a chi non ha visto un film (non a caso anche su questo blog le anticipazioni vengono annunciate come spoiler). Credo sia abbastanza oggettivo, non credi? alla prossma! 🙂

          1. Avatar di alessio

            Soprassiedo sullo spoiler (troppe cose da dire, a partire da cosa intendiamo per spoiler ma non è questo il luogo). Sulla seconda parte della tua riflessione un po’ mi trovo in difficoltà perché avendo visto anch’io il film prima della recensione non so quanto abbia sentito come spoiler l’anticipazione di Lucia. Certo, è indubbio che ci siano molti punti di contatto col finale di Dancer in the Dark ma, tanto per dire, il lavoro di Franz e Fiala per quanto abbia un approccio documentaristico mostra una partecipazione e vicinanza, un’empatia verso Agnes che in von Trier è del tutto assente quindi… cosa effettivamente mi è stato anticipato? Molto e niente assieme. Ciao.

  4. Avatar di Valerio
    Valerio · ·

    A me il cinema di Fiala e Franz piace, al netto (o forse proprio per) della cappa deprimente che ti lascia addosso alla fine, unita pure a un certo compiacimento. Il voler insistere sul sull’orrore all’interno della famiglia, e su questo tema ormai siamo a una trilogia, me li rende ancora più simpatici. Sulla questione spoiler, che noia la dittatura della trama. Giusto da qualche secolo non ci sono più trame del tutto inedite, le strutture narrative dei generi sono piuttosto consolidate, pur con le variazioni che consentono un progresso nei generi stessi, che però sono eccezioni. La fruizione di un’opera narrativa consiste, almeno per me, nella fruizione della forma; lì si trova il vero contenuto.

    1. Avatar di Giuseppe
      Giuseppe · ·

      Assai deprimente, crudele e ostico (da Fiala e Franz non ci si potrebbe aspettare di meno) oltre che privo di qualsivoglia catarsi, ma mi hai convinto comunque a metterlo in lista…

    2. Avatar di L

      La vedo diversamente. Come dicevo in un commento più su, credo sia semplicemente soggettivo. Attribuire un’importanza diversa ai vari aspetti che vanno a comporre un opera trovo sia un’attività comprensibile e abbastanza diffusa, per quanto assolutamente arbitraria. Qualsiasi forma artistica è pensata e creata per essere apprezzata nella sua completezza, e così bisognerebbe fruirne. A prescindere da quali siano gli aspetti che più stimolano il nostro interesse.
      Comprometterne un aspetto per noi marginale equivale a mutilarla. Liberissimo di farlo, ci mancherebbe. Come saresti libero di vedere un film senza l’audio perchè stanco della dittatura di musica e dialoghi. 😉
      (discorso generale e non riferito certo alla recensione)

  5. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    WordPress ogni tanto mi piazza i commenti a caso (mi stavo rivolgendo a Lucia)…🤔