Aspettando Romulus: Alien Resurrection

Regia – Jean-Pierre Jeunet (1997)

Con gli anni che passano e diventando più matura (che è un modo come un altro per non dire decrepita) ho capito che non esiste nulla di più sciocco, inutile e infruttuoso di litigare per il cinema. O per qualsiasi altra cosa, a dire la verità: è proprio il concetto di litigare a sfiancarmi. Ci sono però quei quattro o cinque film per i quali sarei disposta a scendere in guerra, potrei far loro da scudo col mio corpo e difenderli a costo della mia stessa vita. Alien Resurrection è uno di essi.
Il miglior sequel dell’intera saga, ma allarghiamoci pure, il miglior film dell’intera saga, per me resta il secondo, ma non credo Aliens abbia bisogno di essere protetto o difeso. Resurrection è non soltanto il primo film sugli xenomorfi che ho visto in sala, è quello a cui sono più affezionata e anche quello che continua ogni volta a stupirmi e a incantarmi per il suo coraggio quasi incosciente.

Dopo Alien 3, alla Fox sono tutti un po’ traumatizzati, ma non abbastanza da pensare di fermarsi. Anzi, l’idea è quella di far scontrare le due creature dello spazio profondo più famose della Fox, Alien e Predator. Racconteremo la lunghissima vicenda del crossover nel prossimo post. Per ora, ci interessa soltanto sapere che la pre-produzione del film non va da nessuna parte e si torna a considerare una prosecuzione più tradizionale del franchise.
Chiamano un tale Joss Whedon per scrivere una sceneggiatura. Le fasi iniziali del progetto ancora non prevedono il ritorno in scena del personaggio di Ripley: protagonista del film doveva essere un clone di Newt. Come spesso accade, alla Fox si spaventano tantissimo e riescono a coinvolgere nuovamente Sigourney Weaver. Non c’è moltissimo da dire su questa fase dello sviluppo di Resurrection: Whedon scrive, la Fox e i produttori (che sono sempre Hill e Giler) chiedono delle modifiche, si arriva alla stesura definitiva e si cerca un regista; qui parte un valzer infinito di gente che passa e va via: Danny Boyle, Peter Jackson, Brian Synger. Alla fine la scelta, perché la vita è strana e folle e bislacca, cade sul francese Jeunet, al quale viene concessa libertà creativa quasi totale. 
Non perché alla Fox avessero appreso la lezione di Alien 3, ma perché non c’erano grosse aspettative su questo film: che dovesse essere una cosa molto diversa da tutti i precedenti è evidente dal nome designato alla sceneggiatura. Si cercava un tono più leggero, più da commedia nera, più in linea con la seconda metà degli anni ’90. 

Con un budget da 70 milioni di dollari (quindi non tantissima roba) si va a girare. Jeunet capisce che la Fox vuole da lui un film meno lugubre e austero rispetto ad Alien 3 e gli viene anche detto di andarci giù pesante con gore e violenza. È il 1997, bellezza. 
C’è soltanto un piccolo problema: Jeunet non parla inglese e sul set ha bisogno di un interprete. Ora, converrete con me che le incomprensioni linguistiche, unite a una certa distanza culturale, non sono proprio i requisiti necessari quando si parla di commedia. 
Whedon, sempre simpatico e soave come un crampo al culo, ha detto che la sua sceneggiatura era bellissima e Jeunet gliel’ha rovinata. Non spiega come. Non ha subito né pesanti modifiche né particolari distorsioni durante le riprese. Jeunet si è limitato a metterla in scena così come l’aveva letta e capita. 
L’unica cosa che mi sento di affermare con certezza è che la comicità è ciò che meno funziona in Resurrection. Tutte le battute sarcastiche dei personaggi, le famose one liners di cui il film pullula, cadono in faccia allo spettatore prive di impatto, e alcune sono addirittura imbarazzanti. Non so se sia perché carenti già sulla carta o perché Jeunet le ha filmate senza averne cognizione, perché il suo senso dell’umorismo non era lo stesso di Whedon, perché esiste, e non c’è niente di male ad ammetterlo, un divario culturale tra un regista europeo alla sua prima esperienza nel cinema hollywoodiano, e uno sceneggiatore americano di derivazione televisiva. 
La comicità meramente fisica, al contrario, è sempre perfetta. 
C’è anche da dire che Whedon è sempre stato molto bravo come autore televisivo, non cinematografico. Le sue esperienze più fortunate su grande schermo sono tutte costruite a partire da una base seriale, Avengers inclusi, e non intendo ricevere obiezioni. 
Di conseguenza, Resurrection ha dentro tanta di quella roba compressa in una durata anche abbastanza breve (109 minuti la versione in sala) che ci si potrebbe fare una miniserie di otto episodi e resterebbe materiale d’avanzo. 
Comunque la vogliate interpretare, qualcosa a livello di scrittura che non torna c’è. E non è colpa di nessuno. Ma almeno Jeunet non ha sputato sul lavoro altrui. 

Ammesso dunque che Resurrection ha dei problemi, passiamo a parlare di Jeunet.
Nonostante non abbia avuto una brillantissima carriera, è stato, almeno con i suoi primi 3 film, uno dei pochi artisti veramente visionari del passaggio tra gli anni ’90 e il nuovo secolo. Singolare il fatto che si sia rovinato quando è passato dalla fantascienza alla commedia. Una coincidenza? Io non credo. Per quanto mi riguarda, il trittico formato da Delicatessen, The City of Lost Children e Alien Resurrection è un dono inestimabile all’umanità. Di ciò che è accaduto dopo, non voglio parlare, perché i traumi non vanno rivangati.
Jeunet è un regista a suo agio con un registro grottesco e poco convenzionale, sempre un po’ non tanto sopra le righe, ma appena fuori. Questo modo così singolare di girare ha i suoi rischi, perché può sconfinare nel lezioso e nel manierista in un secondo, e infatti è ciò che è successo a Jeunet dal 2001 in poi, quando ha optato per la carineria al posto della gente mangiata dai condomini. 
Per realizzare un seguito di Alien diverso dagli altri, credo che lo stile di Jeunet sia perfetto, o meglio, sia stato necessario in quel momento specifico. 
Conosco e, in parte, comprendo pure le critiche dei detrattori: il tono di Resurrection sembra tutto sbagliato, soprattutto se si esce da Alien 3. E tuttavia, mi chiedo: ma la saga di Alien, almeno fino a qui, perché quello che è successo dopo, è un’altra storia, ha mai avuto un tono uniforme? A parte la presenza di Ripley e degli xenomorfi, non c’è nulla che accomuni tra loro i primi tre film. Il quarto appare troppo diverso perché è filtrato da una sensibilità che, associata alla serie, ci sembra (scusate il gioco di parole) aliena. 

Ma d’altro canto, è proprio questa sensibilità mai applicata a un film di questo tenore, a rendere Resurrection unico. E non solo: l’estetica del quarto Alien è frutto di un miscuglio di sensibilità. C’è Pitof a curare gli effetti visivi, c’è Nigel Phelps (Batman di Tim Burton) come scenografo, ci sono i disegni originali per i costumi e il design delle creature dell’abituale collaboratore di Jeunet Marc Caro. Il risultato è che l’Auriga, la nave militare su cui i pirati guidati da Michael Wincott portano il loro carico molto speciale, sembra un vascello gotico, costruito a partire da materiale organico. Si sviluppa tutta in altezza, nonostante il film si svolga in un remoto futuro e a bordo sia tutto iper-tecnologico, c’è un qualcosa di antico in quei corridoi, in quei laboratori, in quelle prigioni. La stanza dove tengono i cloni mal riusciti di Ripley (scena migliore del film, che se la batte solo con l’inseguimento subacqueo) arriva dritta da un Frankenstein a caso della Hammer. È un mondo in decadenza anche con tutti i progressi scientifici che ci vengono mostrati. Un mondo a un passo dalla propria fine. E tutto questo non ci viene detto o spiegato. È lì, visibile in scenografie, colori, costumi. 

Si tratta anche dell’Alien più ambiguo di tutti, senza una chiara distinzione tra bene e male, persino all’interno della stessa Ripley che “infettata” da DNA di xenomorfo non è più la roccia granitica che abbiamo visto nei film precedenti. Ogni personaggio ha i suoi tratti di ambiguità. Sono ambigue anche le relazioni tra loro. Quella tra Ripley e Call (Winona Ryder) che fa entrare di diritto Resurrection nel canone del cinema queer. E non esiste nulla di più ambiguo dell’ibrido partorito dalla Regina; una creatura che riesce, con un cambio di sguardo, a intenerire, terrorizzare, disgustare e suscitare una pena infinita. O forse sono io che non faccio testo che mi commuovo quando muoiono gli xenomorfi. 
Il punto, sensibilità personale a parte, è che Jeunet riesce, come pochi altri, a gestire visivamente la massa enorme di registri presenti nella sceneggiatura di Whedon e a portare a casa in risultato che pare coerente solo per lo sforzo enorme di sintesi fatto a livello di regia. 
Se è vero, come abbiamo già detto, che le battute non sempre arrivano nel modo giusto, Jeunet è capace di passare dalla comicità al dramma, dall’orrore alla quasi autoparodia anche all’interno della stessa scena, a volte persino della stessa inquadratura. 
Non è solo un film bello da vedere, è anche emotivamente forte, il più umano dell’intera saga. 
Poi, avrei potuto risparmiarvi tutto questo pippone e scrivere semplicemente Ron Perlman e forse sarebbe bastato, non lo sapremo mai. Ma ci tenevo a scrivere qualcosa di lungo e articolato su uno dei film che hanno formato il mio gusto cinematografico; uno dei film grazie ai quali amo così tanto il cinema. 

12 commenti

  1. Avatar di Valerio
    Valerio · ·

    Secondo una presunta “vulgata del cinefilo”, di questo film si dovrebbe parlare solo e soltanto male. Perché avrebbe “snaturato” la saga, posto che una natura originale della saga esista, e perché… Beh, perché Amélie. Che però è venuto dopo. Quella di film “più umano” di tutta la saga è una definizione che condivido. Io lo dico: il finale di Resurrection è quello a cui sono più affezionato.

    1. Avatar di Lucia

      Ma infatti, non esiste alcuna natura della saga. Sono tutti film talmente diversi tra loro che individuare un tono complessivo è impossibile. Persino quando Scott è tornato dietro la macchina da presa, ha fatto qualcosa di completamente diverso, ed è proprio questo il bello.

  2. Avatar di Frank La Strega

    Mi è sempre piaciuto. Credo che abbia delle sequenze molto fighe che restano nella memoria, come alcuni personaggi e dinamiche della storia. E, se lo si guarda dal punto di vista emozionale, tocca anche delle corde non banali. Come succede, ad esempio, con Sidney per Scream, i frammenti della storia di Ripley che si avvicendano di film in film la fanno diventare sempre di più una parte dello spettatore che cambia, riflette, “vive” il racconto con lei. A me capita, ad esempio. Questa cosa mi piace molto della saga di Alien. Ricordo anch’io di aver trovato Resurrection sorprendentemente “commedioso” sul piano “fisico” e stranamente poco divertente sul piano verbale.
    Comunque bello!

    1. Avatar di Lucia

      Io ho il timore che molti cinefili non apprezzino le stramberie. Sono cose da freak.

      1. Avatar di Frank La Strega

        Ogni tanto bisogna togliersi gli occhiali e guardare il mondo attraverso il mirino di un fucile puntato su di uno xenomorfo da una carrozzina armata mobile… 😉

  3. Avatar di Fabio
    Fabio · ·

    Sarei tentato di non aggiungere altro Lucia,anche io mi diverto un mondo con questo film,l’unico che viene costantemente ignorato,film successivi compresi,non sarebbe stato male proseguire la trama lasciata da “ALIEN RESURRECTION”,ma temo che il marchio dell’infamia che tutti gli hanno appiccicato sia impossibile da togliere,aggiungerei anche gli xenomorfi più belli in assoluto dell’intera saga,paiono coperti di catrame traslucido,li adoro!. Ma parlando di elementi sottovalutati ci tengo a menzionare la bellissima soundtrack di John Frizzell,mai menzionata,neanche di striscio.

    1. Avatar di Lucia

      Ecco, vedi, nella foga di scrivere, mi sono dimenticata di menzionare la bellissima colonna sonora, mannaggia a me.

  4. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Alien Resurrection per me è il canto del cigno di quello che considero il VERO Jeunet, prima delle sdolcinature alla Amélie, per intenderci (appunto). E, nonostante non tutto sia sempre calibrato come dovrebbe, quel suo graffiante umorismo nero lo si trova anche qui, all’interno di un quarto capitolo incompreso e bistrattato più del dovuto. Certo, non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe diventato il tutto seguendo l”idea originale di Whedon con Newt clonata al posto di Ripley, idea poi cassatagli in favore di quest’ultima, quando non sarebbe stato male procedere in parallelo rimettendole in gioco entrambe (credo si sarebbero create dinamiche interessanti fra la nuova Newt e una Ripley non del tutto umana)…

    1. Avatar di Lucia

      Sì, è il suo ultimo film davvero interessante. Poi non si sa che è successo, forse perché ha smesso di collaborare con Caro. Non lo sapremo mai.

  5. Avatar di Massimo
    Massimo · ·

    Dove c’è Ron Perlman c’è casa, è questo, tra i sei Alien, è il mio preferito dopo i primi due. Rivisto qualche settimana fa ha solo il difetto di una qualità video non all’altezza, perlomeno nella versione del box in dvd (non so se in blu-ray migliori), peccato, perché ha tra le scene più incredibili del franchise. Cast della madonna, battute secche e grandiose, neppure un secondo mal gestito. Lo amo.

  6. Avatar di cinefilopigro

    Credo di aver visto più volte questo quarto capitolo che non il primo di Scott. Magari sarò fucilato per questo, ma non è un problema. Lo vidi al cinema e anche per me fu il primo film della saga visto sul grande schermo, quindi ci sono affezionato. Sempre nel ’97, qualche mese prima vidi un altro film che mi esaltò “abbestia” e sto parlando di “Relic”, ma questa è un’altra storia. Rgiaurdo a “Resurrection” io trovo che sia veramente maltrattato dagli amanti della saga, molto più di quanto si merita, visto che è una sorta di mix ben riuscito di tutti i migliori elementi che lo hanno preceduto. Pure le sequenze d’azione (tipo quella sott’acqua) le trovo decisamente spettacolari e avvincenti. E niente, pure io potrei difenderlo in battaglia.

    1. Avatar di Lucia

      Siamo un piccolo esercito. Pochi, ma agguerriti. E possiamo contare sul supporto degli xenomorfi e dell’ibrido.