
Regia – Stephen Hopkins (1990)
Zia Tibia aveva voglia di un po’ di giungla urbana, e così l’ho accompagnata nella rovente Los Angeles del 1997, anno in cui è ambientato il film di cui parliamo oggi. Quest’anno il ciclo dedicato all’horror estivo è estremamente dadaista, non ha alcun programma preciso, esce a scadenze irregolari e non segue alcuna linea prestabilita. Si va a sentimento, e non so se è perché influenzata dalla maratona di Alien in corso o perché erano davvero tanti anni che volevo rivedere questo bistrattatissimo sequel, eccoci qua, a raccontarvi di quando Danny Glover scopriva un teschio di xenomorfo nell’astronave dei guerrieri con treccine più cool dell’universo.
È sempre stato terribilmente sottovalutato, Predator 2, sin dai tempi della sua uscita nelle sale americane, il 21 novembre del 1990, mandato un po’ al macello contro una serie di colossi di cinema per famiglie distribuiti a ridosso del periodo natalizio. È il film della saga che ha incassato di meno, e quello che ha ricevuto critiche più feroci. In parte è anche comprensibile, perché arrivare dalla perfezione assoluta del film di McTiernan imposta dei parametri molto alti. Ma, appunto, Predator 2 non aspira affatto a eguagliare il suo predecessore, lo sa in partenza di giocare in una differente categoria. Predator era serie A, Predator 2 è serie B. Ciò non significa che sia un brutto film, affatto. È soltanto un film di Stephen Hopkins. Non si può pretendere la sopraffina intelligenza di McTiernan da Hopkins, non si può chiedergli di fare la satira di un action anni ’80 con la precisione affilata di Predator, né tantomeno pensare di ritrovare in questo sequel la decostruzione del machismo operata nel 1987.
L’idea, molto interessante a dire la verità, del Predator che arriva a Los Angeles perché è un territorio di caccia adatto alle sue esigenze, viene sfruttata molto bene in alcune sequenze, tipo quella in metropolitana, dove pare che ogni abitante della città possieda almeno un cannone nello zaino o in borsetta, ma poco altro. È una scusa per cambiare scenario, per far scatenare il nostro alieno in un ambiente diverso e in cui non siamo abituati a vederlo agire.
Attratto dal calore (Los Angeles, nel 1997, è praticamente una fornace) e dalla violenza nelle strade, il Predator arriva in città e si mette in mezzo a una guerra tra gang rivali, facendo fuori diversi criminali incalliti neanche fosse una specie di vigilante mascherato. Sulle sue tracce, si mette la squadra del tenente Harrington, che è il classico poliziotto refrattario alle regole, tendente a sputare in faccia ai suoi superiori e a risolvere tutto a pistolettate. Della squadra fanno parte il novellino Bill Paxton e la divina Maria Conchita Alonso. Dentro al film vagano anche Gary Busey, che si trova qui per sostituire Schwarzenegger, e altre facce da cinema anni ’80 e ’90 che non faticherete a riconoscere.
Insomma, io non so come dirvelo che è uno spasso, anche soltanto per il cast affollatissimo, meno muscolare se paragonato al primo, ma più adatto ai toni da commedia fracassona che Hopkins conferisce al suo film.
Partiamo dalle cose belle: Predator 2 ha un ritmo tiratissimo. Come spesso accade nel cinema d’azione anni ’90, dura meno di due ore e fa succedere di tutto, è privo di tempi morti, dialoghi esplicativi o anche soltanto pause nella narrazione, e contiene almeno quattro scene madri, prima del finale, che oggi rappresenterebbero il punto più alto di un qualsiasi film d’azione della durata di 156 minuti sbattuto su Netflix e dimenticato dopo 30 secondi.
E tutto questo senza neanche arrivare all’inseguimento conclusivo tra Harrington e il Predator, che occupa graziosamente almeno una mezz’ora ed è una delle cose più divertenti a memoria d’uomo, tra Glover che si cala da un palazzo attaccato a un tubo e il Predator che si medica le ferite a casa di una signora dove finisce per sfasciare tutto.
Danny Glover, come improbabile antagonista dell’alieno, funziona a meraviglia, anche se sulla carta non avrebbe alcun diritto di funzionare, non dopo Dutch e i suoi bicipiti. Ma è proprio questo contrasto a dare al film la sua identità. E qui va dato credito a Hopkins che, dopo aver preso in considerazione Patricl Swayze e Steven Seagal (immaginate da cosa ci ha risparmiato il Signore), ha optato perché il suo protagonista avesse un aspetto piuttosto comune, da uomo medio. A scegliere Glover fu Joe Silver, produttore di Arma Letale.
A tutti coloro che si lamentano perché in Prey il Predator viene sconfitto da una femmina, vorrei ricordare che è stato preso a mazzate anche da un quarantenne con un po’ di panzetta.
Anche l’ambientazione funziona molto bene, proprio perché il film si basa sulla distanza dal suo prototipo e aspira a essere qualcosa di completamente diverso. La Los Angeles infernale messa in scena da Hopkins è meno interessante della giungla nel primo capitolo, perché per ovvi motivi manca quella sensazione di spaesamento, di essere braccati da un mostro in un luogo ostile e sconosciuto; di contro, vedere il Predator che si aggira in un contesto urbano, che salta sui tetti dei palazzi, fa strage in metropolitana, fa fessi gli agenti della CIA all’interno di magazzini dismessi e, in generale, interagisce con vari esemplari di umanità, è una delizia.
Cose meno belle: non sempre l’alleggerimento comico è ben calato nel flusso narrativo, il Predator che parla, per quanto possa essere esilarante sentirlo dire “Shit happens” non è proprio la migliore delle idee, non se si vuole mantenere intatto il fascino del mostro, che qui è un po’ in calo, soprattutto quando decidono che deve farci ridere. È un po’ un’operazione Fred Krueger, da spauracchio a pagliaccio nel giro di un paio di film. La connessione con il primo film è un po’ tirata per i capelli e poteva benissimo essere eliminata, una volta stabilito che il Predator è una specie che si sposta per l’universo in cerca di nuovi territori di caccia.
È un po’ tutto troppo sopra le righe, dall’incazzatura perenne di Harrington che tu stai lì che ti chiedi quando gli partirà un embolo, alla grottesca raffigurazione delle gang di criminali. Ma va bene, è davvero un B movie e sono dettagli e caratterizzazioni tipici del periodo. Gli si vuol bene lo stesso.
Importante sottolineare che le origini di un film di cui dovremo parlare tra pochissimo si trovano qui, e che l’interno dell’astronave dei Predator è un piccolo gioiello di scenografia.
Magnifico il finale, con l’arma del XVII secolo che ci fa capire (senza dialoghi) come la presenza dei Predator sul nostro pianeta sia da far risalire a parecchio tempo addietro.
Per quanto sia una serie abbastanza sfortunata, Predator ci ha sempre regalato tanta gioia. Un’estate senza Predator non è degna di essere vissuta.












Hai la capacità di far venire voglia di vedere anche il più filmaccio dei filmacci…questo da qualche parte si recupera?
Grazie! È un gran bel complimento.
Come tutta la saga di Alien e Predator, si trova su Disney +
Non lo trovo affatto male tuttora, ha enormi difetti, ma è tuttora assolutamente godibile.
Film divertentissimo e cattivo al punto giusto. Mi è sempre piaciuto. La serie B di questo tipo mi manca tantissimo!
Lo dico scherzando (ma non troppo): non so quanto questo film sia materiale per Zia Tibia. Non può, e neanche vuole, eguagliare il primo capitolo, ma la varietà di situazioni, la consapevolezza della propria natura, il ritmo e le trovate di regia quasi me lo fanno preferire, anche perché il tono generale del film è ispirato in modo evidente a Robocop. Non fosse stato un seguito, avrebbe ricevuto un’attenzione diversa. Noi siamo qui per concedergliela.
No, qui proprio non siamo dalle parti della satira o, ancora, della decostruzione machista appartenenti al capostipite (e questo vale tanto per il nuovo cacciatore quanto per la nuova preda) ma nel volersene saggiamente discostare “Predator 2” funziona comunque a dovere: una serie B di serie A, mi viene da dire, e il fatto che a dirigere ci sia un grande appassionato nonché collezionista di fumetti (in un’intervista d’epoca già vantava di possederne oltre ventimila) come Stephen Hopkins ai miei occhi gli fa guadagnare punti in più 😉
Peccato che Stephen Hopkins non giri quasi più film (s’è buttato sulle serie, peraltro neanche male), un posticino per lui nel mio cuore ci sarà sempre, certamente per questo, che rimane un frullatone fumettoso che ogni volta che passa da qualche parte mi impone di essere rivisto, ma pure per un’altra perla dei 90, Blown Away.
Medaglia d’oro poi per le morti struggenti dei personaggi a contorno.
Per quanto in alcuni momenti il film tiri fin troppo la corda a livello di caratterizzazione dei personaggi, devo dire che è divertente. Oggi pellicole di fascia media d’azione come queste sono una chimera il che fotografa benissimo lo stato attuale del cinema statunitense.