I Saw the Tv Glow

Regia – Jane Schoenbrun (2024)

Vi avevo detto che sarebbero arrivati un paio di film molto difficili e pure un po’ pesanti. Questo è il primo, e io vi giuro che sto qui ferma davanti allo schermo del pc da circa un quarto d’ora senza riuscire a trovare la prospettiva corretta per parlarne. Il secondo film di Jane Schoenbrun (il primo, We’re All Going to the World’s Fair, non mi era piaciuto e mi aveva annoiata moltissimo) colpisce un po’ troppo sul personale per darne un giudizio distaccato e coerente.
Separare l’allegoria dell’esperienza queer messa in scena da Schoenbrun (e, nello specifico, dell’esperienza trans) da quelli che sono gli effettivi meriti estetici e narrativi del film è un’impresa che non so neanche se ho voglia di affrontare, non per altro, ma perché non credo che le due cose possano essere separate. Il problema è il linguaggio usato da Schoebrun, che mai è stato nelle mie corde e mai lo sarà, e che tuttavia è il linguaggio più aderente all’obiettivo principale del film. Capirete quindi che è un bel casino.

Il linguaggio è quello del weird, e credo sia una delle rarissime volte in l’influenza di Lynch non viene citata a sproposito. I Saw the Tv Glow è davvero il figlioletto queer di Twin Peaks, e non solo perché ne condivide i ritmi narrativi, in particolare dell’ultima stagione uscita nel 2017, ma perché il film affonda le sue radici emotive nella nostalgia televisiva anni ’90.
La prima parte di I Saw the Tv Glow è ambientata tra il 1996 e il 1998 e racconta di due ragazzini delle medie che fanno amicizia grazie alla fittizia serie televisiva The Pink Opaque. Il loro legame si basa sul condividere la passione per questo programma, che è una sorta di Buffy versione super weird, riprodotto nel film con una precisione filologica per un certo tipo di estetica, propria del periodo storico di riferimento, davvero sbalorditiva. 
Owen e Maddy prenderanno poi strade molto diverse: Maddy sparirà dalla circolazione, abbandonando la squallida provincia; Owen rimarrà incatenato nella cittadina in cui è cresciuto. 

Schoenburn descrive molto bene l’isolamento adolescenziale e la disperata ricerca di una realtà diversa, di solito sublimata attraverso un attaccamento viscerale a un qualsiasi prodotto di finzione. Insomma, ci siamo passati più o meno tutti, il fattore nostalgico è perfettamente comprensibile a chiunque. La differenza qui sta proprio nella codifica queer che viene data alla storia, attraverso l’uso dei colori, dei costumi, di determinate parole, di gesti e atteggiamenti che vanno a comporre quasi una serie di segni esoterici dedicati a una specifica categoria di persone.
Non so, e non lo so davvero, non è un artificio retorico, se un film così sia in grado di comunicare con chi questa esperienza non la condivide. Ed è per questo che non mi riesce facilissimo parlarne. 
Io sono più anziana di Schoenburn, quindi i miei riferimenti di cultura popolare sono un po’ diversi dai suoi. Per dire, quando è uscito Buffy ero già troppo grande per costruirci sopra la mia identità. Eppure, anche se con qualche anno di scarto, e per altre cose (per me erano soprattutto i film dell’orrore), ho provato quel tipo di attaccamento che serviva a specchiarmi in qualcosa che, nella realtà, non esisteva. 

Non arriverò a dire che ho scoperto di essere lesbica grazie all’horror, perché ci sono stati anche altri fattori, ma l’horror ha avuto di sicuro un ruolo determinante. E, per quanto io mi possa sforzare, è una cosa che non posso spiegare a chi non ci è passato. Per tornare a citare Lynch: no, non intendo approfondire.
Ma quando capita un film che racconta esattamente quella roba che tu non sei capace di spiegare, è logico che ti arrivi molto forte e raggiunga una parte molto intima e profonda di te. Non che Schoenburn la spieghi, e infatti I Saw the Tv Glow usa il weird, la mancanza di una narrazione tradizionale, il linguaggio allegorico e ogni tipo di stramberia a livello stilistico, proprio perché elaborare l’emergere di una identità marginale attraverso legami improbabili e altrettanto improbabili prodotti di finzione, non è possibile. Non è razionale, non è comprensibile, è uno stato d’animo, un sentire vago, un dolore che ti attanaglia e che non sai bene da dove provenga: è come quando ti fa male tutto, sempre, in ogni momento, e ti aggrappi ai rari attimi in cui la sofferenza svanisce, ma non c’è un nome per quel sollievo. 
Ecco, tutto questo strano intruglio l’ho vissuto da capo guardando I Saw the Tv Glow, come se avessi ancora 14 anni. Non so neanche se mi è piaciuto. 

Anche perché la seconda parte del film è così tragica, feroce e spietata nei confronti di Owen che si arriva alla fine tremanti e in debito d’ossigeno. Owen rifiuta di essere Isabel e viene punita in un modo che è semplicemente atroce. D’altro canto Maddy è costretta a passare attraverso un’ordalia vera e propria per rivendicare se stessa, e non capisco il fine ultimo di tutta questa severità nei confronti dei personaggi. O meglio, lo capisco, ma non so quanto sia giusto dire che il prezzo da pagare per far emergere il proprio io sia altissimo, ti porti a un passo dalla follia e ti condanni alla solitudine più assoluta. Se Isabel, da un punto di vista metaforico, muore, e Owen si scusa con chiunque per ciò che è,  Maddy a sua volta non vive bene. Non c’è un briciolo di speranza in I Saw the Tv Glow: sotto i neon rosa fluo, il camp affettuosamente ridicolizzato di The Pink Opaque, c’è una melma nera che risucchia ogni cosa e lascia intorno a sé solo macerie e dolore. 

Cercando di rimanere distaccata almeno nell’ultimo paragrafo di questo articolo incomprensibile ai più, bisogna dire che Schoenburn realizza un film incredibilmente pretenzioso e compie una serie di scelte discutibili, a partire dal ritmo dei dialoghi, che sembrano pronunciati da persone in stato letargico, passando per l’inserimento di numeri musicali privi di qualsiasi correlazione con la vicenda narrata, fino ad arrivare a una lentezza che, in alcune circostanze, porta all’esasperazione. Tutti tratti ereditati dal suo film precedente e qui appena ammorbiditi dal budget superiore e da un nucleo centrale meno dispersivo, ma temo facciano parte del suo modo personale di fare cinema e forse non andremo mai d’accordo. 
Tuttavia, I Saw the Tv Glow mi ha parlato e mi ha lasciato scossa e traumatizzata, quindi, al netto di una incompatibilità tra i miei gusti e lo stile molto caratterizzato di Schoenburn, è un film potente e importante. 
Fatemi sapere cosa ne pensate. 

14 commenti

  1. Avatar di Blissard
    Blissard · ·

    Ti riporto quanto ho scritto a caldo:

    Perfettamente in linea con alcune delle tematiche e con le atmosfere già emerse in We’re All Going to the World’s Fair, I Saw the TV Glow è strutturato come un’allegoria della transizione di genere ma tocca l’universale paura di sentirsi “fuori posto”, “fuori luogo” e prigionieri di una realtà nella quale non ci si riconosce.Solitudine e confusione affliggono il protagonista Owen, talmente chiuso in se stesso e ansioso da rasentare l’autismo, che però trova una valvola di sfogo nel mondo fittizio (?) di un telefilm (apparente punto di incontro tra Buffy l’Ammazzavampiri e The X-Files, con un pizzico di Sense8) dentro il quale sembra, come Maddy, sentirsi “a casa”.Nella visione di Jane Schoenbrun noi non siamo corpi, siamo flussi alla (impossibile) ricerca di un’identità, governati da forze arcane (Mr. Melancholy, la cui raffigurazione richiama palesemente la luna di Melies, ma anche le figure archetipico/edipiche dei genitori di Owen) e divisi tra più mondi paralleli tra i quali non è sempre facile distinguere quali siano quelli reali e quali quelli immaginari, quali quelli presenti, quelli passati o quelli futuri.Elegante, intenso, a tratti respingente, dotato di una di quelle colonne sonore che – in altri tempi – si sarebbe corsi ad acquistare in un negozio di dischi, I Saw the TV Glow sembra crogiolarsi nella sua alterità ma rimane un piccolo capolavoro retrofuturista di fantascienza esistenziale, un horror dell’anima dai tratti originali e dalla trama avvolgente.Indimenticabile (e straziante) il finale

    1. Avatar di Lucia

      Tu lo sai, io ho sempre dei problemi di accettazione dell’esoterismo cinematografico. Il film è di sicuro una meraviglia da vedere e io l’ho già visto un paio di volte. Il mio unico problema è: ma questa ossessione elitaria ha un qualche senso?

      1. Avatar di Blissard
        Blissard · ·

        Capisco la tua critica e non ti so rispondere. La linea di demarcazione tra autorialità esasperata e autocompiacimento è molto sottile e la discriminante è spesso più relativa agli occhi di chi guarda che a elementi “oggettivi”. Personalmente ammiro l’intensità che la regista infonde nelle immagini, ma al tempo stesso anche io ho trovato respingente il film in alcuni frangenti

        1. Avatar di Lucia

          Ecco, qui è tutto molto intenso e anche sentito, quindi credo sia giusto pensare che Schoenbrun si esprima così e basta. Però, davvero, la botta emotiva del finale è uno strazio indicibile.

  2. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Io non ho visto We’re All Going to the World’s Fair, motivo per cui nei confronti dello stile di Schoenburn vado praticamente alla cieca…

    1. Avatar di Lucia

      Io il primo non lo consiglierei neanche al mio peggior nemico. Questo è da prendere con le molle.

  3. Avatar di adriana
    adriana · ·

    mi ha rimescolata molto dentro…non riesco a capire se mi è piaciuto, ma siccome già a metà film mi sembrava di essere scesa in un pozzo nero e freddo, la fine non l’ho vista. Vedo che ho fatto bene.

    1. Avatar di Lucia

      Esatto, sembra di cadere in un pozzo nero, è una definizione perfetta per questo film. Ti spezza. Non so se consigliarti di finire di vederlo, perché gli ultimi 10 minuti sono una cosa sfiancante e dolorosa.

  4. Avatar di L

    Concordo sulle conclusioni, ma le mia esperienza è stata diversa. Nel senso che vedo volutamente i film senza sapere nulla di contesto e trama, e al fatto che fosse un’allegoria del mondo queer ci sono arrivato solo dopo un po’. Visivamente ci sono alcune sequenze bellissime. Il mood weird e il resto mi hanno coinvolto poco. Ma il finale, oltre che straziante, è di una potenza tale da lasciare spiazzati. Ancora non ho capito se mi è bastato per valutare positivamente il film. Forse no, ma il solo fatto che mi ponga il dubbio è già qualcosa.

    1. Avatar di Lucia

      Io conoscendo il lavoro di chi ha diretto il film, avevo la certezza anticipata che fosse un’allegoria queer e trans, però ci sono andata anche io senza sapere quasi niente. Il mood weird mi respinge sempre, ma qui ha senso.

  5. Avatar di Davide
    Davide · ·

    Mi accorgo solo ora che sei tornata, GRAZIE sono felicissimo 🙂

    1. Avatar di Lucia

      Grazie a te!

  6. Avatar di alessio

    “D’altro canto Maddy è costretta a passare attraverso un’ordalia vera e propria per rivendicare se stessa … ma non so quanto sia giusto dire che il prezzo da pagare per far emergere il proprio io sia altissimo” ti chiedi. C’è una scena all’inizio, un piano sequenza nella quale Owen attraversa i corridoi della scuola e, mentre sullo schermo vediamo formarsi i pensieri di Maddy riposti nel diario su The Pink Opaque, leggiamo anche i poster motivazionali appesi sulle pareti della scuola, su di uno in particolare si ferma la camera dandoci il modo di leggerlo con calma: “Pain is weakness leaving the body” ecco, da questo doppio contrasto tra gli appunti scritti a mano di un’adolescente che cerca rifugio e risposte in una serie tv e quelle frasi fatte, tutte uguali nei caratteri e nei contenuti, che non lasciano possibilità né prevedono fallimento e che non prendono in considerazione la possibilità di indugi, incertezze, domande cosicché il dolore si derubrica a mera debolezza e non al faticoso prodotto di crescita c’è una risposta nella scelta che dà Schoenbrun alla tua domanda, per me. P.s. Faccio parte della comunità più numerosa di questo mondo (etero e cis) ma in Owen e Maddy mi ci sono riconosciuto anch’io.

    1. Avatar di Lucia

      Ma infatti è una cosa molto bella che ci sia riesca a riconoscere in qualcosa che è distante da noi e dalla nostra esperienza personale.
      Non so però quella cosa del dover passare attraverso dolori indicibili per affermare la propria identità. Nonostante tutto, continua a non convincermi. Continua a non tornarmi. Che poi sia di fatto così per molti e molte è verissimo. Ma mi lascia sempre molto triste e sconfitta.