Tanti Auguri: 30 anni de Il Corvo

Regia – Alex Proyas (1994)

Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Lo sapevo e lo temevo, perché Il Corvo avrà pure trent’anni, ma io saranno circa 25 che non lo rivedo ed è sempre stato un bel ricordo di gioventù. Ero una quindicenne metallara quando è uscito in sala, sono andata a vederlo con altri quindicenni metallari un sabato pomeriggio, in un cinema, Il Metropolitan a Via del Corso, che oggi neanche esiste più. C’era da un lato l’entusiasmo per un film che, una volta tanto, sembrava tagliato su misura per noi e per quelli come noi; dall’altro c’era l’attrazione morbosa per l’opera maledetta, che aveva causato la morte del giovane attore protagonista. E tutti giù a chiedersi se avessero mantenuto nel montato il momento preciso in cui la 44 Magnum di Funboy uccide il povero Brandon Lee al suo primo ruolo davvero importante dopo una manciata di film action di serie B. 
Mi ricordo speciali televisivi che ti spiegavano come l’attore fosse stato sostituito dal computer (sic!) nelle poche scene anche ancora gli mancavano da girare, mi ricordo la colonna sonora fissa per mesi e mesi nel mio stereo, mi ricordo che a un certo punto tutti andavano in giro in trench. 
Questo per dire che Il Corvo è un film così radicato in un determinato periodo storico e in un immaginario estremamente specifico, quello gotico dei primi anni ’90 (anche se il fumetto guarda più indietro), che davvero c’è da domandarsi se ha senso rivederlo oggi, se non è meglio che se ne stia buono nella sua nicchia come un reperto archeologico ricoperto di polvere.

L’adattamento cinematografico del fumetto di O’Barr doveva essere un DTV, all’inizio. Non era considerato materiale adatto al grande schermo. Il produttore, Edward Pressman, si mette in cerca di un regista di videoclip per affidargli il film. La scelta cade sull’australiano Alex Proyas, che aveva già diretto un lungometraggio nel 1987, ma poi si era fatto una carriera nel mondo dei video musicali. La Paramount si offre di distribuire il film, programmato per l’agosto del 1993. Poi succede quello che tutti sappiamo, un brutto incidente causato da un insieme di fattori: i soldi erano pochi, c’era fretta di finire, la produzione aveva pensato bene di mandare a casa in anticipo il responsabile diretto delle armi da fuoco e l’assistente che lo sostituiva non sapeva che bisognava ispezionarle prima di girare ogni inquadratura. C’è almeno un’altra mezza vagonata di ragioni per cui le riprese del 31 marzo 1993 sono finite in tragedia, ma paradossalmente, è stata proprio la tragedia a portare il film in sala. 
Con il tipico cinismo in cui gli addetti ai lavori spesso sguazzano, la Miramax aggiunge altri 8 milioni di dollari al budget per completare le riprese (riscrivere la parte iniziale, realizzare gli effetti speciali che avrebbero permesso di sostituire Lee) e acquisisce la distribuzione del film, che arriva nei cinema il 13 maggio del 1994 e incassa in tutto il mondo 94 milioni di dollari. Ne era costati 23. 

E per forza, aggiungo io.
Il Corvo di O’Barr era stato un moderato successo underground, rivolto a un pubblico ristretto e molto circoscritto; il film, per la natura stessa del mezzo cinematografico, aspirava a raggiungere più persone (metallari e goth quindicenni come me, credo), ma si trattava comunque di un low budget che, in teoria, in sala nemmeno ci doveva arrivare o forse ci sarebbe arrivato in distribuzione limitata. La spinta data dall’orribile vicenda della morte di Brandon Lee al film è innegabile. Quello che tuttavia lo ha fatto diventare un fenomeno generazionale è la sua estetica, di cui forse non si sarebbe accorto nessuno se non fosse stato per l’incidente sul set. Ma, appunto, è un’estetica così forte, così caratterizzata e anche così facile da recepire, nonché da imitare nel quotidiano, che, una volta arrivata per vie traverse al grande pubblico, non fa prigionieri. 
Ora, la domanda è se, trent’anni dopo, c’è ancora qualche valore nel film, oltre questa estetica. 

Parto dall’annuncio del remake in arrivo a fine estate e dal trailer, che ha risvegliato i miei coetanei dal letargo, sollevando veementi proteste, neanche ci fosse un genocidio in corso. 
A me è parso semplicemente logico che l’estetica de Il Corvo venisse presa e gettata senza troppe cerimonie nello scarico del gabinetto, per fare spazio a qualcosa di più consono all’anno del Signore 2024. Ho anche buttato lì, come osservazione generale, che già nel 1994 a Eric Draven era stato risparmiato il mullet che portava nel fumetto, ma non ho ricevuto risposte troppo urbane. Quando dici a un quarantenne nostalgico che l’estetica cambia nel corso degli anni, rischi di spedirlo all’ospedale con un infarto in corso. 
E insomma, Il Corvo è un film molto datato, amicə vicinə e lontanə. Rivisto oggi fa quasi impressione: è un videoclip lungo 104 minuti, in particolare, e per ovvi motivi, nella parte iniziale, quando dovettero fare le capriole cinesi per sopperire all’assenza di Brandon Lee. Poi il film diventa un minimo più digeribile e narrativo, ma soffre per aver eliminato molta della violenza e della cupezza presenti nel fumetto e per rifiutarsi sistematicamente di dare anche una minima sfumatura di ambiguità al suo protagonista che tra un po’ lo fanno santo. 

I delinquenti responsabili della morte di Eric e della sua fidanzata Shelly non sono dei semplici balordi che i nostri hanno la sfortuna di incontrare per strada: c’è dietro tutta una sotto-trama molto confusa su un complesso di appartamenti di cui il cattivone Top Dollar (Michael Wincott che si carica sulle spalle metà film) vuole impadronirsi; Eric stesso è sì un individuo tormentato, ma non è la visione da incubo sull’orlo della follia uscita dalla mente di O’Barr. Ogni cosa è alleggerita, resa pressoché innocua, depotenziata. Alla fine, Eric appare più come un supereroe vagamente tetro che come l’implacabile spettro autolesionista e ossessionato dal dolore presente su pagina. Cose ovvie, certo. Il cinema semplifica sempre, a maggior ragione nel 1994, quando l’horror era in crisi nera e le intenzioni erano quelle di lucrare il più possibile su un fumettaccio letto dai tipi strani. Oggi forse si potrebbe fare meglio, e io sinceramente ci spero tanto. 

Lasciate stare che la vostra affezionatissima sente mezza nota di Burn dei Cure, messa ad accompagnare la scena della vestizione di Eric e le vengono sei metri di pelle d’oca. Queste sono cose personali: i film che hanno condizionato la nostra crescita continuano a piacerci, anche quando ci rendiamo conto che forse non erano dei bei film. Il Corvo non è un bel film, anche se ha dentro delle cose bellissime, tutte dovute all’arguzia e alla destrezza di Proyas, un regista dalla carriera finita e dalle opinioni discutibili, ma con un occhio straordinario, soprattutto nella composizione delle sequenze più statiche, perché quando passa a quelle action tende ad andare in over editing e non si capisce nulla di quanto accade sullo schermo. Però è un dato di fatto che, in questo e nel suo film successivo, abbia dato vita a immagini che ormai fanno parte dell’iconografia del cinema gotico. 
Proyas ha un’idea chiarissima dei dettagli capaci di risucchiare lo sguardo degli spettatori e di restarvi anche impressi per anni. Io del film ricordavo poco e nulla (avevo dimenticato che ci fossero dentro Tony Todd e David Patrick Kelly), ma quei quattro o cinque tagli divinamente azzeccati da Proyas ce li avevo scolpiti nella memoria, così come, e scusate se ripeto questa parola duecento volte nel corso del post, l’estetica generale del film. 

Che è coloratissimo. Sì, è girato tutto di notte e sono tutti vestiti di scuro, ma è così saturo che i pochi colori spiccano come altrettanti cazzottoni negli occhi: il sangue (quel poco che si vede), i fiori che Eric trova sulla tomba di Shelly, il cappello rosso di Myca e l’arancione sparato a mille del fuoco. E in effetti, il cinema gotico (quando non era in bianco e nero) si è sempre distinto per i colori molto accesi. Questa è una cosa in cui il film non è invecchiato e anzi, fa l’effetto contrario paragonato a questa stramba concezione di gotico odierno secondo cui tutto deve sempre essere smorto e marroncino. 
Credo di essermi persa e di non avere una risposta precisa alla domanda iniziale. Il Corvo è un film che ha sofferto moltissimo i colpi inferti dal tempo e che rivisto nel 2024 a volte fa l’effetto di unghie sulla lavagna o addirittura di imbarazzo (come nel finale); regge ancora perché c’era una persona che sapeva quello che stava facendo dietro la macchina da presa, perché ha un protagonista con un carisma strabordante e dei comprimari eccellenti. Per il resto è un melodrammone gotico in cui è tutto urlato e, quando va bene, detto a voce alta e anche ben scandito. 
Sarebbe ingiusto tuttavia negarne l’importanza e trattarlo con sufficienza. E mentirei se dicessi che, nonostante tutto, non gli voglio un gran bene. Lo devo alla quindicenne metallara che sono stata e che, in parte, sono ancora. 

14 commenti

  1. Avatar di Fabio

    “Il Corvo” di Alex proyas è un film a qui voglio un gran bene,e che nonostante mi catturi ogni volta che lo rivedo, sicuramente si porta sulle spalle il peso degli anni,è nel mio caso confesso di avere una insana passione per il secondo film di Tim Pope “La Città Degli Angeli”,che su alcuni elementi tendo a preferire al primo. Per quanto riguarda il nuovo adattamento in uscita questa estate,era prevedibile che avrebbe scatenato un putiferio,ma era piuttosto logico che avrebbero puntato su un approccio differente,è comunque mirare solamente a compiacere i vecchi fan,raramente si traduce in un successo commerciale,è poi mi fa molto piacere l’idea di rivedere Danny Huston in un ruolo da cattivone,per qui buona fortuna al nuovo film,nella speranza che sia un “bel film”,è anche buon compleanno al film del ’94!.

    1. Avatar di Lucia

      Gli voglio bene anche io. Sarebbe impossibile il contrario. Poi dove c’è Danny Huston ci sono sempre anche io, per principio insindacabile

  2. Avatar di Frank La Strega

    Wow, che ricordi.

    Per me è stato un po’ diverso: ero un super metallaro ma non del metal/rock de Il Corvo, quindi la musica del film era una cosa nuova che apprezzai molto.

    L’ho rivisto da poco e devo ammettere che mi è piaciuto ancora di più del ’94. Non saprei dire perché. Forse perché oggi sono sì più esperto e scafato, ma al tempo stesso molto più aperto, accogliente ed emozionabile di quando uscì il film. La sua semplicità insieme all’efficacia di quello che racconti anche tu mi ha ri-preso alla grande. Forse. Ci sono poi alcuni aspetti della diversità, della solitudine, della ricerca di affinità… che io ci leggo e che vivo ancora talvolta in modo catarticamente melodrammatico (per scelta), quindi Il Corvo mi conquista, magari a piccole dosi, anche oggi.

    Del fumetto non so nulla.

    Besos!🙂

    1. Avatar di Lucia

      Io pure ero una super metallara ma non propriamente goth, però Il Corvo lo andammo a vedere tutti, goth o non goth, anche perché ai tempi non c’era molto altro in giro, cinematograficamente parlando. C’erano tante colonne sonore di film horror metal, ma niente con quel tipo di estetica.

      1. Avatar di Frank La Strega

        Assolutamente! Tutti al cinema, anche con la pioggia.
        Che, tanto, “non può piovere per sempre!”

  3. Avatar di loscalzo1979

    Sicuramente la scomparsa tragica di Lee ha gettato quell’aura di cult su un film (buono, va detto) che probabilmente senza avrebbe avuto un minore impatto mediatico e generazionale.

    I seguiti (salvo il secondo, gli altri nemmeno li considero) e il remake non hanno avuto la stessa forza mediatica, ma non per chissà quali nostalgie, ma per la debolezza delle sceneggiature e scelte cinematografiche fatte.

    1. Avatar di Lucia

      Tu pensa che io non ho visto nessuno dei seguiti. Però mi parlano abbastanza bene del secondo. Ora vediamo cosa succederà con il remake che arriva ad agosto.

  4. Avatar di Giuseppe
    Giuseppe · ·

    Sì, in effetti con Il Corvo è un po’ difficile usare espressioni del tipo “trent’anni e non sentirli” (perché qui si sentono e per svariati motivi, appunto), anche se gli si vuol bene comunque. Io, però, mi chiedo che senso possa avere un suo remake contemporaneo, e questo al di là della questione estetica (estetica che, com’è ovvio, è inevitabilmente cambiata da quegli anni): l’opera originale di O’Barr ha già sofferto di una gestione pessima ai tempi, come anche i sequel hanno ampiamente dimostrato e, oggi come oggi, io non riesco ancora a intravedere una reale volontà di fare meglio (al di là delle intenzioni). Poi magari verrò smentito dai fatti ma, per il momento, rimango dell’opinione che forse sarebbe stato meglio passare ad altro…

  5. Avatar di Valerio
    Valerio · ·

    Pregi e difetti, esattamente come dici. Ha colto lo spirito del momento, con tutto quel che ne consegue, lascito nostalgico incluso. Poche opere riescono a farlo, quindi è giusto ricordarlo e anche volergli bene, anche per gli innegabili meriti. Non a caso, dopo Dark city (anche quello centrato in quanto a estetica) e finiti gli anni Novanta, la carriera di Proyas è andata perdendosi. La trama del Corvo è universale, declinabile in qualsiasi contesto, quindi sono assai curioso di vedere il remake, per Bill Skarsgard e Danny Huston e per le scene d’azione che stavolta mi sembra promettano molto bene.

  6. Avatar di Daniele Volpi
    Daniele Volpi · ·

    Lu, sperando di trovarti in forma, ti confermo: si anche al sottopscritto l’ascolto di Burn fa questo particolare effetto… E, si, il film è invecchiato (male/bene a chi legge l’ardua sentenza) ma fa sempre piacere vederlo.

    Certo che ritrovarsi l’ennesimo remake… giù al bosco di Holly hanno problemi di creatività sempre più pesanti.

    1. Avatar di Lucia

      Io però sulla faccenda della crisi creativa non sono tanto d’accordo: è pieno zeppo di film che non derivano da property precedenti. E questo blog ne è perenne testimonianza. Poi sì, fanno i remake, come si sono sempre fatti da quando esiste il cinema, e traggono film da libri e fumetti, come sempre si è fatto da quando esiste il cinema.

      1. Avatar di Giuseppe
        Giuseppe · ·

        Il remake che aspetto da una vita è quello de “Il Pianeta Proibito”, ma fino ad oggi nessuno pare ancora averlo in considerazione (almeno, non seriamente)…

        1. Avatar di Lucia

          Sì, anche a me piacerebbe vedere una nuova versione. Sarebbe molto interessante

  7. Avatar di Frank La Strega

    L’ho rivisto stanotte, con la pioggia, dopo mezz’ora notturna in auto in mezzo al… mare (da queste parti si naviga oggi, non si guida…)

    Mi ricordavo che nel film pioveva così tanto da far venire il raffreddore solo a guardarlo e mi sembrava perfetto per una notte “strana” col temporale fuori.
    Ed è stato davvero figo e… adolescenziale.

    Sono molto daccordo con il post. E’ vero che sembra un video clip di un’ora e mezza, che è tutto urlato…

    Però è stato fighissimo rivederlo ancora con l’atmosfera giusta.
    Le faccie sono tutte perfette, il cattivo spacca, Todd in versione impiegato della morte pure, il trio Eric Sarah Darryl mi piace tantissimo.
    Ci sono tonnellate di momenti iconografici, di linee di dialogo molto fighe.
    Gli scambi tra il poliziotto e il suo superiore mi hanno fatto spanciare.
    Sparano vagonate di proiettili…

    Il contrasto tra notte, pioggia, freddo, degrado, violenza, sopraffazione, tosicodipendenza… e umanità, colore, vita (secondo me c’è tantissima vita in questo film) mi ha preso.
    Forse è tutto TROPPO figo, troppo facile (Eric, operatore sociale da comunità dei sogni…)… però arriva.

    Ci sono cose toccanti: il modo in cui si cerca e si è famiglia, la scena delle uova, Eric a casa di Darryl, “Sarah, ti voglio bene”…

    Se penso a una persona giovane che lo vede, quanta roba forte, anche esplicita, quanti “temi” ci sono dentro (l’amore, il lutto, la famiglia, la speranza…)

    Forse sono ancora un adolescente anch’io… 🙂