
Regia – John Adams, Zelda Adams, Toby Poser (2023)
Non so bene come prenderla, questa ultima fatica della famiglia horror più bella del mondo: da un lato denota uno sforzo creativo e un’ambizione notevolissimi; dall’altro è un passo indietro rispetto allo splendido Hellbender, se non altro dal punto di vista della coerenza narrativa. Di certo siamo di fronte a un film sperimentale, che chiede tanta pazienza allo spettatore e lo ripaga con un immaginario potente, ma un po’ troppo per iniziati; se Hellbender era un film che poteva essere rivolto a chiunque, qui la platea si restringe, e di parecchio anche.
È da ammirare la totale libertà in cui gli Adams si muovono, è da ammirare il totale disinteresse che dimostrano nei confronti della presa commerciale del loro lavoro: Hellbender, nel suo piccolo, è stato un successo, li ha posti all’attenzione di parecchia gente e sarebbe stato facilissimo prendere una strada più facile. No, gli Adams hanno realizzato un film che non esiso a definire estremo, specialmente nel linguaggio e che, forse, con una scrittura meno caotica, poteva far parte degli horror migliori dell’anno. Così, è soltanto un esperimento, appunto, che mi spinge a voler continuare a seguire questi tre squinternati ovunque decidano di andare, ma allo stesso tempo mi fa domandare se andranno davvero mai da qualche parte. Che poi, ha davvero importanza?
Siamo nell’America degli anni ’30 e seguiamo il girovagare di una famiglia di artisti circensi che si esibisce in uno scalcinato baraccone e con un numero che non ottiene il successo sperato. Il papà Seven è un ex medico di campagna e reduce di guerra con una sindrome da stress post traumatico che se lo porta in giro col guinzaglio e che gli scatena delle forti crisi epilettiche di fronte a qualsiasi accenno di violenza; la mamma Maggie è un’assassina a sangue freddo che uccide non appena qualcuno le sembra un minimo minaccioso o anche solo fastidioso; e poi c’è la figlia Eve, che si esprime solo cantando e per il resto del tempo non spiccica una sola parola. I tre sono molto uniti e molto affiatati e si sostengono a vicenda qualunque cosa accada. Le cose procedono secondo una bizzarra routine presentata con la normale quotidianità di una sit com on the road, almeno fino a quando non accadrà qualcosa che costringerà Eve a prendersi cura dei genitori come loro hanno sempre fatto con lei.
Ecco, questa è la “trama” del film, se di trama si può parlare, perché When the Devil Roams ha una struttura episodica, dove i quadretti di armonia e affetto familiare si alternano a esplosioni di violenza allucinante e insensata. C’è anche, quasi fosse un perenne accompagnamento sonoro, un umorismo stralunato e quasi sempre fuori registro che rende la visione un’esperienza surreale e straniante.
Come ormai credo sia tipico del cinema degli Adams, anche qui i tre si inventano un sfondo folk tutto loro; non ci sono creature non umane che si sballano con le mosche, ma c’è un patto col diavolo molto affascinante e particolare, del quale non ho intenzione di svelare niente, ma rappresenta, di fatto, l’unico elemento di racconto più o meno tradizionale del film ed è inserito molto bene nel contesto e fa da ancora ai numerosi simbolismi di cui When the Devil Roams è permeato.
L’estetica cambia in corso d’opera e, pur omaggiando in continuazione l’horror degli anni ’30 e Browning in particolare (non solo Freaks, ma tutta l’ossessione di Browning per le mutilazioni e le deformazioni), diventa sempre più simile al cinema muto mentre avanza il minutaggio, tanto che nel finale si arriverà a un bianco e nero da incubo, pieno di ombre e contrasti, quasi ci trovassimo in un film dell’espressionismo tedesco degli anni ’20. Il tutto è servito con contorno di colonna sonora rock, quella sì, sulla falsariga di Hellbender, anche perché la musica la scrive sempre John Adams.
Ostico e selvaggio, a suo modo poetico (se per voi si può far poesia con arti mozzati e corpi in putrefazione, sia chiaro), Where the Devil Roams può coinvolgervi moltissimo o respingervi a seconda del vostro stato d’animo del momento, perché è un oggetto così umorale e allo stesso tempo così intransigente che è davvero difficile provare a darne una valutazione di carattere oggettivo. Di famiglie assassine, nel corso della storia dell’horror, ne abbiamo viste tante, anche se bene o male il modello di riferimento sono sempre stati i Sawyer di Tobe Hooper. Qui andiamo molto più indietro, all’innocenza primitiva e feroce di Spider Baby, se vi ricordate di questa piccola perla dell’exploitation fine anni ’60, ma con la differenza che i tre Adams interpretano una famiglia che non è affatto disfunzionale e le cui dinamiche interne sono perfettamente sane, fatte di affetto, empatia, partecipazione, condivisione totale. Il che, in maniera paradossale, rende più difficile la comprensione delle loro gesta omicide, proprio perché del tutto immotivate. Non sono i Firefly, sono tutt’altra specie di reietti, sono quasi creature soprannaturali. Sicuramente Eve lo è o lo diventa in corso d’opera.
Credo sia necessario non dimenticare mai, quando si guarda un film degli Adams, che si tratta di una famiglia reale, e che questo riverbera per forza nel loro lavoro. Nel caso Where the Devil Roams è molto forte e molto presente la paura di invecchiare e di lasciare sola la persona di cui ti sei presa cura da quando è nata. I corpi che se marciscono dei due protagonisti adulti sono la traduzione in un immaginario di cinema di serie B di un terrore atavico che, suppongo, abbiano sperimentato prima o poi tutti i genitori e anche tutti i figli: il decadimento fisico di Maggie e Seven, l’inesorabile consapevolezza della loro mortalità che va di pari passo con la crescita di Eve, inserite nel contesto di estreme povertà e precarietà in cui si svolge il film, non sono soltanto effettacci shock o rimandi a un cinema dimenticato e polveroso. Sono paure reali e sono universali. Per questo, se si entra in sintonia con il suo ritmo dilatato, il suo linguaggio ruvido e la sua narrativa sbilenca e, a tratti, indecifrabile, Where the Devil Roams può colpire molto forte da un punto di vista emotivo.
Gli Adams sono diventati un punto fermo del cinema horror indipendente a budget ridottissimo. Sono una realtà unica, nella loro artigianalità casalinga. Ho l’impressione che la giovane Zelda presto si dedicherà anche a progetti al di fuori della famiglia, perché ha un talento cristallino e indiscutibile, ma per il momento il connubio inossidabile con i genitori continua a funzionare a partorire piccoli film assolutamente originali e in grado di distinguersi in un panorama che diventa ogni giorno più omologato. E allora, al netto di tutti i difetti di un film che vorrebbe essere troppe cose e che forse non riesce a seguire una direzione precisa e soffre un po’ il peso della sua stessa ambizione, ce ne vorrebbero un paio l’anno di Where the Devil Roams. Continuate così, famiglia di bellissimi squinternati, che l’horror ha bisogno di voi.












Bello. Finale scelto consapevolmente, non lasciato arrivare o subìto. (e potente)
Un meccanismo a incastro che si rivela pian piano.
Diverse inquadrature davvero affascinanti.
Buon Natale, amica mia!
È incredibile quante persone ci siano al mondo che non sanno nulla. E il resto sono pazzi che pensano di sapere tutto.