
Regia – Gary Shore, Rebecca Harris (2023)
Io credo di non essere più capace di comprendere come si orienta il pubblico degli appassionati di cinema horror. La sensazione è cominciata l’anno scorso ai tempi di Fresh e si va intensificando sempre di più. Non so di chi sia la colpa, probabilmente mia, perché sto provando una profonda stanchezza per i film piccoli, non nel senso di budget, ma di ambizione, film che, dopotutto, non stanno facendo altro che ripetere la cosiddetta formula A24, e nel farlo si dimenticano di essere horror. Poi arriva una roba come questa e finalmente torno a respirare, solo per poi apprendere con un certo sgomento che The Haunting of the Queen Mary è stato stroncato pressoché all’unanimità, ha delle medie ridicole sui vari aggregatori di recensioni e, in generale, è stato schifato un po’ da tutti. Ora, quello che penso io è che The Haunting of the Queen Mary, in capo a una decina d’anni, sarà ricordato come uno dei migliori horror degli anni ’20 di questo secolo.
Il film ha una trama molto ingarbugliata e una struttura non lineare fatta di continui salti avanti e indietro nel tempo, quindi a raccontarlo non farei un gran servizio: vi basti sapere che parla di una coppia in crisi, con figlioletto al seguito, che decide di realizzare un libro fotografico sulla nave del titolo, mastodonte dismesso da anni dalla navigazione e trasformato in un musero/parco dei divertimenti galleggiante, con tanto di tour guidato nei suoi recessi più infestati. Perché che la Queen Mary sia una nave infestata è pacifico, solo che non sappiamo bene da cosa, non sappiamo dove finisca la leggenda, cominci il marketing e si affacci un timido barlume di verità. I nostri protagonisti lo scopriranno, a loro spese.
The Haunting of the Queen Mary si svolge principalmente su due piani temporali: quello presente, con le avventure dei due protagonisti contemporanei, e quello passato, con la storia di un’altra famiglia, imbarcatasi sulla nave nel 1938. È un film ambizioso da un punto di vista concettuale, e anche produttivo, perché per la metà del suo svolgimento è in costume, perché si nota che ci hanno voluto spendere dei soldi sopra e perché, nonostante il budget di un horror britannico non possa in alcun modo essere paragonato a quello di un corrispettivo americano, sembra di guardare uno di quegli horror dei primi anni ’00 fatti sotto l’egida della Dark Castle di Silver e Zemeckis, dai 13 Spettri a, appunto, Ghost Ship, però con un tono più grave, o forse soltanto con un senso dell’umorismo più nero e più amaro.
L’idea alla base è sempre la stessa: un oggetto inanimato che, grazie a un evento di natura soprannaturale, diventa in qualche modo vivo e letteralmente si nutre di alcuni passeggeri che diventano tributi da pagare alla nave affinché essa rimanga inaffondabile. Gli spiriti di questi passeggeri rimangono imprigionati sulla Queen Mary per l’eternità, ma cosa accadrebbe se alcuni di loro trovassero il modo di scendere? Più o meno, semplificato al massimo e senza rivelare troppo, è questo il nucleo narrativo del film, attorno al quale i due registi costruiscono tuttavia un inverso fatto di personaggi strambi, disgraziati, in qualche modo sempre perdenti, e tutti gravitanti attorno a questo mostro di metallo ancorato a Long Beach.
Nello specifico, assistiamo alla demolizione di due nuclei familiari e, anche qui, ci ritroviamo in uno degli ambiti più classici dell’horror e del gotico: quello delle brave persone a cui accadono cose terribili senza che ne abbiano alcuna colpa.
The Haunting of the Queen Mary è un film sfarzoso, barocco, volutamente eccessivo, violentissimo e che non si tira indietro davanti a niente. Trasuda perfidia da ogni fotogramma, ma allo stesso tempo, è così vicino ai suoi protagonisti da obbligare lo spettatore a soffrire di questa cattiveria, non a parteciparvi entusiasta. Sfido chiunque a non provare un vero moto di umana pietà nei confronti dei poveri Ratch e di quello che accade loro nella maledetta notte di Halloween del 1938, o per il destino dei Calder nel 2023, soprattutto per come il film ce li presenta, per quello che promette loro e per come, al contrario, finisce per strappare via tutto.
In un momento (non ho ancora avuto la fortuna di vedere Talk to Me, quindi potrei essere smentita nel giro di un mese, quando il film uscirà qui nel terzo mondo cinematografico) in cui l’horror sta cominciando a soffrire di una sorta di riflusso degli anni d’oro appena trascorsi, e si adagia su una programmatica mancanza di ambizione, un film come questo, sfacciato e irriverente, in ostentata controtendenza con ogni forma di minimalismo e buon gusto, disposto anche a essere ridicolizzato e considerato “trash”, è un regalo straordinario per i miei occhi stanchi e spesso segnati dalla noia.
Ecco, con The Haunting of Queen Mary difficilmente ci si riesce ad annoiare, anche se dura due ore e alcune sequenze (quella del tip tap, per esempio) potrebbero essere considerate superflue (non lo sono). Non ci si annoia per quanto detto poco sopra, ovvero l’estrema simpatia dei personaggi e la bravura degli attori (Alice Eve impressionante), ma non solo: i colori, i movimenti della macchina da presa, i tagli di luce, l’uso degli spazi interni alla nave, è tutto bello da non credere ai propri occhi, e anche qui, ci sarebbe da domandarsi per quale motivo l’horror indipendente stia rinunciando alla bellezza in favore di un grigio squallore che dovrebbe in teoria passare per realismo. Al diavolo il realismo, io voglio la magia del cinema applicata all’orrore, e in questo The Haunting of Queen Mary è magistrale.
Anche gli appassionati di gore non hanno motivi per rimanere delusi: alcune delle scene più sgradevoli dell’anno sono qui dentro. Tra facce ustionate dal vapore dei motori, colpi d’accetta dritti in faccia, getti di sangue vomitati e mutilazioni varie, c’è da che rimanere molto colpiti. Anche perché non c’è mai la ricerca del fattore shock fine a se stesso, soltanto il fatto che The Haunting of the Queen Mary è un horror che non si vergogna di esserlo, anzi, ne va particolarmente fiero e lo dichiara con la delicatezza di un carro armato.
Ci sono tante cose da amare in questo film, non fate l’errore di sottovalutarlo o di credere che sia una rimanenza estiva tipo cestone dei DVD usati in un centro commerciale. The Haunting of Queen Mary vale molto più di tanti film pompatissimi dai critici nel corso del 2023 (Skinamarink, Influencer, The Blackening, tanto per citarne qualcuno) tutti rivelatisi più o meno mediocri e deludenti.
Qui invece c’è una nave infestata che non aspetta altro che le prestiate un po’ di attenzione. Sarete adeguatamente ripagati.












Ma allora non sono il solo che ha bestemmiato in lingua morta per l’incazzatura mista a truffa e assoluto tedio durante la visione di “Skinamarink”! Il film del tuo post invece,mi sa che non l’ho proprio beccato nel cinema da me,ho sono stato distratto(probabile😓),o e’ stato mal distribuito,ma prometto di recuperarlo appena mi sara’ possibile! Comunque diciamolo pure senza vergogna,cominciano a mancarci i film horror costosi,e non per forza ottusamente minimali a budget zero!
Il “Manoscritto trovato in una bottiglia” nel bar dell’Overlook hotel, insomma la Queen Mary come ibrido tra la disperazione di Poe e le visioni di Kubrick. Per me un buon film purtroppo con un debole raccordo tra storia passata e quella presente (anche se il montaggio lavora bene). Tanto sono ben raccontate le vicissitudini del ’38 (a partire dalla ricostruzione del periodo per non parlare degli omicidi di Racht) quanto confuse e labirintiche quelle di Anne e Patrick (Fry ha l’espressività e la credibilità di un manichino). Un film anche ambizioso ma su cui sono state fatte a livello di scrittura scelte discutibili e incomprensibili (il maglioncino giallo di Lukas che si aggira nella nave ci avrebbe potuto togliere il sonno quanto le grida degli agnellini avevano fatto con la Clarice di Demme ma inspiegabilmente si è preferito rinunciare a questa soluzione, anzi proprio al personaggio). Alla fine questa mancata amalgama porta inevitabilmente a fare un confronto tra i due piani temporali e il contemporaneo ne esce perdente e ridimensionato tanto da chiedersi se non valesse la pena concentrarsi solo sulla famiglia degli artisti di strada.
Sui voti degli aggregatori di recensioni che dire, prima imdb aveva almeno il pregio di mostrare anche i voti scorporati per genere ed età; adesso neanche più questo. Film come Knives Out 2 (prolisso, banale, compiaciuto: insomma da 5) ha sette pieno mentre Valley of ditches (film praticamente misconosciuto ma che vale un 7) ha meno di 4 (e la cosa assurda e più inspiegabile è che in un film del genere non ti imbatti per caso ma lo ricerchi). Ma tant’è.
io non ho fatto a tempo a vederlo
ma cmq il trailer è stato pessimo: mi ero fatto un’impressione totalmente sbagliata, l’ho scoperto leggendo recensioni in giro, il trailer è totalmente fuorviante; sembrava l’ennesima stronzata piena di jumpscares
Una recensione molto “rinfrescante”, grazie.
Occhio perche’ che la visione di Talk to Me non e’ tutta sta “fortuna” 😉
Bye bye e buon ciclo Halloweenesco 2023